Avevamo già riferito, alcune settimane fa (se ne legga cliccando qui), delle proteste riguardanti la chiusura nei fine settimana della ZTL (Zona a Traffico Limitato) di Bologna, all’insegna dei cosiddetti T-Days, contestata da alcune associazioni sia per il metodo (nessuna considerazione delle proposte espresse dalla Consulta per il Superamento dell’Handicap), sia per i contenuti (niente più mobilità, in quei giorni e in quella zona, per le persone con problemi di deambulazione o con gravi disabilità).
Ora, dopo che la nuova regolamentazione è entrata in vigore, le proteste non cessano e si arriverà anzi a un sit-in nella centralissima Piazza Maggiore, voluto dal Forum dei Comitati e delle Associazioni per sabato 19 maggio (ore 11-15), con Giovanna Guerriero, presidente dell’Associazione Noi Insieme a Scherazad, che ha annunciato l’inizio di uno sciopero della fame, «considerata la quasi nulla disponibilità della Giunta Comunale all’avvio di soluzioni alternative efficaci per disabili, permanenti e momentanei, e anziani». «Per i disabili in possesso di contrassegno – ha aggiunto Guerriero – a cui viene impedito l’accesso nella Zona “T”, i mezzi di trasporto sono da considerarsi un’estensione del proprio essere individuo libero, come enuncia la Circolare n. 1030 dell’89 [in realtà n. 1030 del 1983, N.d.R.], come una protesi per esprimere la propria dignità. Vietarne l’utilizzo è costringere molti concittadini all’emarginazione e a una realtà iniqua».
Sulla spinosa questione, ben volentieri diamo spazio qui di seguito all’opinione “testata sul campo” di Valeria Alpi, giornalista e persona con disabilità, che con equilibrio evidenzia senza mezze misura numerose criticità, ma anche qualche aspetto positivo del provvedimento adottato dal Comune di Bologna. (S.B.)
Come persona disabile, come cittadina, come giornalista, mi sento in dovere di scrivere qualcosa sui T-Days per cercare di riportare un po’ le informazioni e le richieste alla loro giusta posizione. Mi sembra però di muovermi su un campo minato perché le opinioni e le controversie dei cittadini e delle persone disabili sono tante, e io stessa ho ancora pareri contrastanti (un solo weekend di prova non è sufficiente per un’opinione definitiva, si vedrà nel tempo).
Premetto che nel settembre scorso – quando vidi le foto di Via Rizzoli [Via Rizzoli è una centralissima strada di Bologna, all’interno della Zona a Traffico Limitato, praticamente attigua a Piazza Maggiore, “cuore” del capoluogo emiliano, N.d.R.]invasa di gente a piedi – mi emozionai. Sì, è stato bello vedere Bologna pedonale.
Voglio però anche premettere che quando questa idea di pedonalizzazione è diventata permanente e non solo “una tantum”, mi sono vista negare i diritti alla libertà e all’autonomia personale, entrambe conquistate negli anni con dure lotte familiari, sociali ed emotive.
Per provare dunque a riprendermi l’autonomia, i T-Days sono andata a provarli con le mie gambe (i disabili non sono tutti in carrozzina, alcuni camminano). Proverò a spiegarmi per punti.
Le distanze
Nella preparazione dei T-Days, l’assessore alla Mobilità Andrea Colombo ha fatto alcune valutazioni tipiche di chi la disabilità non la conosce appieno; ad esempio ha dato per scontato che i disabili abbiano sempre un accompagnatore, per cui, nel sito ufficiale dei T-Days e sulla stampa venivano fuori frasi del tipo: «In fin dei conti anche se chiudiamo la “T”, restano delle strade laterali in cui l’accompagnatore del disabile può venire a portare e prendere il disabile stesso». Sottinteso: l’accompagnatore lo scarica e poi va a parcheggiare più lontano, intanto però scarica la persona disabile vicino alla “T”.
Beh, ci sono moltissimi disabili autonomi, che si spostano durante la settimana da soli, vanno al lavoro da soli, guidano, fanno la spesa… Non sempre esiste o c’è la necessità di un accompagnatore. Inoltre, non tutte le persone disabili possono essere lasciate da sole, in attesa che l’accompagnatore vada a parcheggiare.
