La Famiglia Caracciolo – Antonio, Alessandra, Riccardo ed Emma – è davvero emblematica, perché in essa si compendiano singolarmente tutte le tematiche del nostro mondo: genitori, figli con disabilità, professionisti della riabilitazione, rapporti tra genitori e professionisti, scelte di vita e di lavoro. Ma vediamo di capirci un po’ di più.
Antonio e Alessandra, nonché “figliolanza”, come dite affettuosamente e scherzosamente voi, chiariteci il mistero: come fate a sopravvivere e a vivere bene con un tale aggrovigliato intreccio di rapporti professionali e umani?
«Intanto cerchiamo, sforzandoci tutti i giorni, di vivere in modo dignitoso la nostra quotidianità di famiglia “normale”, con il nostro stile di vita, i nostri difetti e i pregi, le nostre aspettative e i sogni, i nostri ritmi.
Dopo la nascita di Riccardo ed Emma, entrambi prematuri con diagnosi di paralisi cerebrale infantile, forti del fatto che il nostro lavoro di fisioterapisti ci rendeva “non nuovi” al mondo della disabilità, ci siamo dovuti un po’ ricredere sul nostro ruolo di genitori e di terapeuti. Riccardo ed Emma, infatti, sono i nostri figli e il legame con un figlio è ben diverso da quello che si può creare con un paziente, pur con tutta l’empatia che ci si voglia mettere!
Abbiamo scelto entrambi di continuare a lavorare, con un avvicinamento del luogo di lavoro e la riduzione a un part-time da parte della madre, per riuscire a conciliare il tempo dedicato ai nostri figli con quello dedicato alla crescita personale e professionale della mamma-lavoratrice».
Ma cosa comporta essere contemporaneamente genitori di figli con disabilità – che quindi necessitano “anche” di riabilitazione – e professionisti del settore?
«Sin dalla nascita dei nostri figli abbiamo scelto di fare i genitori e non i riabilitatori dei nostri figli. Certo, la nostra vita professionale ci porta ad avere un occhio di riguardo nei confronti dei “progetti e percorsi riabilitativi” dei nostri figli (che lasciamo svolgere volentieri a colleghi con una professionalità più elevata della nostra). Da sempre, però, abbiamo creduto che la riabilitazione non sia il perno centrale della vita di Riccardo ed Emma e che non dovrà essere svolta per tutta la loro vita. Siamo più propensi a credere che il percorso riabilitativo, svolto con obiettivi ben chiari, faccia parte di una strada ben più ampia che tenda all’inclusione sociale, tenendo conto delle loro difficoltà, ma anche delle loro potenzialità».
Due figli con disabilità, doppie problematiche, doppio impegno, doppia fatica. È vero, oppure…?
«Certo, l’impegno e la fatica sono doppi, anche perché i bisogni dei nostri figli sono diversi; la nostra fatica, dopo l’arrivo di Emma, con una nuova diagnosi, è stata quella di non riuscire a far conciliare i ritmi di entrambi e questo ci ha un po’ scombussolato. Siamo ricorsi perciò all’aiuto di una psicologa con la quale abbiamo imparato a gestire gli spazi di coppia, di famiglia e personali.
Abbiamo lavorato sulle emozioni, che gli eventi delle nascite dei nostri figli e la prospettiva di una vita “diversa” e con molti ostacoli, avevano suscitato in noi, così come i sensi di colpa – soprattutto da parte della madre -, la rabbia, il tempo e gli spazi che i nostri figli ci stavano “rubando”».
In questa vostra “biblica”, ma, conoscendovi, serena incombenza, avete ricevuto aiuto da familiari, amici, istituzioni, associazioni? E quanto?
«Crediamo che l’aiuto da parte di persone o istituzioni al di fuori della famiglia sia fondamentale; molto spesso ci è capitato di incontrare famiglie “bruciate” perché facevano fatica a farsi aiutare. Certo che farsi aiutare implica aprire la propria intimità familiare all’altro e non sempre è facile.
Da qualche anno stiamo cercando di creare una rete di persone (parenti, amici, gruppo scout, educatori professionali…) che ci permetta di trovare uno spazio personale e di coppia. Inoltre, da circa un anno, insieme ad altri genitori del paese dove abitiamo, abbiamo creato un’Associazione per condividere le nostre esperienze e cercare insieme strategie che permetteranno ai nostri figli di trascorrere una “vita di qualità”».
Emma e Riccardo come vedono la società dove vivono? Quali sono i loro sogni, le aspettative, i progetti?
La risposta arriva dalla viva voce di Riccardo l’“intellettuale di famiglia”, con l’appoggio di Emma: «Pur essendoci realtà positive nella nostra società, come Associazioni volte ad aiutarci, ci accorgiamo, camminando per strada, che ci sono ancora barriere mentali di chiusura, come atteggiamenti pietistici nei nostri confronti. Nonostante questo, noi continuiamo a vivere la nostra vita serenamente senza farci prendere dallo sconforto».
E i vostri al riguardo?
«La società in cui viviamo non è certo a misura di “famiglie con difficoltà”. Basti solo pensare che per ottenere dei diritti occorre essere sempre “sul piede di guerra” con tutti (scuola, istituzioni, sanità ecc.). Il futuro dei nostri figli ci spaventa e perciò crediamo che occorra lavorare fin da subito nel creare un tessuto sociale che già da ora sia in grado di supportare e sostenere noi genitori, ma che nel futuro sia altrettanto in grado di sostituirci».
A questo punto il solito malevolo Lettore potrà pensare che questa famiglia non esista, che sia stata creata a tavolino dalla mia troppo fervida fantasia, per mettere assieme tutte le domande e le risposte possibili in tema di disabilità in famiglia. Ma non è affatto vero! Esistono, eccome! E se qualcuno vorrà controllare, per riservatezza non gli dirò certo come fare, ma sono sicuro che ci riuscirà ugualmente.
Grazie ad Antonio, Alessandra, Riccardo ed Emma e avanti così!