«Cambieremo la nostra percezione del mondo». Stephen Hawking, il grande scienziato che muovendo solo una palpebra siede sulla cattedra che fu di Newton a Cambridge, usò parole pesanti allo Stadio di Londra, quando fu lo straordinario conduttore della Cerimonia di Apertura dei più belli, partecipati, significativi Giochi Paralimpici di sempre.
Era un anno fa. Ma davvero lo sport praticato da atleti con ogni tipo di disabilità può far cambiare il modo di vedere ciò che ci circonda, l’uomo e l’universo nella sua interezza? A un anno da quell’evento che è stato celebrato come lo spartiacque fra ciò che era e ciò che dev’essere lo sport praticato da persone con disabilità, vale la pena chiederselo senza far pesare l’emozione di quei momenti.
Il motto era: Inspire a Generation, “ispirare una generazione”. La Gran Bretagna ha già capito cosa vuole dire: sono state centinaia di migliaia i bambini e le bambine, le ragazze e i ragazzi che sono stati contagiati da quei pochi giorni. Racconta Phil Craven, presidente del Comitato Paralimpico Internazionale: «Ero in metropolitana. Una mamma raccontava una storia al suo bimbo. Diceva: “C’era un tizio con una gamba di legno, una benda sugli occhi e un uncino al posto della mano. Sai chi era?”. Si riferiva a un pirata. Ma il bimbo rispose: “Certo: è un atleta paralimpico”. Una volta di più ho capito che stavamo facendo una cosa buona».
È il grande significato dello sport paralimpico, che Londra ha sublimato: guardare le abilità. Questa è l’eredità dei Giochi. Un cambiamento culturale che sicuramente capiremo fra anni, ma che i più accorti vivono da subito.
«Penseremo alla disabilità in modo diverso»: lo ha detto il celebre olimpionico inglese Sebastian Coe. Vero. È accaduto, per chi ha vissuto o anche solo ha visto quei momenti in TV o ha letto le cronache dei giornali. Già alla conclusione, però, è stata d’aiuto per una lettura più completa una frase di Luca Pancalli, anima del movimento italiano: «Londra 2012 rappresenta un punto fermo. Spenti i riflettori, però, si devono affrontare le piccole olimpiadi quotidiane della disabilità. Ma sono convinto che da oggi lo faremo in maniera diversa».
Londra 2012 ha mostrato atleti e gesta straordinarie davvero. Quell’immagine che ha regalato Alex Zanardi, mentre alzava trionfante la sua handbike, ha fatto più di mille convegni. C’era il nuovo fenomeno, Alan Fonteles Oliveira, amputato a entrambe le gambe e che riscriverà l’atletica del futuro, e gli atleti della boccia, che muovono solo la testa e sono campioni ai Giochi.
Il posto era per tutti, con ogni tipo di condizione. La bellezza della Paralimpiade. Questo non deve perdere il movimento paralimpico: l’attenzione alla persona, senza farsi fagocitare dalla tecnologia, ma anche senza aver paura di quest’ultima, se può migliorare l’uomo e le sue imperfezioni. È la grande sfida del futuro. Ci riuscirà? Le posizioni sono diverse e variegate.
Quelle parole dello scienziato in carrozzina che uscivano da un sintetizzatore vocale non erano sfida o paradosso. Nella maniera perfetta di un genio quale è, Hawking ha semplicemente espresso in modo chiaro e sintetico un concetto che la Paralimpiade regala ogni volta e che Londra ha sublimato. Il regno del paradosso che fa riflettere: lo sport non è per corpi perfetti perché ogni corpo è imperfetto. Ecco la percezione del mondo che cambia e la disabilità che rovescia i concetti: guardare le abilità. Lo sa bene lui, che da anni muove solamente una palpebra a causa di una grave malattia genetica. Il potere della mente nel tempio del trionfo del corpo, come è lo sport. E la Paralimpiade va controcorrente anche in questo, mostrando le immense abilità di corpi imperfetti. Hawking e la Paralimpiade: un pugno in faccia ai luoghi comuni.
Quei bimbi, che a Londra e in mille altri Paesi hanno visto nuotare un uomo senza braccia o correre un atleta senza le gambe o spingere una boccia chi muove solo la testa, cambieranno il mondo.