Dopo aver chiacchierato a lungo con lei ai tempi delle Paralimpiadi di Londra – di cui era stata tra i tedofori – ripercorriamo assieme a Beatrice “Bebe” Vio i momenti vissuti ai recenti Campionati Mondiali Paralimpici di Scherma a Budapest, con un’intervista che raccoglie le emozioni vissute da questa grande atleta al suo primo “vero” Mondiale (i tre precedenti disputati erano giovanili per atleti under 17). Una competizione che forse le ha dato qualche delusione, ma che l’ha fatta tornare a casa con un bagaglio di esperienza in più.
In realtà si tratta di un piccolo racconto pieno di emozione, non soltanto di una semplice intervista. Ma con Bebe è facile catapultarsi nella sua spumeggiante voglia di vivere, voglia di “tirare”. Perché i suoi colpi sono come una sferzata di buon umore, di ottimismo… e vanno dritti al cuore.
Quando la vidi per la prima volta, in occasione del Laboratorio Internazionale della Comunicazione (Lab)* di Gemona del Friuli (Udine), accolta calorosamente da una folla di fan e giovani corsisti, notai prima di tutto il suo viso sorridente. «Peccato nasconderlo dietro la maschera durante le gare», pensai, «basterebbe quello a disarmare l’avversario!». Uno sguardo magnetico e brillante che ho ancora impresso nella mente… tutto il resto, le protesi (alle braccia e alle gambe), la carrozzina erano e sono solamente un dettaglio. Perché Bebe è un’atleta dinamica, forte, piena di vita, ma soprattutto una ragazza che ama la vita, che non si lascia abbattere dalle sconfitte.
Come detto, il decimo posto di Budapest forse le ha lasciato un po’ di amaro in bocca, ma Bebe non è una tipa che “si piange addosso” anzi! Individua gli errori, riflette e va avanti, trovando subito nuova linfa, ma soprattutto nuove motivazioni. E ora guarda al futuro, a Rio de Janeiro 2016…
Cara Bebe, hai partecipato ai Campionati Mondiali Paralimpici di Scherma a Budapest, il tuo “primo” Mondiale assoluto, che ti ha permesso di stare vicino a grandi campioni che tirano in piedi. Avevi confidato che prima della partenza pensavi ai Mondiali con un po’ di “paurina”, ma che l’idea di tirare nello stesso palazzetto dei mitici schermidori olimpici ti elettrizzava. Quali sensazioni hai provato?
«Che dire, i Mondiali non sono andati come avrei voluto, io speravo di andare sul podio! In realtà è stata una bellissima esperienza, mi sono divertita un sacco con i compagni di squadra e tutto il gruppo dell’Italia. Ho anche conosciuto tante atlete straniere e fatto amicizia con una cinese.
Già, le cinesi… sono veramente forti! Pensa che alla fine hanno vinto dieci medaglie paralimpiche su dodici! Parlando con questa ragazza, che si chiamava… ora non lo ricordo, era un nome complicato… mi ha detto che ha 26 anni e che vive in una specie di college/caserma dove fanno solo scherma in carrozzina e si allenano dalle cinque alle otto ore al giorno, tutti i giorni! “Ammazza”, le ho detto, “un po’ noioso…”, e lei mi ha risposto: “Ma la domenica posso anche uscire” (:<). Mica facile battere queste…
In ogni caso, appena finita la mia gara, ero un po’ arrabbiata, anzi molto arrabbiata (alla fine sono arrivata decima) e mentre andavo verso gli spogliatoi, c’era mia mamma che cercava di consolarmi. Ma più parlava e più mi arrabbiavo! Per fortuna poi è entrata la Vezzali che mi ha rincuorata, lei sì che sapeva cosa dirmi…».
Guardando al passato, come è nata questa passione per la scherma?
«È facile, a 5 anni ho voluto provare e me ne sono subito innamorata. Ero brava, tra le migliori in Italia, e sognavo di diventare una campionessa di scherma e di vincere le Olimpiadi. Poi sono stata male e hanno dovuto amputarmi le mani e i piedi. “Che sfiga”, mi son detta, ma ho voluto tornare a tirare, anche se mi dicevano che non era possibile nelle mie condizioni. All’inizio pensavo che tirare in carrozzina non sarebbe stato un granché perché pensavo: “La scherma in piedi è un’altra cosa…”. Poi, però, ho cominciato ed è stato come la prima volta, me ne sono innamorata subito… di nuovo! Sono ancora brava e mi diverto anche più di prima, e ora sogno di diventare una campionessa di scherma paralimpica».
Hai comunque ottenuto grandi successi finora, con l’oro in Coppa del Mondo, secondo consecutivo dopo tre argenti; in aprile hai vinto l’oro a Montreal e il mese dopo ti sei ripetuta in Italia, battendo l’argento di Londra Dani Gyongyi: una straordinaria ascesa, come l’ha definita anche il Comitato Paralimpico Internazionale, che ti ha nominato Atleta del Mese IPC: cos’hai provato nel ricevere questo straordinario riconoscimento?
«Mi ha fatto molto effetto, anche perché prima di me l’unico italiano che lo aveva ricevuto era stato il mitico Alex Zanardi, dopo i Giochi di Londra 2012… Anzi no, veramente un paio di anni fa lo aveva ricevuto anche la Nazionale Italiana di sledge hockey, l’hockey su ghiaccio per disabili, dopo una vittoria importante, non ricordo se un Mondiale o un Europeo. In quella squadra, tra l’altro, c’era anche Andrea Macrì, che fa sia l’hockey che la scherma, ed è in Nazionale con me. Discuto spesso con lui perché dice che la scherma è “da fighetti”, mentre l’hockey è “da duri”…».
