In questo momento di grave crisi occupazionale ed economica, in cui anche i cosiddetti “normodotati” hanno grandi e gravi difficoltà a inserirsi nel mondo del lavoro, potrebbe sembrare anacronistico occuparsi dell’inserimento lavorativo delle persone con disabilità. La realtà, però, è molto diversa poiché la legislazione vigente, sia nazionale che siciliana, assegna alle Istituzioni compiti importanti e fondamentali per costruire percorsi sui quali le persone – con disabilità possano rendersi parzialmente o totalmente autonome, protagoniste della propria esistenza, superando – almeno nello spirito – le proprie condizioni di disabilità e raggiungendo la propria integrazione lavorativa e sociale.
In questo senso, la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità – definita dall’Italia insieme ad altri Paesi il 13 dicembre 2006, nella sede di New York delle Nazioni Unite e ratificata con la Legge 18/09 – individua proprio nell’inserimento lavorativo uno dei momenti fondamentali per ridurre le forme eventuali di discriminazione ed emarginazione.
Nello specifico, poi, le norme dello Stato Italiano si sono affinate sempre di più e nel corso degli anni hanno offerto quadri di riferimento organici, con caratteristiche puntuali e precise. Infatti, a partire dal 1968, la Legge 482 ha imposto che gli Enti Pubblici e Privati riservassero una percentuale dei propri organici alle persone con invalidità civile.
E tuttavia, quella norma – che non distingueva tra le forme e le gravità di invalidità – si è rivelata, nel corso degli anni, un contenitore che per varie ragioni – compresa quella clientelare -, ha avuto enormi difficoltà a raggiungere i veri obiettivi che la stessa si prefiggeva: l’inserimento nel mondo del lavoro degli invalidi civili con conclamata e accertata disabilità.
Per buona parte le storture e le incongruenze di questa normativa sono state superate con la Legge 68/99 la quale, attraverso tutta una serie di procedure e l’impostazione di progettualità specifiche per favorire il cosiddetto collocamento mirato, si collega alla precedente norma anche con il supporto della Legge Quadro 104/92 e soprattutto con l’articolo 3 di essa.
Come tuttavia càpita spesso in Italia, anche l’attuazione della Legge 68/99 ha avuto e ha notevoli difficoltà ad essere applicata nello spirito e nella lettera. Si è trattato – e si tratta – di difficoltà di progettualità per àmbiti specifici e mirati, di scarsa informazione sulle agevolazioni che i datori di lavoro hanno in presenza di inserimento di persone con disabilità, di impacci (o meglio, dell’impressione) da parte delle imprese, nell’accogliere persone con difficoltà motorie, psichiche, visive o uditive, pensando che la produttività potrebbe esserne ostacolata (quando invece è esattamente il contrario, poiché se i posti di lavoro fossero adeguati, un persona con disabilità, rispetto a un cosiddetto “normodotato”, potrebbe rendere di più, almeno nei lavori ripetitivi e senza eccessive variazioni, anche per il valore aggiunto che rappresenta il lavoro stesso per una persona con disabilità).
In realtà si osserva una mancata crescita culturale, in quanto, ancora oggi, la persona fragile e con disabilità è vista più come soggetto da assistere che non come persona con potenzialità che si esprimono sì con difficoltà, ma che devono in ogni caso essere valorizzate.
Occorre poi valutare anche le difficoltà che si registrano attualmente a livello imprenditoriale, per cui molte imprese, soprattutto nel Meridione e in particolare in Sicilia, sono costrette a chiudere o a ridurre la propria attività, mantenendo allo stesso tempo la linea produttiva efficiente e continua, per non perdere occasioni di lavoro.
Il problema vero è sia strutturale che culturale, per cui non si riescono a coniugare le esperienze e le normative con la pratica quotidiana e con le azioni conseguenti che dovrebbero svilupparsi invece automaticamente, coinvolgendo anche in questo i vari àmbiti della società in cui viviamo.
La riforma e la rimodulazione del riconoscimento dell’invalidità civile e dell’accertamento dell’handicap sarebbero significativi e anche in linea con la Convenzione ONU: per ora essi sono incentrati esclusivamente sull’aspetto sanitario e per concedere anche benefìci economici, mentre al contrario dovrebbero essere basati sull’aspetto sociale e sulla diversità di ogni singola persona, che può avere difficoltà, più o meno evidenti, ma anche condizionate dai diversi aspetti ambientali.
In questo quadro, quindi, è necessario che vi sia un diverso modo di pensare all’inserimento lavorativo, in una società come quella italiana, che riconosce il lavoro come una delle basi portanti.
La Classificazione Internazionale per il Funzionamento, la Disabilità e la Salute (ICF), definita nel 2001 dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), sarebbe in effetti – se correttamente applicata – uno strumento di grande aiuto per eliminare le incongruenze e sciogliere i nodi che a volte impediscono una corretta valutazione della disabilità, tenendo conto sia delle condizioni patologiche sia di quelle ambientali, riuscendo quindi a individuare modalità operative per il superamento dell’handicap.
