Un’emozione forte, improvvisa, anche se prevista e desiderata. Era una delle mete prefissate di un mio breve viaggio in Francia e a Parigi in particolare: volevo vedere da vicino la sedia a rotelle appena restaurata che appartenne a Georges Couthon, uno dei protagonisti della Rivoluzione Francese, del cui nome però, nel tempo, si sono quasi perse le tracce. E forse, nella mia mente, c’è un indizio che ci può aiutare a capire il perché di questa straordinaria “invisibilità”. La sua sedia a rotelle, quasi un prototipo di una moderna carrozzina, è infatti collocata al centro di una delle sale dedicate alla storia della Rivoluzione, nel bel Museo Carnavalet. Un posto di primo piano, dunque. Ma non per la persona, che non si vede, neppure in ritratto, ma solo per la sua carrozzina.
Siamo nel Marais, uno dei quartieri più belli e carichi di storia di Parigi. Rue de Sévigné non è distante da Les Halles e dal più famoso e roboante Centro Georges Pompidou, il Beaubourg. Ma qui al Carnavalet la storia si fa memoria e cimelio, ti guida per mano a ritroso nel tempo, fra sciabole appese, modellini di ghigliottina, ritratti, manifesti, quadri dedicati alle esecuzioni capitali e agli scontri terribili di quegli anni convulsi di fine Settecento.
Entriamo nel Museo da un accesso laterale, dove è collocato un ascensore moderno che ci conduce al piano dedicato alla Rivoluzione. Il custode, gentilissimo e affabile, è contento di scoprire che non siamo turisti casuali, ma stiamo proprio cercando qualcosa e qualcuno. Un custode carico di cultura, che sa tutto di Couthon: «Era il migliore!». Già. Couthon, ovvero un giudice di Clermont Ferrand, liberale monarchico e massone, passato progressivamente all’ala giacobina dei rivoluzionari, amico di Robespierre fino a condividerne le scelte e anche la sorte finale, l’esecuzione avvenuta il 10 Termidoro (28 luglio) del 1794. Una figura strana, della quale rimangono poche tracce bibliografiche attendibili, e che ha subito, come tutti i Giacobini, la pessima comunicazione di chi è venuto dopo, a Restaurazione avvenuta.
Ma Couthon era sicuramente un bell’uomo, amabile e di buoni sentimenti (così viene descritto prima degli ultimi anni dedicati alla Rivoluzione). C’è un suo ritratto, a Nizza, dipinto da François Bonneville, che gli rende merito, ma non fa capire quel “piccolo problema” in più. Già, perché Couthon è invalido, le sue gambe sono paralizzate, probabilmente per gli esiti di una prolungata febbre meningea. Una disabilità in età ancora giovanile, che ha dunque segnato interamente la sua esistenza. Prima nella sua Clermont Ferrand, città di provincia, collinare, tutta salite e discese. Poi a Parigi, deputato della Convenzione Nazionale. Mi emoziona pensarlo sulle strade dell’epoca, fra barriere piccole e grandi, scaloni immensi, bagni inesistenti. Costretto sempre a chiedere aiuto e assistenza, eppure convinto di poter fare anche da solo, se mai fosse riuscito a realizzare una carrozzina capace di muoversi in autonomia.
Eccola, qui sopra riprodotta, quella carrozzina: una poltroncina francese inchiodata a una base di legno con tre ruote, la posteriore libera e piroettante, per cambiare direzione: le due laterali manovrabili con due manovelle fissate ai braccioli. Un ingranaggio semplice e diretto imprimeva alle ruote il movimento e consentiva a Couthon di spostarsi in autonomia, almeno sulle superfici lisce e levigate degli eleganti palazzi di Parigi. L’hanno restaurata, lasciando i velluti di allora, e ripulendo il legno dai segni del tempo. Ho appoggiato la mano su quella manovella, sentendo sotto le dita un’energia incredibile, quasi una traccia nascosta di una mano che ora non c’è più.
Ma quella carrozzina in mezzo alla sala del Museo Carnavalet è un simbolo per certi versi inquietante. I visitatori ne restano sorpresi e interdetti, si capisce che non sanno a chi appartenga, e perché quel tale Couthon fosse così importante. Di Georges nessuna traccia, mentre alle spalle della sedia a rotelle campeggiano i ritratti di Danton e di Robespierre. Un uomo ridotto a simbolo, un omaggio senza volto, un protagonista “invisibile”: insomma, uno dei nostri!
Era membro del Comitato di Salute Pubblica, assieme a Robespierre e Saint-Just. Il suo nome, però, è scomparso nell’oblio. La sua carrozzina no, è ancora lì. E mi domando come mai non sia stata distrutta da chi allora eseguì la condanna a morte. Forse, in questo modo, un gesto di rispetto e di ammirazione per un uomo che seppe vivere con enorme forza la sua disabilità, in nome di quei diritti che solo ora – più o meno – vengono garantiti davvero a tutti.