Sanità: le strade divergenti dell’OMS e dell’Italia

di Vera Lamonica* e Stefano Cecconi*
Mentre infatti l’Organizzazione Mondiale della Sanità raccomanda di allargare i sistemi sanitari universali, considerati la migliore risposta ai diritti delle persone e alle esigenze di sostenibilità del welfare, nel nostro Paese molti segnali fanno pensare che si intende aprire la strada a un diritto alla salute e alle cure assai “meno universale”

Immagine sfuocata di operatori sanitari in un ospedaleDopo anni di tagli lineari, il nostro Servizio Sanitario Nazionale è a rischio, e con esso il diritto alla tutela della salute per i cittadini. Già oggi milioni di persone rinunciano a curarsi per motivi economici, anche per il continuo aumento dei ticket. Inoltre, i LEA [Livelli Essenziali di Asistenza, N.d.R.] non sono più interamente garantiti, soprattutto in alcune Regioni. E così, un settore del welfare che potenzialmente può creare nuovi e qualificati posti di lavoro invece continua a perderli.
Il nuovo Patto per la Salute [fondamentale accordo finanziario e programmatico di valenza triennale, riguardante la spesa e la programmazione del Servizio Sanitario Nazionale, finalizzato a migliorare la qualità dei servizi, a promuovere l’appropriatezza delle prestazioni e a garantire l’unitarietà del sistema, N.d.R.] deve affrontare questa situazione, per ricostruire in tutto il Paese il diritto universale alla tutela della salute e a cure di qualità.

Il primo passaggio concreto sarà la prossima Legge di Stabilità, che dovrà stanziare subito i 2 miliardi per il Fondo Sanitario, onde evitare i nuovi ticket dal mese di gennaio del 2014. In tal senso, le rassicurazioni del ministro della Salute Lorenzin sono apprezzabili, ma non bastano, serve la legge. E serve un cambio di indirizzo: se infatti la Sanità, come ammette anche il Ministro, è davvero un investimento prezioso – che produce più effetti positivi (diritto alle cure, buona occupazione, ripresa economica) -, bisogna adeguare il finanziamento (tra i più bassi in Europa) e vincolare risorse alla riorganizzazione, fermando i tagli lineari che impediscono scelte selettive, indispensabili per riqualificare la spesa.
Ciò vuol dire rivedere ad esempio la logica “repressiva” dei Piani di Rientro: per risanare i bilanci, infatti, occorre puntare alla qualità e all’appropriatezza, non tagliare e basta.

Le priorità sono note da tempo e dipendono dai bisogni delle persone: l’invecchiamento della popolazione e l’aumento delle malattie croniche (una vera e propria “epidemia”, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità) reclamano più prevenzione, più assistenza territoriale e cure primarie sulle ventiquattr’ore, più integrazione tra sociale e sanità.
Serve quindi cambiare, e per farlo bisogna dare valore e stabilità al lavoro in sanità. Su questo terreno siamo pronti a un confronto per il nuovo Patto per la Salute, che punti decisamente a riqualificare e a potenziare i servizi per i cittadini e così facendo a garantire la sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale. Sempre che il Ministro accetti finalmente l’incontro che unitariamente il Sindacato Confederale ha richiesto.

Per tutte queste ragioni, confermiamo le nostre preoccupazioni sulla Nota di Aggiornamento del DEF (Documento di Economia e Finanza), presentata il 20 settembre scorso dal Governo, che annuncia per i prossimi anni una progressiva, ma inesorabile riduzione della spesa sanitaria in rapporto al Prodotto Interno Lordo (PIL). E ancor più preoccupante è quella Nota, quando parla di sistema sanitario selettivo e di ridisegnare il perimetro dei LEA, ovvero delle prestazioni cui hanno diritto i cittadini. Il che, viste le riduzioni di spesa previste, vuol dire sostanzialmente tagliare i LEA.

Ebbene, è in tale scenario che il ministro Lorenzin – come si può leggere in un’intervista rilasciata nei giorni scorsi al «Sole 24 Ore – Sanità» – immagina di allargare l’intervento dei fondi privati, vale a dire proprio per compensare la riduzione dei LEA. Ma questa non sarebbe una sanità integrativa, utile e buona per coprire le prestazioni che attualmente il Servizio Sanitario Nazionale non assicura o assicura in parte (ad esempio quelle per la non autosufficienza o per l’odontoiatria). Sarebbe invece una sanità privata parallela al Servizio Sanitario Nazionale pubblico, costretto a ritirarsi.
In tal modo, il diritto alla salute e alle cure non sarebbe “universale”: il cittadino, infatti, avrebbe più o meno tutele a seconda della copertura assicurativa parallela che riuscirebbe a comprare.
Cosicché, invece di dare più forza al Servizio Sanitario Nazionale, si aprirebbero le porte al mercato assicurativo in Sanità, un vero paradosso, questo, proprio mentre l’Organizzazione Mondiale della Sanità raccomanda di allargare i sistemi sanitari universali, considerati la migliore risposta ai diritti delle persone e alle stesse esigenze di sostenibilità del welfare.

Vera Lamonica è segretario confederale della CGIL e Stefano Cecconi è responsabile delle politiche della Salute nella CGIL Nazionale.

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