Anita, Demetra, due brutte storie di diritti negati, e non certo le sole, in un Paese nel quale, in questo momento, le priorità sembrano essere proprio altre.
La prima è una delle tante vicende legate al sostegno scolastico, rispetto al quale non possiamo non condividere le parole pronunciate anche su queste pagine, ormai da anni, da Salvatore Nocera, quando dichiara ad esempio che «l’obiettivo non dovrebbe essere quello di aumentare gli insegnanti di sostegno, ma di formare quelli curricolari, oggi assolutamente impreparati a lavorare con la disabilità». Giustissimo. Questo era infatti lo spirito con cui venne avviato in Italia un percorso di integrazione e inclusione, additato ad esempio in molti altri Paesi del mondo. E tuttavia…
Tuttavia ci sono casi, come quello della piccola Anita di Roma, che lasciano letteralmente senza fiato e che pur con la consapevolezza che le Leggi e le Sentenze daranno quasi certamente ragione a eventuali ricorsi da parte della sua famiglia, nel frattempo fanno registrare la situazione di una bimba con disabilità letteralmente abbandonata a se stessa.
A segnalarci la vicenda è stata Sonia Di Lenarda, l’attivissima presidente del Comitato Genitori Ambulatori CEM (Centro Educazione Motoria) di Roma, che tante vicissitudini ha dovuto a propria volta affrontare nei mesi scorsi.
Anita è nata nel 2006 con una cardiopatia congenita grave e ha trascorso i primi nove mesi di vita in un reparto di Terapia Intensiva Cardiochirurgica. Nove gli interventi cui è stata sottoposta, tre dei quali a cuore aperto. Per quattro mesi e mezzo è stata collegata a un rspiratore meccanico, subendo due emorragie cerebrali e una sepsi. Tuttora è seguita dall’Ospedale Bambino Gesù di Roma per controlli continui della sua patologia e dall’IRCSS Santa Lucia per le terapie riabilitative.
Dai primi mesi del 2012 è in possesso del certificato di invalidità, con connotazione di gravità, e quest’anno è stata iscritta alla prima elementare, presso la Scuola Padre Lais. Ebbene, le lezioni sono iniziate il 9 settembre e fino a qualche giorno fa l’insegnante di sostegno non era mai arrivato. Forse verrà nominato in questi giorni.
C’è poco da aggiungere a quanto scriveva il 20 settembre la mamma di Anita: «La bimba non è stata seguita in questo momento di passaggio fondamentale e non sappiamo ancora quando l’insegnante sarà presente e per quante ore. La psicologa del Santa Lucia ci ha sollecitati a fare le dovute rimostranze in quanto era proprio in questo momento che, viste le difficoltà della bambina, il sostegno avrebbe dovuto essere presente e attivo per aiutarla».
L’altra vicenda di cui ci occupiamo oggi, invece, sembra proprio far “toccare con mano” tutti quei danni che denunciamo da sin troppo tempo, relativi alla cosiddetta “caccia ai falsi invalidi”, avviata da anni dall’INPS, con l’approvazione dei Governi che si sono via via succeduti, e che ben miseri risultati ha prodotto anche in termini di risanamento delle casse pubbliche.
Demetra, 18 anni e sette interventi chirurgici alla testa nel primo anno di vita, era invalida al 100 per cento fino al mese di aprile scorso. Poi la Commissione ASL di Pescara ha decurtato quella percentuale, riconoscendole il 67 per cento e il 3 per cento della pensione di invalidità.
A occuparsene sono state le cronache abruzzesi del quotidiano «Il Tempo», cui la mamma di Demetra – separata e da poco anche disoccupata – ha raccontato di essere stata affetta «da toxoplasmosi in gravidanza, non diagnosticata», ciò che ha in seguito provocato i gravi problemi alla figlia, «oggi totalmente incapace di badare a se stessa, con comportamenti autistici e un’emiparesi». «La sua non autosufficienza io la vivo nella mia quotidianità e ora, con il mancato riconoscimento della sua invalidità, ha perso anche l’assistenza scolastica e non so se il mio Comune [Spoltore, in provincia di Pescara, N.d.R.] mi rimborserà i 200 euro spesi per i libri». E ancora: «Due giorni fa i Vigili Urbani di Pescara mi hanno portato via la macchina con tanto di tagliando per disabili perché questo era scaduto»…
Si tratta di una madre, comunque, del tutto determinata a far valere i suoi diritti e ad avviare l’iter per far sì che Demetra torni ad essere considerata quello che è, ovvero una ragazza con invalidità totale. «Intanto, però, mia figlia perderà l’anno scolastico, perché togliendole l’assistenza ora non ha più punti di riferimento e anche fare la terapia riabilitativa sarà più difficile».
A questo punto se una buona notizia arriva dal Sindaco di Spoltore, che ha annunciato la volontà del Comune di rimborsare almeno quei 200 euro spesi per i libri di scuola, non si possono tuttavia non condividere, dalla prima all’ultima frase, le dichiarazioni rilasciate anch’esse al quotidiano «Il Tempo» da Claudio Ferrante, presidente dell’Associazione Carrozzine Determinate Abruzzo: «Con le regole entrate in vigore il 1° gennaio 2010 – ha detto Ferrante – ci si attendeva una vera e propria “rivoluzione” sull’accertamento e il riconoscimento delle minorazioni civili, dell’handicap e della disabilità. E invece, durante una visita che dura soltanto cinque minuti, non ti danno nemmeno la possibilità di spiegare le difficoltà fisiche e sociali che un paziente incontra. Non si applica la Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute [ICF, N.d.R.], che è lo strumento dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, per descrivere e misurare la salute e la disabilità delle popolazioni e spesso i medici hanno una specializzazione completamente diversa rispetto al paziente che si sottopone a visita. Cosa può sapere, ad esempio, un otorino di toxoplasmosi o di autismo?».
«Demetra – ha concluso Ferrante – è vittima della speculazione sui “falsi invalidi”, da colpire con durezza, sia ben chiaro, durezza che dovrebbe però essere pari a quella con cui colpire le Commissioni che corrispondono le false invalidità. A Demetra non hanno revocato soltanto la pensione d’invalidità (circa 270 euro al mese) o sospeso la certificazione dell’handicap, ma le hanno tolto la speranza. Non potrà più essere integrata a scuola, non potrà continuare le cure riabilitative, non potrà più ottenere ausili, non potrà avere assistenza psicopedagogica domiciliare, non potrà presentare progetti di “vita indipendente e persino il trasporto per le cure fisioterapiche diventerà un lusso. Certo la mamma inoltrerà ricorso e lo vincerà, ma nel frattempo, prima che si pronunci il Giudice, passerà un bel po’ di tempo e alla Commissione che ha violato i diritti umani non succederà proprio un bel nulla».
«Ci preoccupiamo ogni giorno di diventare un Paese povero, mentre dovremmo piuttosto considerare quanto stiamo diventando un “povero Paese”»: lo aveva scritto recentemente, su queste stesse pagine, Daniela Francese. Storie come quelle di Anita e Demetra ben lo dimostrano. (Stefano Borgato)
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