Quei “fiori della crescita” che si notano dal Kilimangiaro

di Ada Nardin
Altri “fiori” per Ada Nardin, la giovane donna non vedente, traduttrice e consulente di autonomia personale, da qualche anno molto attiva anche in Africa, in veste di cooperante, a “seminare autonomia”, della quale abbiamo già raccontato le esperienze in Mali e nella Repubblica Democratica del Congo. E la forza di quei “fiori” si nota anche dal Kilimangiaro, la “Grande Montagna”, non lontana dalle città della Tanzania protagoniste di questo racconto
Il Kilimangiaro fotografato da Moshi in Tanzania
Un’immagine del Kilimangiaro, fotografato dalla città di Moshi in Tanzania

Eccomi di nuovo a scrivere di cooperazione allo sviluppo, per raccontare la mia ultima esperienza, l’ottava in sei anni, da quando ho sentito che potevo e volevo intraprendere un sentiero ancora ignoto, forse in salita, ma che avrebbe colmato il bisogno di dare cittadinanza al mio spirito di servizio.
Gli stessi “fiori della crescita”, piantati e sbocciati prima in Mali e poi nella Repubblica Democratica del Congo, sono stati seminati in terra tanzaniana, precisamente nelle scuole secondarie integrate di Moshi e Longido, due vivaci città non lontane dal Kilimangiaro, la più alta montagna d’Africa.
Narrerò quindi dei numerosi petali multicolore corrispondenti ai laboratori attivati da noi formatori, e dei gratificanti risultati raccolti con la soddisfazione e l’ambizione insita in coloro che desiderano che il proprio lavoro possa fare la differenza.

In questa occasione, dunque, sono partita per la Tanzania a seguito dell’Associazione Mamafrica la quale ha scelto di avvalersi dell’esperienza maturata sul campo da chi scrive e da Michelangelo Rodriguez, ingegnere informatico, nel delicato compito di formare i formatori, e che ha finanziato il progetto in partnership con la Chiesa Valdese, confessione religiosa che devolve l’otto per mille ai progetti umanitari.
Gli obiettivi da raggiungere nelle diverse realtà scolastiche che ci accolgono sono pressappoco gli stessi e tuttavia, risulta evidente che essi possano lievemente differire a seconda di alcune variabili quali il livello di sviluppo umano e di scolarizzazione dello Stato in cui si opera, le condizioni socio-ambientali che si incontrano, le differenti esigenze dei docenti a cui rivolgiamo i nostri insegnamenti – anche in funzione del tipo o grado di scuola in cui lavorano – e la libertà di intervento che ci viene concessa dalle autorità scolastiche locali.
Questa volta il contesto è stato particolarmente favorevole e le condizioni stimolanti; infatti, abbiamo avuto il privilegio di interagire con un corpo di insegnanti fervido di idee, dotato di grande volontà, ricettivo al nuovo, assetato di conoscenza, ricco di curiosità e aspettative, e in possesso di un buon livello di istruzione.

I partecipanti sono stati scelti fra i docenti delle materie scientifiche di due istituti secondari integrati fra ciechi e vedenti e il corso ha avuto una durata di centoventi ore complessive, svolte da chi scrive e dall’ingegner Rodriguez.
I workshop che abbiamo concordato di attivare sono stati seguiti con autentico interesse e con concreta e fattiva partecipazione. Questi i laboratori previsti dal progetto:
– Tiflodidattica: finalizzato alla presentazione del materiale consegnato, quello prodotto dalla Federazione Nazionale delle Istituzioni Pro Ciechi e, soprattutto, all’apprendimento del corretto utilizzo degli indispensabili e versatili strumenti tiflologici che consentono agli insegnanti di realizzare autonomamente tavole o schemi di ogni genere. afferenti alle rispettive materie di pertinenza.
– Tifloinformatica: destinato all’insegnamento dei docenti di informatica sull’utilizzo delle tecnologie assistive onde poterne spiegare l’uso agli allievi privi della vista e introdurli all’impiego di scanner e software OCR [Optical Character Recognition, N.d.R.], per poter trasformare un testo stampato in testo elettronico, al fine di fruirne tramite un personal computer o di poterlo stampare a caratteri braille e ingranditi.
– Mobilità autonoma: diretto – dopo la distribuzione di un discreto numero di bastoni bianchi lunghi – alla preparazione di figure professionali in grado di trasferire le più comuni tecniche di protezione, orientamento e mobilità che consentono ai ciechi e agli ipovedenti, al termine di un opportuno addestramento, di spostarsi con cognizione di causa e in piena sicurezza.
– Sport: indirizzato a favorire e a promuovere fra i privi della vista un miglior grado di mobilità e agilità, ribadendo i ben noti benefìci che l’attività fisica comporta.
– Firma in nero: rivolto al perseguimento del nobile obiettivo di illustrare ai futuri riabilitatori le tecniche per consentire ai ciechi di firmare per esteso, permettendo loro di conquistare la propria dignità formale.

Anche questa volta le soddisfazioni non sono mancate; gli obiettivi sono stati centrati e la frequenza ai workshop è stata così partecipata e collaborativa che i corsisti hanno immediatamente iniziato a porsi interrogativi e a darsi risposte, a comprendere come utilizzare le proprie e le altrui risorse, a intravvedere le prime difficoltà e a chiedere consigli su come risolverle, a disegnare nuove frontiere da raggiungere, a ipotizzare eventuali ostacoli da infrangere, a immaginare sfide da intraprendere, ad avanzare proposte da realizzare a breve, medio e lungo termine, e a programmare interventi per mettere a frutto gli insegnamenti da noi proposti, dimostrando, così, di aver preso coscienza del ruolo fondamentale che giocheranno per i ciechi e gli ipovedenti tanzaniani grazie alle competenze appena acquisite.
Un vero e proprio passaggio delle consegne fra noi e loro, quindi, tra formatori e formatori, tra persone unite dalla stessa voglia di imparare, insegnare, comunicare e crescere.
L’occasione per noi cooperanti è stata duplice: per prima cosa abbiamo infatti potuto misurarci con differenti tipologie di risposta alle nostre sollecitazioni, potendo, in tal modo, arricchire la nostra esperienza umana e formativa; in secondo luogo, siamo entrati in contatto con una multiforme e pacifica popolazione composta da circa centoventi gruppi tribali, fra cui i celebri e fieri Maasai e abbiamo effettuato un’impegnativa escursione alla “Grande Montagna”, il Kilimangiaro, dalle cui altezze ho goduto a modo mio di un esaltante panorama e contemplato i nostri fiori appena piantati e già cresciuti con forza e consapevolezza.

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