Si sta tenendo a Ferrara, venerdì 18 ottobre (Città del Ragazzo, Viale Don Calabria, 13, ore 9), il convegno conclusivo dei lavori svolti nell’àmbito del progetto europeo LED (Learning Environment for Disabled Users), promosso nel nostro Paese dalla Città del Ragazzo, centro di formazione professionale attivato nella città estense dall’Istituto Opera Don Calabria.
Aperto da Raffaello Corrà, superiore della Comunità Religiosa Opera Don Calabria e da Chiara Sapigni, assessore alle Politiche Sociali del Comune di Ferrara, l’incontro del 18 ottobre prevede poi gli interventi di Pietro Barbieri, presidente nazionale della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) (Disabilità e lavoro: lo scenario nazionale), Silvia Cavicchi, coordinatrice di LED (Presentazione del Progetto LED) e Marta Tosini, assistente ricercatrice dell’Università Cattolica di Eichstätt-Ingolstadt in Germania (Risultati principali del progetto – Learning Model). Successivamente, a soffermarsi sul Valore aggiunto di LED per i partner internazionali del progetto, saranno David Muldoon del National Learning Network di Dublino (Irlanda), Kieran Molloy della Fondazione Cedar di Belfast (Irlanda del Nord), Andreja Kitek dell’Istituto Universitario Riabilitativo di Maribor (Slovenia) e Giordano Barioni dell’Opera Don Calabria di Ferrara. A trarre le conclusioni sarà infine l’assessore della Provincia di Ferrara Caterina Ferri.
Finanziato con il supporto della Commissione Europea, il progetto LED propone la realizzazione dell’inserimento lavorativo di persone con disabilità, attraverso l’analisi della formazione offerta e proponendo un modello unico europeo, grazie alla collaborazione di Paesi partner quali la Germania, l’Irlanda, l’Irlanda del Nord e la Slovenia.
Come evidenziato da più parti anche recentemente, lo scenario italiano riguardante il tema Disabilità e lavoro necessita certamente di un cambiamento: analizziamo pertanto assieme a Giuseppe Sarti, direttore del Centro Città del Ragazzo di Ferrara, nonché referente di LED, la situazione attuale e le principali criticità nel processo di formazione e integrazione nel mercato del lavoro, cercando di capire quale possa essere l’obiettivo principale del nuovo approccio formativo per l’inserimento lavorativo.
Dottor Sarti, vorremmo innanzitutto conoscere meglio le attività della Città del Ragazzo di Ferrara, centro di formazione promotore della partecipazione italiana al Progetto LED. Ce ne può tratteggiare la storia?
«La Città del Ragazzo di Ferrara è una sede filiale dell’Opera Don Calabria, nata, quest’ultima, nel 1951, per volere di monsignor Ruggero Bovelli, allora vescovo di Ferrara, e di don Giovanni Calabria, sacerdote veronese che aveva già avviato opere sociali in varie città d’Italia, con la finalità di offrire risposte concrete ai giovani e ai più poveri nel difficile periodo post-bellico.
La formazione e il lavoro, secondo don Calabria, erano mezzi formidabili per la crescita professionale e lo sviluppo personale. Oggi, dunque, la Città del Ragazzo, pur con strumenti e modelli pedagogici nuovi, mantiene i medesimi princìpi ispiratori, ed è costituita da due rami di azienda. Il primo è l’Istituto Don Calabria, che realizza diverse attività sociali: comunità educative per minori, un gruppo appartamento per neo-maggiorenni in uscita dalle suddette comunità, un laboratorio socio-occupazionale per persone con disabilità acquisita, la centrale nazionale di simulazione di impresa e una foresteria. Esso ospita inoltre tre Cooperative Sociali, che gestiscono rispettivamente una legatoria-cartotecnica, dove operano quasi cinquanta persone con disabilità congenita, un laboratorio per lo sviluppo di autonomie per giovani con gravi disabilità e una palestra per attività motoria adattata e personalizzata.
Vi è poi l’Associazione Centro Studi Opera Don Calabria, ente di formazione professionale accreditato, operante in tutti gli àmbiti formativi: sistema di istruzione e formazione professionale per giovani dai 15 ai 18 anni, formazione superiore e continua.
Il nostro Centro ha un’attenzione peculiare rivolta ai percorsi formativi riguardanti persone con disabilità o in situazione di svantaggio. In tali percorsi, è stato da tempo superato il concetto di corso di formazione e si è passati a progettazioni personalizzate che partono dall’analisi del potenziale di ogni partecipante, per costruire insieme a lei/lui il percorso formativo e di inserimento socio-lavorativo più idoneo. Il Centro Studi è attivo inoltre in diversi programmi europei, come appunto il Progetto LED».
E veniamo proprio a quest’ultimo. Può spiegarci in che cosa consiste, ma soprattutto quali ne sono gli scopi?