E ancora, si dà per scontato che la persona disabile sia su una carrozzina e che un normodotato spinga, per cui se anche il normodotato deve farsi due o trecento metri in più è uguale. Ma non è uguale, ad esempio, per chi in carrozzina si spinge da solo o per i disabili motori che camminano come me.
Ad esempio, a me piace andare alla Libreria Coop Ambasciatori, in Via degli Orefici, in pieno centro. È ovvio che di Librerie Coop se ne trovano anche fuori dal centro, ma mi piace quella e non vedo perché non dovrei essere libera di andarci.
Davanti a quella libreria esistono due piazzole di sosta riservate ai disabili, ma durante i T-Days è impossibile accedervi. Ho controllato con Google Maps il percorso più breve che potrei fare a piedi in base alle zone a cui posso accedere durante la pedonalizzazione. Il percorso più breve è da Piazza Roosevelt [nella mappa della zona pedonalizzata, Piazza Roosevelt viene indicata come “terminal” a cui possono arrivare le persone con disabilità, N.d.R.] a Via Orefici: in totale circa 600 metri, che detto così sembrano pochi, ma che per me equivalgono a mezz’ora di cammino. Per cui, per quanto io possa ammettere che Piazza Roosevelt sia centrale, le distanze e i tempi si allungano. E un metro in più – quando si fa fatica a camminare – si sente eccome!
Alcune associazioni di disabili e familiari hanno fatto sentire la loro voce durante la programmazione dei T-Days, proprio anche sulle distanze in metri, ma non sono state ascoltate e credo che nella comunicazione tutti – sia l’assessore Colombo, sia i disabili – abbiano commesso degli errori. Non si può solo far notare che ora una persona disabile si trova a dover percorrere tot metri in più, perché di fatto il centro di Bologna è piccolo e a qualunque normodotato sembrano distanze brevissime. Forse, invece, si dovrebbe far notare il tempo di queste distanze e come esso incida sulla fatica di una persona che deve camminare mezz’ora o un’ora in più rispetto a prima.
Allo stesso tempo non si può sentire come risposta, «son solo due giorni a settimana, negli altri entrate e parcheggiate dove volete», perché non sono solo due giorni. Di fatto sì, ma sono due giorni che potrebbero ledere la libertà personale e come detto l’eventuale autonomia acquisita.
Le piazzole
Su questo punto non transigo proprio. Devo ammettere che la mia sperimentazione dei T-Days è andata meglio del previsto e credo che ci potranno essere in futuro delle forme di adattamento reciproco tra le persone disabili e l’Amministrazione Comunale, ma sulle piazzole no.
Il Comune aveva promesso e dichiarato sul sito e sui mass-media di costruire «dodici nuove piazzole handicap in Piazza Roosevelt», che avrebbero affiancato le quattro già esistenti da anni. La prima cosa che ho fatto, dunque, è stata di precipitarmi in Piazza Roosevelt per vederle. All’inizio non le ho trovate! Ma non le ho trovate perché non sono “piazzole handicap”!
In pratica, dal lato del portico, nei giorni dei T-Days, tramite apposito cartello disabili, viene concesso di parcheggiare sulla fermata del bus, dato che in quei giorni il bus stesso è deviato e non passa di lì. Peccato, però, che non siano parcheggi veri… Le piazzole per handicap, infatti – e lo dice il Codice della Strada e non qualche legge “apposita” per i disabili – devono avere determinate misure che non sono un sfizio, ma che servono per far salire e scendere meglio la persona. Quella di Piazza Roosevelt, per come è ora, è una presa in giro, e mi si scusi il tono forse troppo polemico.
Innanzitutto, come si fa a dire che i posti sono dodici quando non sono contrassegnati in terra e neppure riconoscibili dal simbolo della carrozzina sull’asfalto… Ma soprattutto hanno dei difetti di accessibilità: non hanno lo spazio regolamentare per far scendere una pedana dal retro dell’auto o del furgone per scaricare le carrozzine e sono scomodissimi dal lato del passeggero, essendoci subito il gradino del marciapiede e poi del portico. Se il passeggero è disabile, il gradino appena scende è un grande intralcio.