Qual è la tua giornata tipo, considerando che tra studio, allenamenti e gare sei sempre impegnatissima?
«È vero, ma non c’è una mia giornata tipo, ho sempre tante di quelle cose da fare che è un po’ difficile star dietro a tutto. Infatti, oltre a studio, allenamenti e gare, c’è da aggiungere la fisioterapia (che purtroppo devo ancora fare), i giri due-tre volte al mese all’Arte Ortopedica (il Centro Protesi che mi segue a Budrio, vicino a Bologna), per sistemare le protesi di gambe e braccia, gli appuntamenti con gli scout (che figata le uscite in tenda in montagna!) e le tante iniziative con Art4Sport [l’Associazione fondata dai genitori di Bebe, N.d.R.], che tra convegni, manifestazioni ed eventi vari, ci occupa quasi tutti i weekend. Nei pochi momenti liberi che riesco a ritagliare ci sono ovviamente i miei amici…».
La tua voglia di vivere dà la speranza ai giovani con “qualche difficoltà in più”. Sei un esempio per tutti: dove trovi tutto questo coraggio e determinazione?
«Veramente non è una questione di coraggio, basta avere voglia, tanta voglia. L’importante è sognare, credere nelle cose e volerle fortemente realizzare. Non sempre è tutto facile e spesso ci sono degli intoppi, ma non bisogna abbattersi, c’è sempre una soluzione. E alla fine, se è stato difficile riuscire a realizzare un sogno e portare a termine un progetto, è ancora più bello e mi dà ancora maggiori soddisfazioni. E allora mi pongo un altro traguardo, più alto e difficile, e riparto… Il tutto condito di goduria e divertimento perché sembra una sciocchezza, ma io lo ripeto sempre, il mio motto personale è proprio vero: “La vita è una figata!”».
Lo sport unisce, lo sport promuove l’integrazione: lo vediamo ogni giorno grazie a grandi atleti come te, Bebe. Ma dal punto di vista di un’atleta con disabilità, come si vive, in un mondo di forti emozioni, di vittorie, ma anche di sconfitte, di continue lotte per superare gli ostacoli che spesso la vita ci pone davanti a noi?
«Rispetto a un atleta “normodotato”, per un’atleta disabile è un pochino più difficile perché la voglia è la stessa, la determinazione anche, ma qui c’è un problema fisico che ti ostacola in più: la tua disabilità (sennò non saresti un disabile…).
A parte le battute, noi dobbiamo prima di tutto superare l’ostacolo delle nostre difficoltà fisiche e poi fare gli atleti. Ma io non mi preoccupo, in fondo non sono una vera disabile, a guardar bene a me mancano solo dei pezzi. E nella vita normale ho risolto il problema con le protesi, mentre nella scherma faccio finta di averle, le braccia e le gambe, e tiro come se fossi ancora in piedi. Non so bene come faccio, ma funziona e mi piace da matti!».
Per sensibilizzare i ragazzi con disabilità e le loro famiglie, avete creato l’Associazione Art4Sport. In che cosa consiste l’attività di quest’ultima?
«Dopo la mia malattia, sono riuscita a ripartire grazie all’aiuto di tante persone, la mia famiglia soprattutto, ma anche gli amici, i terapisti, i tecnici ortopedici, le mie maestre di scherma Alice e Federica, gli scout, ma soprattutto grazie allo sport. Essere tornata alla scherma mi ha fatto letteralmente rinascere. Ed è partendo da questo che mamma e papà hanno deciso di fondare Art4Sport, una ONLUS che si occupa di aiutare bambini con amputazioni come me a fare sport.
Insieme a tanti amici e volontari, aiutiamo questi bambini e ragazzi a praticare lo sport che preferiscono, fornendo le protesi o le attrezzature (tipo le carrozzine sportive) che servono loro.
Oggi siamo in quindici ragazzi, andiamo dai 6 anni della piccola Margherita ai 17 di Dade e veniamo da tutta Italia. Facciamo tanti sport diversi e siamo un bellissimo gruppo e ne stanno già arrivando di nuovi! Venite a vederci nel nostro sito (e scusate se faccio un po’ di pubblicità, ma altrimenti che testimonial sarei?)».
Concludendo, quali sono i tuoi programmi futuri? E posso anche chiederti qual è il tuo “sogno nel cassetto”?
«Ci sono tante cose che vorrei fare. A breve, dopo l’estate, vorrei ricominciare a correre sulle lame (come quelle di Oscar Pistorius), e a lunga scadenza vorrei ovviamente andare alle Paralimpiadi di Rio de Janeiro nel 2016, ma intanto è meglio che mi concentri sull’oggi… Un bacio, la vostra Bebe».
*Oltre ad essere un evento culturale unico nel suo genere, per la diffusione della comunicazione letteraria, teatrale, giornalistica, il Laboratorio Internazionale della Comunicazione (Lab) di Gemona del Friuli (Udine) ha assunto anche un ruolo di grande sensibilità e attenzione verso il mondo della disabilità, grazie anche alla partecipazione, in questi anni, di grandi atleti famosi come Oscar Pistorius, Giusy Versace e la stessa Bebe Vio.
Fondato da Bruno De Marchi, ora coordinato dai figli Piero ed Emanuela, il Lab coinvolge annualmente un centinaio di giovani corsisti provenienti da tutto il mondo, assegnando annualmente anche il Gamajun International Award-Premio Bruno De Marchi, a un personaggio eminente delle arti e della cultura europea.