«Il Progetto LED nasce dalla consapevolezza che una situazione già molto difficile per l’accesso al mercato del lavoro da parte delle persone con disabilità sta diventando, a causa della crisi economica, ancor più critica. Occorre dunque cercare nuovi strumenti di inclusione.
L’obiettivo principale è quello di definire un approccio formativo per persone con disabilità, condiviso da diversi partner europei e basato su imprese formative/produttive che ne favoriscano l’apprendimento in situazione e la transizione verso il lavoro. L’impresa di formazione/transizione può infatti rappresentare, a nostro parere, un ambiente lavorativo in cui sviluppare competenze che migliorino l’occupabilità e/o un’opportunità concreta di lavoro.
All’interno di LED sono stati studiati e comparati metodi di apprendimento e di formazione in situazione specifiche per le persone adulte con disabilità; dallo studio si sono poi sviluppate, sperimentate e validate linee guida condivise tra i partner del progetto».
Con la partecipazione di altri Paesi europei, si vuole ottenere un modello valido per tutti, confrontando le varie realtà nazionali. Ma quali sono esattamente i partner continentali e quali le linee guida che avete condiviso?
«Al progetto, coordinato dal Centro Studi Opera Don Calabria, partecipano altri cinque partner europei, vale a dire, innanzitutto, il CDS di Ferrara (Centro ricerche Documenrtazione Studi), un centro di ricerca socio-economica, che si è occupato della fase di studio e di comparazione dei risultati e l’Università Cattolica di Eichstätt-Ingolstadt in Germania, che ha seguito la predisposizione del modello formativo e quindi la parte pedagogica/formativa. Poi hanno partecipato anche tre importanti enti che operano specificamente nel supporto, nella formazione e nell’assistenza delle persone con disabilità e che, all’interno di LED, hanno portato le proprie esperienze, contribuendo alla creazione e alla sperimentazione diretta del modello formativo.
Si tratta esattamente del National Learning Network di Dublino, che in Irlanda fa parte del Rehab Group e che ha numerose sedi in quel Paese; la Fondazione Cedar di Belfast (Irlanda del Nord), ente leader nel proprio territorio, operante nei servizi residenziali e nella formazione; l’Istituto Universitario Riabilitativo di Maribor, la principale struttura riabilitativa e formativa della Slovenia.
Nonostante le culture, le situazioni territoriali e i quadri normativi siano spesso molto diversi – basti pensare che nel territorio tedesco di Eichstätt la disoccupazione è pressoché inesistente! – ogni partner ha portato un grande contributo di competenza e di esperienza al progetto».
Oggi il quadro normativo europeo che garantisce l’inserimento nel lavoro delle persone con disabilità si scontra di fatto con un’effettiva condizione occupazionale che va decisamente in senso contrario, considerando che oltre il 60% delle stesse persone con disabilità è fuori dal mercato del lavoro. Quali sono, a suo parere, le principali ragioni di ciò?
«È evidente che se la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha sentenziato che il nostro Paese non ha adottato tutte le misure necessarie per garantire un adeguato inserimento professionale dei disabili nel mondo del lavoro, la strada da percorrere sia ancora lunga e ardua.
In Emilia Romagna le cose vanno un po’ meglio rispetto ad altre Regioni, ma anche qui si registra un aumento del numero degli iscritti alle liste del collocamento mirato, ai sensi della Legge 68/99 [“Norme per il diritto al lavoro dei disabili”, N.d.R.], e un contestuale calo del numero di avviamenti di lavoratori disabili. Per contro aumenta notevolmente la dotazione del Fondo Regionale per l’Inserimento Lavorativo delle persone con disabilità, che potrebbe essere utilizzato, in parte, per creare e sperimentare nuove unità produttive per la formazione, la transizione e il lavoro, secondo il modello studiato appunto dal Progetto LED.
La Provincia di Ferrara ha recentemente finanziato un’iniziativa finalizzata proprio a questo obiettivo, per il quale occorre mobilitare, a mio parere, una rete tra il sistema formativo e quello della cooperazione sociale».
Ma quali sono le principali carenze presenti nel mondo del lavoro, considerando che oltre a un approccio errato da parte delle aziende e dei datori di lavoro nell’utilizzare le abilità dei soggetti interessati, manca soprattutto una logica di sviluppo del processo di assunzione e l’attuazione concreta delle normative in vigore?