Inoltre, avevo sperato che i lavori eseguiti per i T-Days potessero migliorare la città anche nei giorni “non T-Days” e invece quei parcheggi sono improvvisati solo per il weekend. Il lunedì successivo, l’assessore Colombo si è dichiarato ai giornali molto soddisfatto delle sue nuove dodici piazzole, perché non sono mai state riempite del tutto, per cui sono sembrate sufficienti per la popolazione disabile.
Ma la smettiamo intanto di chiamarle “piazzole”? Mi sarei sentita meno presa in giro se Colombo avesse detto: «Sentite, durante i T-Days Piazza Roosvelet si svuota, per cui restano degli spazi che potete occupare col contrassegno handicap». Sarebbe stato più onesto.
La navetta “T”
Sono stata poi a controllare le navette che durante i T-Days caricano le persone dal parcheggio sotterraneo del Sant’Orsola [l’Ospedale Sant’Orsola, N.d.R.], percorrono Via Massarenti, San Vitale, arrivano alle Due Torri e tornano indietro per Strada Maggiore e Via Mazzini. Ne ho aspettate tre di seguito e tutte e tre avevano la pedana per le carrozzine. Probabilmente, almeno su quel percorso e in quei giorni, hanno pensato di far circolare autobus accessibili.
Ovvio che il problema del bus in una città complessa come Bologna resta grande. Le fermate sono tutte molto scomode, con gradini, dislivelli, paletti di ferro che impediscono dei passaggi ecc. L’autista dovrebbe essere formato a far scendere la pedana nel modo e nel punto giusto, altrimenti anche con la pedana l’autobus risulta inaccessibile a una persona disabile che voglia viaggiare in autonomia. E resta anche il problema dei parcheggi sotterranei: essendoci una cassa automatica, come dico alla cassa automatica che ho il contrassegno handicap? Devo comunque pagare il parcheggio a ore?
Il fatto è che se Bologna avesse davvero autobus accessibili anche in autonomia, credo che per molte persone disabili non sarebbe un problema parcheggiare all’esterno del centro, come fanno tutti, e poi andare vicino alla “T” coi mezzi pubblici. Però difficilmente è possibile e la macchina in molti casi non è solo un lusso che ci vogliamo concedere, o una forma di pigrizia. Spesso è l’unico nostro mezzo. E si dovrebbe riflettere un po’ di più su questo senso di unicità.
Alcuni lati positivi
Non si può negare che il poter camminare in mezzo a Via Rizzoli, senza il pericolo di essere investiti da un bus o da una macchina, è una comodità anche per le persone disabili. Anche se certe volte si rischia di essere investiti dai troppi pedoni o dalle biciclette!
Inoltre, ho notato una cosa: i parcheggi handicap più lontani dalla “T”, tipo quelli in Piazza San Martino, dov’era semplice arrivare, senza incontrare alcun vigile, erano tutti pieni. Invece, i parcheggi handicap nella zona vicina alla “T”, dove per accedere si doveva passare da un qualche varco controllato “a mano” da un vigile, erano più liberi. Chissà, forse qualcuno si è sentito meno legittimato a usare il tagliando di un familiare disabile senza averlo a bordo…
Cosa migliorare
Innanzitutto si può e si deve migliorare la comunicazione tra Famiglie di Disabili, Associazioni e Istituzioni.
Sta girando in questi giorni un comunicato stampa riguardante uno sciopero della fame che verrà organizzato contro i T-Days da parte di alcune persone che si occupano di disabilità. I problemi delle persone disabili sono tanti e non è stato piacevole trovare un non ascolto da parte delle Istituzioni. Ma è anche vero che finché questi T-Days non si provano sul campo, come possiamo dire effettivamente quali problemi ci sono e proporre delle soluzioni?
In questo T-Days che ho sperimentato di persona mi sono resa conto del perché in questi anni avevo smesso di passeggiare in centro: perché comunque ci sono barriere, dislivelli, non ci sono panchine per sedersi di tanto in tanto a riposarsi,… Disabili, uscite e fate un resoconto delle vostre difficoltà. Protestare e basta non ci rende più “ascoltabili” da parte delle istituzioni. Che dovrebbero comunque avere un orecchio più sensibile…
*Testo già apparso in «BandieraGialla – la rete solidale», con il titolo T-days e disabili: una prova sul campo. Viene quei ripreso, con una nostra introduzione e con alcuni riadattamenti al contesto, per gentile concessione.
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