Per come la penso io un giornalista non dovrebbe mai essere coinvolto emotivamente nella notizia che riporta e quello che sto per scrivere mette a dura prova questo principio. Parliamo di accoglienza di persone fragili in Pronto Soccorso, cioè di come il personale dovrebbe trattare le persone (disabili) quando entrano in ospedale.
È il 4 luglio, Ospedale di Legnano (Milano). Mi ricevono il dottor Aldo Minuto, direttore del Dipartimento dell’Emergenza-Urgenza dell’Azienda Ospedaliera di Legnano, il dottor Massimo Lombardo, direttore sanitario, e il dottor Giancarlo Gini, responsabile del Pronto Soccorso e del Dipartimento d’Emergenza e Accettazione. Il primo lo conosco da una vita e tutti insieme entriamo nel Pronto Soccorso perché tengono a un mio parere.
Nulla è apparentemente attrezzato per le persone con disabilità, in compenso non vedo ostacoli per chi circola in carrozzina (cosa mai scontata), salvo il banco dell’accettazione alto per chi è seduto. L’interno colpisce per luminosità, disposizione dei letti, rispetto al banco di comando del personale, e colori alle pareti. L’ambiente è favorevole. Spesso è il contrario.
Sono lì per tenere una lezione nell’ambito di corsi che l’Azienda Ospedaliera organizza sulla comunicazione per formare il personale. Con lo staff medico del Progetto DAMA (Disabled Advanced Medical Assistance, ovvero “Assistenza medica avanzata per le persone con disabilità”), la prima struttura italiana, presso l’Ospedale San Paolo di Milano, nata per rendere l’ospedale luogo di cura anche per persone con disabilità, partecipo al corso Accoglienza al paziente fragile in Pronto Soccorso.
Arriviamo all’ascensore. Ha la voce che avvisa sulla direzione e sull’arrivo al piano. Il direttore generale, dottoressa Carla Dotti, che ha fortemente voluto l’incontro, non riesce a presenziare e il dottor Lombardo e il dottor Minuto, vero ideatore dell’evento, partono con le presentazioni: Angelo Mantovani, uno dei fondatori storici di DAMA e ora della Fondazione Mimmo Castorina per la disabilità grave, Filippo Ghelma, direttore responsabile di DAMA, Massimo Corona, dirigente medico di DAMA, e il sottoscritto, l’unico non medico né dottore.
Che cosa abbiamo detto? Punto primo: le persone con disabilità non hanno maggiori diritti, bensì gli stessi diritti cui rispondere con soluzioni personalizzate, come per tutti. I costi: ci sono, ma si abbattono attraverso l’ottimizzazione delle risorse già presenti in ospedale.
La comunicazione: al paziente dev’essere offerto il massimo ascolto e consentita la miglior comprensione possibile per qualità e metodo, anche facendo fronte a carenze uditive o verbali o d’altro tipo, esprimendosi per iscritto o affidandosi a nuove tecnologie o altri ausili di proprietà del paziente.
Il percorso nella struttura: alla persona deve sempre essere agevolato, anche accompagnando il suo assistente a destinazione qualora serva (dovesse andare altrove a recuperare documenti, ad esempio).
L’assistente: chi accompagna la persona, ovvero il suo caregiver, deve sempre poter restare accanto all’assistito, anche in caso di ricovero, perché non è un “accessorio”, bensì una parte imprescindibile di sé.
La famiglia: al di là dell’accompagnatore, coinvolgere la famiglia nella relazione col paziente può agevolare l’inserimento nella struttura.
L’intervento sulla persona: dev’essere prudente, ma non timoroso e deve sempre passare attraverso il colloquio; una parola in più è meglio di un errore in più.
Collocazione nello spazio: dare modo alla persona, soprattutto a quella con problemi sensoriali o cognitivi, di comprendere dove si trova e cosa sta succedendo.
Disabilità e persona: la persona non è la sua disabilità, quindi è decisivo assisterla occupandosi del suo problema di quel momento, piuttosto che della sua situazione conclamata, senza tuttavia ignorarla.
Le difficoltà: esistono, ma vanno affrontate con flessibilità e creatività.
Questo il succo dell’incontro, cioè proporre alcune regole base riprese dall’esperienza del Progetto DAMA, dalla letteratura in materia e dalla conoscenza globale del settore, che pensiamo debbano essere punti chiave per una buona accoglienza del paziente disabile a Legnano quanto altrove.
Intanto il 9 ottobre prossimo replicheremo a Magenta, sempre in provincia di Milano. L’azienda ospedaliera, che è la stessa, ci crede. Speriamo ci credano altre.
P.S.: L’Ospedale di Legnano, pur se ricostruito in una zona diversa, è dove sono stato ricoverato subito dopo il tuffo in mare che mi ha reso disabile. Il 4 luglio ho trovato gran parte del personale di allora in festa per me. Questa cosa, però, è meglio non dirla troppo in giro, sennò sembra che quel giorno mi sia emozionato.