In Sicilia, questo aspetto, almeno sulla carta, è tenuto in grande considerazione, pur con difficoltà centuplicate rispetto al resto d’Italia. Infatti, la legislazione dell’Isola – non ultimo il Piano Triennale a favore delle Persone con Disabilità, definito tramite un Decreto del Presidente della Regione, nel gennaio del 2006 – si occupa con precisione e puntualità della disabilità e presta all’àmbito lavorativo una particolare attenzione, favorendo nello specifico l’attuazione delle normative nazionali.
Anche in questo caso, però, la legislazione non viene applicata nel suo spirito e nella sua lettera, con tutte le conseguenze che da ciò derivano, sia sul piano pratico che su quello psicologico: eppure, vale la pena sottolinearlo, le normative presenti in Sicilia vengono spesso prese a modello, come esempio di modalità virtuose, da altre Regioni d’Italia e anche da altri Paesi in Europa e altrove.
Ma in realtà, le difficoltà dell’Isola, anche nel settore lavorativo, sono moltiplicate per la mancanza di programmazione e pianificazione che coinvolga le Istituzioni centrali e locali.
La Società Italia Lavoro, che ha come compito quello di agevolare l’occupazione, sia in generale che nella specifica area della disabilità, ha promosso in Sicilia, durante gli ultimi anni, una serie di azioni che hanno consentito, in alcune Province, gli inserimenti lavorativi di persone con disabilità.
Grazie dunque alle sinergie tra Imprese, Istituzioni e Associazioni, si possono intraprendere percorsi che potrebbero in prospettiva portare ad occupazioni stabili, con indubbi benefìci sia per le singole persone che per le comunità in cui esse vivono, le quali vedrebbero abbassati di molto i tassi di assistenzialismo puro e improduttivo, capace solo di aggravare i conti e i costi economici delle Istituzioni e quindi dell’intera collettività.
Durante un recente workshop, svoltosi nel settembre scorso a Caltanissetta, presso il CEFPAS (Centro per la Formazione Permanente e l’Aggiornamento del Personale del Servizio Sanitario), a cura del Dipartimento Regionale del Lavoro dell’Assessorato alla Famiglia, alle Politiche Sociali e al Lavoro, insieme a Italia Lavoro, è stato fotografato il punto della situazione attuale e illustrate alcune esperienze del Nord Italia.
Queste ultime hanno evidenziato un maggiore collegamento tra le varie Istituzioni Locali, un diverso modo di affrontare – anche sul versante culturale – il problema/situazione e, soprattutto, una maggiore presenza di imprese sul territorio e una più spiccata tendenza a una valutazione più appropriata dell’azione da svolgere in questo settore.
Si è inoltre riconosciuta anche una maggiore flessibilità nel valutare gli accertamenti delle percentuali di disabilità con la possibilità occupazionale, ciò che, indubbiamente, renderebbe non solo più facile affrontare le condizioni patologiche, ma accompagnerebbe tutti verso una sicura inclusione sociale.
In Sicilia, per altro, questo potrebbe avvenire con maggiore difficoltà, a causa del ridotto numero d’imprese presenti sul territorio rispetto a quelle del Nord, ma anche per la necessità di riformare il sistema del riconoscimento dell’invalidità e dell’accertamento dell’handicap, oltreché per l’assenza di un vero e proprio lavoro di rete, in particolar modo fra le Associazioni, che dovrebbero svolgere il fondamentale ruolo di stimolo verso le Istituzioni, attraverso la ricerca di modalità operative sempe più coinvolgenti.
Nel corso dell’incontro di Caltanissetta è stato poi evidenziato come strumenti innovativi – anche sperimentali – possano essere svuotati del loro valore, se utilizzati con modalità, idee ed esperienze che richiamano modelli, di fatto, ormai superati da anni.
E ancora, è risultato evidente come, anche nell’àmbito dell’inserimento lavorativo delle persone con disabilità, siano necessarie una programmazione e una pianificazione globali e organiche, coinvolgendo tutte le Istituzioni presenti nel territorio, anche se, apparentemente, queste ultime hanno poca competenza nell’area della disabilità.
Dal canto loro, le Associazioni possono e devono avere un ruolo, ma dovrebbero anche riuscire a “distaccarsi” un po’ dai gravi problemi che affliggono i loro utenti e associati a causa dell’assenza di servizi essenziali e prioritari.
Occorre pertanto riflettere su tutte queste questioni, non certo per scoraggiarsi, ma per trarne nuovi stimoli che diano maggiori energie, per programmare e realizzare una società, in Sicilia, in cui si registrino minori forme di discriminazione, emarginazione e diversità e che anche la disabilità non sia più un problema da guardare con superficialità o, addirittura, con indifferenza.