La sfida vinta da ReaTech Italia

«Per la prima volta – scrive Franco Bomprezzi, parlando della fiera milanese “ReaTech Italia” – non sono state le aziende di settore a imporre la logica di una tradizionale fiera di prodotti in cerca di compratori. A farla da protagoniste, invece, sono state le persone, con le loro esperienze, i loro bisogni, la voglia di innovare e di sperimentare soluzioni». E certi incontri, come quello con il giovane Cody McCasland, fanno davvero ben sperare…

Cody McCasland e Rudy Garcia Tolson a "ReaTech Italia 2013"

Cody McCasland e Rudy Garcia Tolson alla fiera milanese “ReaTech Italia 2013”

Tre giorni di vera “apnea” per chi scrive, tra convegni, incontri, strette di mano, suggestioni di ogni genere, negli spazi di ReaTech Italia, a Fieramilanocity, che si è chiusa il 12 ottobre con un evento pazzesco, per chi, come noi, è abituato da troppo tempo a ragionare solo di tristezze e di problemi da risolvere. Per qualche ora, infatti, abbiamo toccato da vicino il futuro possibile: un mondo normale, nel quale la disabilità non sia più un problema – e un fattore di emarginazione -, ma solo un “challenge”, una sfida.
Il messaggio fortissimo è venuto dalle due persone ritratte nella foto qui a fianco, ovvero Cody McCasland*, 12 anni, e Rudy Garcia Tolson, “ironman”, campione paralimpico di triathlon. Oltre alla tenacia nel volerli portare a ReaTech Italia di Claudio Arrigoni, giornalista del «Corriere della Sera» e della «Gazzetta dello Sport», grande merito va anche dato a chi questo evento ha costruito in pochi mesi, dando a Milano finalmente una dimensione internazionale e un coinvolgente caleidoscopio di emozioni e di dimostrazioni di abilità.

Per me che di anni ne ho 61 c’è stato, sabato, un momento di commozione, quando ho scambiato due parole con Cody, mentre ci fotografavano insieme. Lui, con il suo sorriso permanente, schietto, non costruito, ha rappresentato in un attimo quasi il passaggio di un testimone fra le generazioni.
Se ci sono ragazzi come lui, nel mondo (e poco importa se vive negli Stati Uniti, oggi il mondo è globale e il web supera qualsiasi distanza, anche di lingua), possiamo davvero sperare di aver seminato buone idee sulla vita, e non soltanto per noi, ma per tutti.
Cody, che cammina svelto sulle protesi a lama, e accanto a lui il suo “tutor”, Rudy, parlano infatti di una vita degna di essere vissuta, e non si pongono limiti né pregiudizi. Ma non hanno l’aria di chi viene a impartirti una lezione, di portare quasi un “new deal” americano per noi “poveri europei” che siamo come sempre in ritardo. Anzi, ho avuto l’impressione che siano rimasti colpiti dalla qualità e dalla quantità delle cose che siamo capaci di fare anche noi, nel nostro piccolo, fra mille difficoltà. Si sono divertiti vedendo gli spazi dedicati alla pratica sportiva, ma anche le tante nuove applicazioni dell’ingegno, esposte da aziende, associazioni, laboratori progettuali, il tutto in un’atmosfera raccolta e compatta, composta da persone in gamba, che avevano il piacere e la voglia di incontrarsi.

ReaTech Italia è dunque, secondo me, una sfida vinta ampiamente. Può crescere, migliorare, allargarsi nella parte commerciale, semplificarsi nella proposta di convegni tecnici, ma nel complesso ha centrato l’obiettivo di rappresentare esattamente la profonda mutazione in atto, nel mondo delle persone con disabilità.
Per la prima volta, infatti, non sono state le aziende di settore a imporre la logica di una tradizionale fiera di prodotti in cerca di compratori, per altro quasi “obbligati” nella scelta, visto che non siamo certo in presenza di un libero mercato che si confronta in termini di qualità e di prezzo. No, in quei tre giorni ho visto la metamorfosi del tessuto associativo e delle esperienze in atto, un po’ in tutta Italia: sono le persone, con le loro esperienze, i loro bisogni, la voglia di innovare e di sperimentare soluzioni, a proporre un nuovo tipo di mercato degli ausili e dei servizi, molto più immateriale e leggero rispetto al passato, più rispettoso delle compatibilità economiche delle famiglie, meno affascinato dal futuribile e dall’ipertecnologico, e attento invece a ciò che oggi si può realizzare partendo dagli oggetti e dagli strumenti di tutti (dagli smartphone alla domotica, passando per il turismo accessibile e lo sport in tutte le sue possibili accezioni).

Una generazione di creativi sta reinventando le potenzialità di un mondo ricco di risorse umane, ma ancora troppo povero di mezzi per poter diffondere in modo adeguato soluzioni semplici e personalizzabili, attorno alle persone e al loro progetto di vita.
Compito oggi di una nuova fiera che voglia essere punto di riferimento ineliminabile è proprio quello di segnalare il meglio e di creare un mood, un comune sentire, un luogo condiviso, nel quale la competizione non significa concorrenza sleale, ma costruzione, tutti insieme, di una gamma ampia di possibili risposte alle sfide che provengono dalle singole e variegate situazioni di deficit fisico, sensoriale o intellettivo e relazionale.
Milano recupera dunque una centralità e una visibilità, nel luogo giusto e dignitoso per proporre il mondo che verrà. Una fiera non è il momento per risolvere le questioni politiche, sociali o previdenziali di questo mondo. E in questo senso la scarsa presenza della politica si è rivelata una scelta di buon gusto, un rinunciare opportuno a una vetrina pubblica, nel momento in cui è ben chiaro che non c’è la bacchetta magica per risolvere questioni che si trascinano da anni.

Ma la sollecitazione forte che è venuta sul fronte del diritto al lavoro, le parole chiare persino del presidente dell’INPS Antonio Mastrapasqua (è finita la fase dei controlli e della definizione corretta della platea delle persone con disabilità – ha detto in sostanza – occorre entrare in una nuova fase, e allora una pensione da 270 euro mensili non è degna di un paese civile), le tante proposte concrete di associazioni ed esperti, sono tutti elementi che riportano la disabilità al centro dell’agenda dello sviluppo economico. E il messaggio, in vista dell’Expo 2015 di Milano, non può essere sottovalutato.
Intanto ripenso con gioia alla corrente elettrica che ho sentito attraversarmi la mano, quando l’ho posata sulle spalle del piccolo grande Cody. Buona vita, giovane amico mio. Facci sognare.

*Il ragazzo americano, le cui gambe sono state amputate a pochi mesi, è diventato uno dei “motivatori” dei soldati del suo Paese, tornati con disabilità dalle guerre.

Direttore responsabile di «Superando.it».

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