«La scarsa predisposizione delle imprese al rispetto della normativa sul collocamento mirato e la visione della persona disabile come “peso”, più che come risorsa, non è certo superata. Anzi, la crisi produttiva e del mercato del lavoro rendono ancora più vulnerabili i soggetti che partono già da una situazione di svantaggio. E tuttavia non credo sia giusto chiedere all’impresa di farsi totalmente carico di un processo che funziona poco. Gli operatori del sociale, della formazione e delle politiche del lavoro devono infatti considerare il collocamento delle persone con disabilità anche come un servizio alle imprese. Una volta analizzato e valutato il potenziale lavorativo di una persona, bisognerebbe pertanto conoscere le caratteristiche della postazione lavorativa e della mansione, possibilmente attraverso una visita dell’operatore della mediazione. Solo così si potrà effettuare un inserimento mirato e, auspicabilmente, migliorare la sensibilità e la responsabilità sociale dell’impresa. L’azienda, inoltre, va aiutata anche ad adottare strategie per favorire l’inclusione e il presidio del posto di lavoro da parte della persona con disabilità, ad esempio semplificando o scomponendo il processo di lavoro.
Infine, è importante anche la fase post-inserimento, nella quale la persona e l’impresa vanno supportate in caso di bisogno, con interventi mirati di adeguamento delle competenze e/o attraverso consulenze su come adattare il posto di lavoro.
Tuttavia, visto il momento particolarmente difficile per l’economia e l’occupazione, occorre cercare anche nuove soluzioni per l’inclusione lavorativa, come cerca di fare appunto il Progetto LED, con il modello delle imprese formative/di transizione».
In tal senso, quanto è importante la formazione? Può farci un’analisi rispetto a tutte e due le parti interessate, azienda e lavoratore?
«Il sistema formativo sinora si è concentrato quasi esclusivamente sulla qualificazione dell’offerta di lavoro, cioè ha cercato di dare maggiori competenze e potenziale occupazionale alle persone, ma è fondamentale anche intervenire sulla domanda, e quindi sul fronte delle imprese, per favorirne l’inclusività. Ribadisco infatti che il processo di inserimento lavorativo rappresenta un servizio sia per la persona che per l’impresa.
Alla Città del Ragazzo di Ferrara, anche grazie al supporto delle Amministrazioni Locali, abbiamo da tempo cercato di coinvolgere le imprese nei percorsi formativi delle persone con disabilità o in situazione di svantaggio socio-economico. Presso il nostro Centro, infatti, si effettua un’analisi attenta e il più oggettiva possibile – utilizzando anche, in parte, la Classificazione ICF [la Classificazione del Funzionamento, della Disabilità e della Salute dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, N.d.R.] – della potenzialità occupazionale della persona; se la persona necessita di un percorso formativo per l’acquisizione di competenze di base o trasversali, frequenta un numero di ore calibrato sul bisogno nei nostri laboratori e aule; se è pronto per l’esperienza in azienda, la si organizza cercando una mansione predittiva di successo formativo e, se possibile, di inserimento lavorativo. È così difficile offrire opportunità lavorative concrete, che le poche occasioni che si presentano non vanno sprecate!».
Tra i relatori presenti al convegno conclusivo del 18 ottobre, ci sarà anche Pietro Barbieri, presidente nazionale della FISH, la Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap. Quale può essere il contributo delle Associazioni legate alla FISH, per dare ulteriore risalto e visibilità a questo progetto?
«La capillarità delle relazioni della FISH può senza dubbio offrire un significativo contributo alla diffusione del progetto e quindi alla sua visibilità. La stessa FISH, poi, è in prima linea nelle politiche sociali e nel cercare di tutelare le persone con disabilità nei tavoli istituzionali e decisionali. Per questo, la decisione di lasciare l’intervento centrale del convegno al presidente della Federazione Barbieri vuole soprattutto consentire ai presenti (operatori sociali, formatori, cooperative sociali e alcuni politici locali) di conoscere – da un osservatorio nazionale – lo stato dell’arte sulle proposte, le innovazioni e i nodi ancora aperti, rispetto all’inclusione sociale e lavorativa delle persone con disabilità.
Quindi si chiederà al Presidente di raccontarci le molte cose che non vanno, ma anche, e soprattutto, di offrirci stimoli e idee, per rendere più efficace il nostro lavoro».
Concludendo, quali saranno gli obiettivi del convegno conclusivo?
«Il primo obiettivo sarà quello di far conoscere agli operatori sociali locali i risultati e i prodotti del Progetto LED, e in particolare il modello di apprendimento e le linee guida per gli operatori della formazione e della cooperazione sociale, sperando che possano rivelarsi utili strumenti di lavoro.
Dal punto di vista, poi, del suo potenziale valore aggiunto, speriamo che il convegno possa rappresentare un’opportunità di riflessione utile e concreta su sistemi innovativi di formazione e di transizione al lavoro delle persone disabili, favorendo una sinergia tra i servizi sociali pubblici, il sistema formativo e quello delle cooperative sociali, sinergia che, a fronte di bisogni sempre più complessi, riesca ad offrire risposte integrate, come speriamo possano essere le imprese formative/di transizione».
Giuseppe Sarti è direttore del Centro Città del Ragazzo di Ferrara.
Per ulteriori informazioni e approfondimenti sul convegno del 18 ottobre a Ferrara: Monica Bertelli (progettieuropei@cittadelragazzo.it).
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