Imparare di più da “vecchie signore” come Aosta

di Rosa Mauro
Da Roma, la città dove vive, di cui aveva parlato con grande amore, ma al tempo stesso con l’amarezza di chi deve affrontare ogni giorni tanti problemi, si “trasferisce” ad Aosta, Rosa Mauro, donna diventata gravemente ipovedente in età già adulta, insieme al figlio, persona con disabilità intellettiva. Ed è un viaggio assai piacevole, in una città che assomiglia a una “vecchia signora”, con la sua armonica bellezza, fatta di cura e di attenzione
Teatro Romano di Aosta
Il Teatro Romano di Aosta

Per parlare di Aosta, devo prima fare una premessa indispensabile, anzi due. La prima è che non si può scriverne senza parlare della Valle d’Aosta, perché in questo caso la città non è separata dalla Regione e la natura che condividono – e non parlo di natura fisica – è la stessa. La seconda è che il mio ricordo in Valle d’Aosta è inevitabilmente collegato alla prima vacanza di famiglia con Giovanni, per cui parlerò di questa città, di questi luoghi, anche dal punto di vista di mio figlio, un ragazzo “speciale” che quest’anno sta affrontando la prova del nove della terza media.

Prima dei suoi sette anni, ci eravamo spostati con Giovanni solo nelle due case per così dire “di famiglia”: quella ai Castelli Romani, di mio padre, e quella a Cava de’ Tirreni in Campania, che è una sorta di “multiproprietà” di mia madre e dei suoi fratelli.
I primi anni di mio figlio, infatti, dopo l’uscita dall’intensiva a otto mesi dalla nascita e due ricoveri successivi per problemi polmonari, sono stati turbolenti: io ho contratto la neurite ottica che mi ha gravemente compromesso la vista, e così abbiamo dovuto cominciare le pratiche per la sua invalidità e per la mia cecità civile, e cercare un centro di terapia.
All’estate, quindi, ci arrivavamo del tutto sfiniti e sceglievamo di rimanere dove potevamo in qualche modo stare tranquilli. Quell’anno, però, una Fondazione che assiste i medici ci aveva accettato la domanda per la vacanza estiva in Valle d’Aosta, dove, con un contributo decisamente più basso rispetto alla media, si poteva soggiornare per quasi quindici giorni in un residence, formula che ci permetteva anche di gestire con più tranquillità l’alimentazione.
Ci avviammo quindi verso la nostra meta con Giovanni e i miei, in treno, carichi di roba indispensabile come i pupazzetti di peluche, la pastina, brodo, formaggini e una certa apprensione. E vi arrivammo, un po’ distrutti dal dover tenere buono Gio per tante ore e con qualche ansia per non sapere come sarebbe andata. Ma è andata molto bene.

So che per i vedenti la cosa che lascia senza fiato, di Aosta e dintorni, è il panorama, ma avendo problemi visivi io e problemi di autismo Giovanni, quello che abbiamo notato sùbito è stato altro.
La città è accogliente come struttura, silenziosa ma non snob, e molto ben strutturata. Toccare le mura del Mercato Romano mi ha fatto sentire “a casa”, ma ho anche apprezzato le camminate lungo la città, con gli odori di strudel e dolcetti che si spandevano per l’aria.
Aosta è una “signora alla vecchia maniera”, di quelle che hanno le case sempre aperte e che – se sei loro ospite – ti preparano il tè con i biscotti. Non senti e non puoi pretendere da una “vecchia signora” il vocìo vivace che c’è in alcune strade di Roma, eppure nessuna voce si è mai levata contro Giovanni, quando correva e strillava dentro le sue mura o nei suoi parchi.
È davvero una città per tutti, sembra costruita – come l’area circostante – per farti trovare il tuo angolo, comunque tu sia fatto. Infatti, proprio come un’ospite esperta in galateo, Aosta non pretende che un certo tipo di bellezza sia quello di tutti, ma vuole conquistarti cercando di fornirti proprio il tuo. L’aria frizzante delle montagne, appena si esce un po’ dalla città, il mormorio dei prati, la morbidezza di quello che sembra un immenso mare infinito, mi hanno riempito il cuore anche negli anni successivi, in cui, per motivi diversi, non sono potuta tornare là.

Ma Aosta ha offerto scampoli di bellezza non convenzionale anche a Giovanni, un bambino autistico, il cui giudizio è fatalmente diverso dalla media. Un autistico, infatti, considera un posto bello se è dotato di alcune caratteristiche: deve continuare ad esserlo anche a un esame dei particolari, deve contenere elementi costanti e non trasformabili, dev’essere possibile costruirvi intorno un’abitudine, cioè deve in qualche modo diventare “un nido”. Perché un luogo possa essere bello, insomma, vi devono essere stimoli controllabili, acquisibili e gestibili in maniera strutturata e non dispersiva.
Giovanni sapeva che, alzandosi al mattino, in pochi metri era nel “suo” parco: un parco grande, ma costruito a misura sua, dove poteva trovare giochi avventurosi che provava magari solo una volta, ma anche le altalene sempre uguali, sempre affidabili e tranquille.
Con mio figlio non potevamo certo recarci in alta montagna, ma ci godevamo l’abbraccio tranquillo e sicuro di prati e alberi familiari. In quei giorni, Giovanni correva nel verde, senza niente e nessuno a fermarlo, a volte, ma solo raramente, urlando. Aveva un suo spazio, una sua libertà, e i punti di riferimento, così indispensabili sia per me che per lui, rimanevano quelli. Alla fine li conoscevi proprio, gli alberi, le altalene, i negozi e, ovviamente, la gente che li popolava. Che salutava e discorreva, ma senza mai farti sentire diverso da loro.
Erano posti dove potevamo persino rimanere soli e poi tornarcene tranquillamente a casa, senza incorrere in pericoli particolari.
Mai, nemmeno una volta, quando andavamo a pranzo fuori, ci capitò che qualcuno – come è invece successo altrove e, ahimè, anche a Roma – facesse storie per preparare a Giovanni la sua pastina, o avesse nei suoi confronti – o nei miei – un’attenzione, positiva o negativa che fosse, che ci facesse sentire diversi. Cose semplici, ma che costruiscono ricordi duraturi e soprattutto positivi.

Quando più tardi ho raccontato di questo, mi è stato detto che per Aosta e la sua Valle è facile, perché sono pochi abitanti e la Regione è a Statuto Speciale. Ma questo mi sembra un controsenso e, soprattutto, una scusa bella e buona. Ogni individuo, infatti, ha il diritto di avere il proprio spazio nella città in cui abita o che viene a visitare, altrimenti di cosa parliamo quando pensiamo all’uguaglianza? La bellezza, senza rispetto, ben presto si riduce a una realtà sterile, mentre un’armonica bellezza è fatta di cura e di attenzione.
E non lo dico a cuor leggero… Recentemente, infatti, è stato inaugurato vicino a casa mia, a Roma, per la terza volta, il parco nei pressi di Montespaccato. Ebbene, per due volte l’area è stata vandalizzata e per almeno tre volte Giovanni è stato lì dentro terrorizzato da ragazzetti e adolescenti che ci sparavano botti e distruggevano le giostre… Ad Aosta non è mai successo. Chissà, forse bisogna imparare di più dalle “vecchie signore”!

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