Come avevamo ampiamente riferito a suo tempo, la prima edizione del 2011 del premio per la drammaturgia Teatro e Disabilità – meritoria iniziativa organizzata dall’AVI di Roma (Agenzia per la Vita Indipendente) e dall’ECAD (Ebraismo Cultura Arte Drammaturgia), nata con l’obiettivo di dare una voce all’anima delle molteplici disabilità attraverso la scrittura teatrale – l’aveva premiata con il secondo posto, giudicando che avesse ottimamente evidenziato quello «sguardo stereotipato sulla disabilità che genera talvolta stigma, causando forme di autoesclusione» e ritenendolo «un racconto teatrale pieno di situazioni sceniche tra il comico e l’imbarazzante». Altri premi, poi, sono arrivati per Amalia e basta, come ad esempio la vittoria, nel 2012, sia nella categoria dei monologhi a Sipario-Autori Italiani, sia tra i testi teatrali a InediTO Colline di Torino.
E ora, questa intelligente rappresentazione sta per tornare in scena venerdì 4 ottobre a Provaglio d’Iseo, in provincia di Brescia (Cinema Teatro Pax, ore 21), nell’àmbito della nona edizione di C.I.T.T.A DOLCI (Circuitazione Teatrale in Terre d’Acque DOLCI), per la produzione dell’Associazione Culturale Falesia Attiva e sempre, naturalmente, con la regia e l’interpretazione di Silvia Zoffoli, che ne è anche l’autrice (scene di Leonardo Carrano; disegno luci di Marco Maione; costumi di Maria Grazia Lasagna Mancini; strutture scenografiche di Carlo e Roberto Zoffoli; assistente alla regia Ilaria Montagna).
Amalia, protagonista della storia, lavora come hostess di museo e una giornata in cui le sembra che il tempo non passi mai diventa l’occasione per ripercorrere le tappe fondamentali della sua vita, quelle cioè di una giovane come tante, che però è sorda dalla nascita. Ed è con la sua disabilità “invisibile” – diversità con cui confrontarsi sia rispetto agli udenti, sia rispetto agli altri sordi – che Amalia si misura, facendo emergere vari risvolti, talora tragicomici, e riuscendo infine ad accettarsi appunto come “Amalia e basta”.
«Un soggetto intrigante e poco frequentato (l’ipoacusia) – hanno scritto i giurati di Sipario-Autori Italiani – sviluppato con toni di verità e una partecipazione emotiva che rivela una sorprendente, simpatetica contiguità col tema trattato, attraverso un’apprezzabile modulazione dei diversi registri verbali».
«Rispetto alla sordità – annota la stessa Silvia Zoffoli – oggi c’è ancora molta ignoranza: nell’uso comune resiste non di rado l’utilizzo del termine “sordomuto” per indicare chi, invece, è semplicemente sordo. In realtà la disabilità uditiva è complessa, declinata in differenti forme, modi ed esistenze. Questo testo nasce da un intenso percorso di ricerca, in cui il mio unico criterio guida è stato mettermi in ascolto empatico di molte storie e persone, le più diverse fra loro. Probabilmente in Amalia c’è un po’ di ognuna di esse. Io non posso definirmi un’esperta di sordità né faccio teatro “per sordi”: ho semplicemente sentito la necessità di raccontare, attraverso il teatro, un personaggio che stimoli il pubblico a conoscere una realtà più vicina di quanto si possa immaginare e quello che ho voluto sottolineare è il valore dell’unicità della persona, che non è riducibile a un solo “aggettivo”».
«Amalia – prosegue l’autrice dell’opera – non ama andare in giro con il “libretto delle istruzioni”, eppure è lei la prima a voler cercare una definizione univoca di se stessa e degli altri, la cerca e al tempo stesso la rifugge, vorrebbe appartenere a un gruppo in cui trovare i propri simili, eppure sente gli altri ostili. La sua ironia e fresca leggerezza, in realtà, sono il risultato di un percorso di crescita personale non certamente facile, che vede la sua catarsi nell’accettazione della fragilità. E questo, se si vuole, vale per la sordità come per qualunque altra condizione dell’essere umano: accettarsi ed essere accettati per quelli che si è significa vivere una contraddizione costante fra la ricerca di un’identità precisa e l’insoddisfazione nel non trovarne mai una univoca».
«Probabilmente -conclude Zoffoli – c’è un po’ di Amalia in ognuno di noi. Ho voluto giocare su una messa in scena basata sui colori e sulla loro combinazione, sia per l’ambientazione del testo (un museo) e le passioni della protagonista (l’arte e la pittura), sia per dare un’idea visivo-simbolica di una realtà complessa com’è quella dei sordi. Ho voluto poi lavorare su due livelli, percezione di sé e percezione degli altri, giocando su registri diversi di recitazione, per cercare di restituire, al tempo stesso, la fragilità e la forza di questa piccola grande donna». (S.B.)
Per ulteriori informazioni e approfondimenti: falesiattiva@gmail.com.