Ho letto gli interventi di Giorgio Genta (Chi rappresenta le famiglie con disabilità? e “Nulla su di noi e senza di Noi”… e le nostre famiglie) e quello di Salvatore Nocera (Nessuno tutela i diritti delle persone con disabilità?), tutti pubblicati da «Superando.it» e non posso fare a meno di esprimere la mia opinione in quanto faccio parte proprio di quelle famiglie indicate da Genta. E ne faccio parte da quarant’anni, da quando cioè mia figlia è entrata a far parte della mia vita, della nostra vita, come famiglia.
Genta non poteva spiegare meglio ciò che siamo considerate, cioè nulla, perché semplicemente “non esistiamo”, siamo gli “invisibili tra gli invisibili”, come se i nostri figli – quelli che hanno reso le nostre famiglie culla dell’amore e della condivisione – non fossero persone con diritti e noi genitori, se desideriamo offrire loro il meglio, visti come dei “condannati” a vivere ai margini della società. E questo nonostante la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, nonostante tutte le belle – sulla carta – e buone leggi che abbiamo a livello nazionale.
Molti dei nostri figli non possono spiegare ciò che provano, ciò che desiderano, ciò che sono e noi genitori che cerchiamo di dar loro voce non siamo presi in considerazione, perché da molti – troppi -, veniamo considerati come “addolorati e disperati genitori”, e non come persone con cui confrontarsi; cosicché le nostre parole vanno perse nel vento e nei fiumi di discorsi per l’abbattimento delle barriere architettoniche, per il lavoro protetto, per il diritto a viaggiare, per il diritto alla sessualità e così via. Discorsi fatti per chi ha ottenuto visibilità, stupore e attenzione generale, perché è una persona che riesce – nonostante la disabilità fisica – a ottenere risultati invidiabili anche da parte di chi è “integro” fisicamente, riuscendo così a diventare indipendente economicamente e di conseguenza a gestire in piena autonomia la propria vita.
Ci sono persone invece che rimarranno in famiglia sino alla fine dei loro giorni perché non avranno mai una vita autonoma, non riusciranno mai a far conoscere i loro talenti – che pur ci sono, anche se non sono quelli di ballare su un palco, di diventare professori o modelle di fama, nonostante la disabilità – ma sono quelli sollecitati e riconosciuti solo dalla famiglia e in particolare dai genitori.
La famiglia con disabilità non riposa mai, né di giorno né di notte, e se ha una parvenza di riposo è fittizia, perché al minimo suono diverso dal solito, al minimo respiro più affannoso, ecco che il genitore – quasi sempre la mamma – è già sveglio, pronto a intervenire.
Le giornate sono governate da gesti ripetitivi, come somministrare farmaci, acqua, alimenti o cambiare pannoloni; e le coccole sono indispensabili, così come il nostro sorriso, che non deve mai essere assente, perché così si rasserenano e si rallegrano i cuori dei nostri figli, e anche i nostri, specie quando dobbiamo scontrarci con la burocrazia che non prevede le mille specificazioni connesse alla disabilità, o con l’ottusità di chi gestisce la cosa pubblica e che non riesce a comprendere la complessità di vita delle famiglie con disabilità, ottenendo anche – proprio per questa ottusità – di diventare “carnefice”, negando un diritto, solo perché non riesce a essere autonomo nelle proprie decisioni e non vuole prendersi responsabilità. Meglio sempre “affogare” una famiglia!
Ha quindi ragione Gente quando dice che non ci sono tutele per le famiglie con disabilità, che non se ne occupa nessuno, che non se ne vuole occupare nessuno, né rappresentarci. Siamo complesse, altrimenti saremmo semplicemente persone e considerate come tali, con diritti e doveri. E invece no, la complessità mette in moto risorse inimmaginabili che fanno parte della nostra vita e che in pochi conoscono e apprezzano.
Per la maggioranza dei nostri concittadini, infatti, i nostri figli sono “pesi” e noi famiglie dovremmo adeguarci, non pretendere il riconoscimento del diritto a una vita dignitosa, come tutti. L’essere famiglia con disabilità è lo scotto che paghiamo per aver avuto un figlio con una grave disabilità e in molti casi per averlo scelto.
Ha ben ragione Salvatore Nocera, quando scrive che molto è stato fatto per le persone con disabilità, che molti hanno visto migliorare la propria vita, che c’è la scuola, che ora è un diritto. Ma anche questo è un diritto solo sulla carta perché non sembra un grande passo avanti se i genitori devono costantemente ricorrere ai Tribunali, se devono ancora scontrarsi con le tante discriminazioni perpetrate ai danni dei nostri figli… E anche in questo caso, ciò succede quando la disabilità è complessa…
C’è poi il lavoro, che però di fatto non esiste. E ci sono certamente più leggi di tutela rispetto a quante ce ne fossero cinquant’anni fa. Poche, però, vengono veramente messe in pratica e di esse in pochi riescono a usufruire.
Le notti delle famiglie con disabilità… le giornate delle famiglie con disabilità… i ricoveri in ospedale delle famiglie con disabilità… i viaggi per le cure delle famiglie con disabilità… la vita quotidiana delle famiglie con disabilità… Le famiglie con disabilità le conoscono ben pochi, nessuno ne riconosce e ne difende i diritti di esseri umani e cittadini responsabili. Questo, a parer mio, è un dato di fatto e noi – come dice bene Genta – italianamente “ci arrangiamo”, ognuno come può, per i nostri figli, per noi stessi e per dare speranza a questo mondo.
Vorremmo però avere più attenzione , trovare soluzioni che ci aiutassero a vivere meglio senza avere come compagna giornaliera l’ira, l’ingiustizia, l’indifferenza. Forse la società non se n’è accorta, forse siamo diventati per molti degli “alieni”, forzatamente, ma noi siamo come tutti voi, esseri umani, con desideri, ambizioni, talenti, scoramenti, gioie e dolori, e come tutti vorremmo sentirci uomini, donne, madre e padri. Semplicemente famiglie senza aggettivi.