Quel brutto mondo sommerso, che non fa mai notizia

di Alberto Coppini
Un mondo fatto di dignità calpestata e di assistenti domiciliari noncuranti - la cui imperizia può causare gravissime conseguenze fisiche a una persona con disabilità -, un mondo in cui una burocrazia odiosa può rallentare o addirittura impedire gli interventi dei vari assistenti sociali, «un mondo però - scrive Alberto Coppini - nel quale se non si soccombe, si diventa più forti e combattivi di prima, uscendo allo scoperto»

Ombra di persona con disabilitàSedere lavato male, gambe e torace non sciacquati, pavimenti e vetri imbrattati, urla da una stanza all’altra, tutto questo alle 7 e mezza del mattino, quando ricevo la visita quotidiana degli assistenti domiciliari del Comune di Casalecchio di Reno (Bologna), una vivace cittadina nei pressi di Bologna. E poi ancora, usano il bagno senza chiedere il permesso (dimenticandosi persino di tirare l’acqua…), vanno a curiosare nelle mie cose, non mettono il camice, usano gli stessi guanti per lavarmi e lavorare in cucina, inzaccherano di fango la casa con le suole carrarmato…
Ecco alcuni dei mille disservizi ai danni di una persona con disabilità che vive da sola nel proprio appartamento, cercando di mantenersi autonoma, nonostante una poliomielite niente affatto benigna l’abbia sistemata in una “comoda” carrozzina elettrica.

A ben guardare, però, la poliomielite non è da colpevolizzare al 100%. Fino ad ottobre del 2011, infatti, mi muovevo a fatica, camminavo con l’aiuto di un deambulatore, ma almeno camminavo. Ai primi di novembre di quell’anno, invece, la mia vita cambiò radicalmente.
Finito infatti il consueto “semilavaggio”, ero in procinto di alzarmi dal letto per andare in bagno con l’amico deambulatore. Stranamente non sentivo puntati su di me gli occhi vigili dei due assistenti domiciliari, che avevano il compito di prevenire mie eventuali cadute accidentali. Per forza non li sentivo: i due stavano chiacchierando amabilmente e non potevano di certo occuparsi di me. E così, scivolando lentamente sul bordo del letto, ho appoggiato le mani (o meglio, ho creduto di appoggiarle) sul deambulatore e sono caduto rovinosamente per terra, provando un dolore lancinante alla gamba sinistra. I due assistenti si sono accorti della mia caduta dal rumore del comodino rovesciato. Erano proprio occupati in altri pensieri…

La trafila successiva l’accenno brevemente. Pronto soccorso, lastre, frattura del femore, trasferimento al Rizzoli di Bologna, sala operatoria e dopo una quindicina di giorni, sono pronto per il “secondo tempo”, la riabilitazione. Mi portano all’Ospedale Montecatone, vicino ad Imola, dal quale vengo dimesso nel maggio del 2012. Finalmente a casa! Sì, però con uno strascico non trascurabile: non potrò più camminare.
È impossibile descrivere quel tumulto di sensazioni contrastanti che ti sommergono quando rientri in casa dopo sei mesi, con la consapevolezza che non potrai più calpestarne il pavimento. Sei pervaso da un senso di frustrazione, ti senti “vecchio”, “finito”. Hai bisogno di tutto, anche di chi ti apra un cassetto, cerchi aiuto in chi potrebbe dartelo, ma non sempre lo trovi…e annaspi.
Grazie al cielo ti ricordi improvvisamente che esistono le istituzioni religiose, le parrocchie, la Caritas e scopri che rispondono ai tuoi bisogni con spontaneità e immediatezza, senza tutta quell’odiosa burocrazia che rallenta (o addirittura impedisce) gli interventi dei vari assistenti sociali. Ma non basta, hai assoluto bisogno di quelle provvidenze che solo il settore pubblico può darti. Ti rivolgi quindi nuovamente al tuo Comune e cozzi inesorabilmente contro la burocrazia.
Alla fine, però, se non si soccombe, se ne esce. E si è più forti e combattivi di prima. Ne va della propria sopravvivenza, non si accettano più i soprusi e i disservizi del personale di quelle due Cooperative Sociali (Dolce e Ada), alle quali appartengono i due operatori che ti hanno fatto accomodare definitivamente su una carrozzina a motore.
E quindi ti ribelli, mandi dei reclami a cui non ti rispondono nemmeno; tempesti di messaggi i vertici comunali, che ti trattano con sufficienza, sperando che sia solo un “fuoco di paglia”; ma poiché i disservizi continuano, poiché capisci di essere considerato un oggetto e non un essere umano, poiché la tua stessa dignità te lo impone, esci allo scoperto e ti rivolgi ai media perché tutti sappiano cosa succede in un mondo sommerso che non fa mai notizia, se non per via del solito cieco che guida la macchina…
Dopo di che un avvocato ti spinge a percorrere anche altre strade…

Le nostre pagine, naturalmente, sono aperte ad eventuali (e motivate) repliche, da parte delle Cooperative Sociali chiamate in causa nel presente testo.

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