«Dio è morto, Marx è morto e anche io non mi sento troppo bene»: Woody Allen aveva capito perfettamente il problema, tanti anni fa. Fra le mie (scarse) letture marxiane dei tempi universitari ricordo che mi colpiva assai la ragionevolezza della tesi relativa all’“esercito di riserva” del proletariato. Ossia, in estrema e volgare semplificazione, più persone sono espulse dal mondo del lavoro, più è facile per i padroni, in tempi di crisi, trovare un esercito di riserva pronto a subentrare, ovviamente a condizioni peggiori.
L’attuale crisi (economica ma anche morale) sta dimostrando una sorprendente vitalità di questo passaggio ideologico, ma il guaio è che la tesi marxiana si sta estendendo al tema più vasto dei diritti di cittadinanza. Noto infatti con raccapriccio il proliferare di “guerre tra poveri”, anzi tra poverissimi. La solidarietà è per così dire ormai su linee parallele. Nel senso che ognuno si rende conto che le proprie rivendicazioni (giovani, disoccupati, donne, disabili, persone mature espulse dal lavoro, e così via) potrebbero funzionare meglio se connesse alle altrettanto sacrosante rivendicazioni degli altri. Ma in effetti ognuno parla a se stesso, alla propria platea, a un pubblico da rassicurare e da convincere.
Nel frattempo la Legge di Stabilità per il 2014 sta facendo passare, ad esempio, il primo caso di universalismo selettivo applicato scientificamente alla disabilità, ma puntando su un segmento fragile, quello delle persone che hanno superato i 65 anni di età. Sono tanti, certo, e costano. Dunque, trovare il modo di togliere loro in modo selettivo rispetto al reddito l’accesso all’indennità di accompagnamento è un’operazione possibile senza eccessivi “danni collaterali”.
In molti, infatti, penseranno al classico “figlio di Agnelli” (ma quale?), che può benissimo fare a meno dell’indennità di accompagnamento qualora risulti invalido al cento per cento. Il punto è che il riferimento reddituale è ambiguo e furbetto, 40.000 euro lordi l’anno (70.000 se coniugati). In pratica si colpisce tutto il ceto medio dei lavoratori dipendenti che non possono evadere le tasse né eluderle, salvo arrivo in picchiata degli Stukas dell’Agenzia delle Entrate. Tutti gli altri, quelli che possono muoversi liberamente fra redditi in nero ed elusione fiscale, si troveranno dunque doppiamente premiati, perché continueranno a non pagare il dovuto, e potranno accedere senza problemi a questa indennità, che è l’unico, ma proprio l’unico, rimborso risarcitorio forfettario per chi è in condizione di disabilità conclamata.
Ecco, l’universalismo selettivo è davvero un concetto micidiale, nel sistema italiano, e non perché in teoria non se ne possa discutere, ma perché in pratica diventa il grimaldello per politiche sociali ingiuste e vessatorie nei confronti di chi non ha né voce né forza per protestare.
Il guaio è che questa bella teoria piace molto agli intellettuali del welfare, spesso di sinistra, e si scontra con la realtà concreta delle famiglie. In altre parole, non si capisce perché un’appendicectomia debba rientrare fra i diritti essenziali alla salute (e quindi universalmente garantita gratis a tutti), mentre una badante per un anziano che soffre di Alzheimer ed è invalido ovviamente al cento per cento, va pagata senza neppure l’aiuto dell’indennità di accompagnamento.
Peggio ancora, questo provvedimento, se passerà, aprirà la porta a una successiva e più ampia applicazione anche al di sotto dei 65 anni di età. Mentre tuttora attendiamo i LEA (Livelli Essenziali di Assistenza Sanitaria), i LIVEAS (Livelli Essenziali di Assistenza Sociale), e tutto ciò che in qualche modo possa definire in modo inoppugnabile quali prestazioni sociosanitarie siano davvero essenziali per tutti.
Se questo è possibile, lo si deve forse all’enorme consistenza dell’“esercito di riserva dei diritti”. Ossia il Governo – ma soprattutto i burocrati che preparano i provvedimenti – sa di poter contare sul silenzio-assenso di una ampia fascia di popolazione che ritiene (magari anche con qualche ragione) di essere ingiustamente penalizzata, dando la colpa proprio a questi “privilegi” delle persone con disabilità.
Ecco perché nemmeno io, a questo punto, mi sento troppo bene.