I mitocondri sono le centrali elettriche delle cellule, note anche per il loro ruolo nello smaltimento delle cellule vecchie o danneggiate. In un recente studio finanziato da Telethon e pubblicato dalla rivista internazionale «Science», il gruppo di lavoro guidato da Luca Scorrano, ordinario di Biochimica all’Università di Padova e ricercatore dell’Istituto Telethon Dulbecco (DTI), ha dimostrato per la prima volta come queste importanti strutture cellulari siano in grado di determinare “in senso cardiaco” il destino della cellula a livello embrionale.
Questo nuovo studio, inoltre, che è stato svolto in collaborazione con l’Università di Washington, suggerisce anche nuovi potenziali meccanismi genetici alla base di alcune cardiopatie congenite.
«Si tratta di un risultato sorprendente – spiega Scorrano – perché fino ad oggi si pensava che lo sviluppo degli organi fosse diretto dal nucleo della cellula e che i mitocondri fornissero semplicemente l’energia. Con questo studio, invece, abbiamo dimostrato come i mitocondri possano determinare il tipo di tessuto che una cellula diventerà durante lo sviluppo embrionale. Fino a ieri avrei detto che questa era fantascienza».
Questa teoria sull’origine dei mitocondri richiama in effetti alla mente il celebre film di fantascienza L’invasione degli ultracorpi: si pensa infatti che questi organelli derivino da batteri ancestrali che hanno “invaso” altre cellule, diventandone parassiti. Nel corso dell’evoluzione, poi, quell’iniziale invasione delle cellule ospiti ha dato origine a una relazione simbiotica, in cui le cellule contano sui mitocondri per la produzione di energia e il controllo di qualità e i mitocondri dipendono dalle cellule per la loro stessa sussistenza.
«Sappiamo che le nostre cellule hanno sviluppato un rapporto costruttivo con quelli che in origine erano invasori esterni – aggiunge Gerald Dorn, docente di Medicina all’Università di Washington e coautore dello studio -, e ora abbiamo dimostrato che questi invasori possono diventare “i capi”. Inoltre, sapevamo già che i mitocondri possono decidere se avviare o meno la cellula verso la morte: oggi abbiamo dimostrato che possono anche indirizzare il destino della cellula verso il tessuto muscolare cardiaco».
Per altro, benché questo studio riguardi specificamente le cellule muscolari cardiache, i ricercatori hanno intenzione di proseguire, cercando di capire se tale paradigma valga anche per altri tipi di tessuto. «La nostra interpretazione dello sviluppo cellulare – prosegue Dorn – cambia completamente: non è il nucleo a controllare i mitocondri, al contrario sono questi organelli a controllare l’espressione dei geni nucleari e a farlo in modo tale da impedire lo sviluppo delle cellule muscolari cardiache».
Durante il normale sviluppo dell’organismo, infatti, i mitocondri si fondono tra loro grazie all’intervento di proteine presenti sulla loro superficie, chiamate mitofusina 1 e 2. In questo lavoro, i ricercatori hanno dimostrato nel modello murino [del topo, N.d.R.] che, inattivando questi due geni soltanto nelle cellule muscolari cardiache embrionali, si interferiva pesantemente nello sviluppo del cuore dell’embrione, che presentava tra le altre cose pareti eccessivamente sottili. Successivamente, hanno dimostrato che cellule staminali embrionali di topo prive del gene per la mitofusina 2 e per Opa1, un altro gene con un ruolo simile, non potevano dar luogo a cellule muscolari cardiache funzionanti.
E il mancato sviluppo corretto del cuore non era il semplice risultato di una mancanza di energia da parte di mitocondri difettosi, come spiega Scorrano: «Questi mitocondri non integri, piccoli e separati, in quanto incapaci di fondersi tra loro, non erano in grado di inviare i ben noti segnali che guidano l’espressione dei geni nucleari. Grazie ai nostri studi abbiamo messo in luce una nuova modalità con cui gli “invasori ancestrali” controllano il destino della cellula».
Molti di questi segnali, va detto, sono già noti per essere coinvolti in difetti cardiaci congeniti, come ad esempio i difetti del setto ventricolare (veri e propri buchi nella parete che separa i due ventricoli cardiaci).
«Questo studio – concludono i ricercatori che l’hanno condotto – apre nuove porte nella ricerca di geni coinvolti nello sviluppo di difetti cardiaci congeniti, come quelli in cui il cuore risulta piccolo e poco sviluppato. In particolare dovremo cercare mutazioni nelle proteine che regolano la fusione mitocondriale, come le mitofusine. Questi risultati suggeriscono anche che nei pazienti affetti da quelle malattie genetiche dovute a difetti nella mitofusina 2 e in Opa 1 – rispettivamente la malattia di Charcot-Marie-Tooth di tipo 2A e l’atrofia ottica dominante – possano esserci problemi cardiaci latenti». (Ufficio Stampa Telethon)
Per ulteriori informazioni e approfondimenti: ufficiostampa@telethon.it, stampa@unipd.it.
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