«La negazione dei servizi socio sanitari, anche sotto forma di contributi economici alle persone con disabilità ultrasessantacinquenni, costituisce un gravissimo atto di discriminazione, nei miei confronti e nei confronti delle persone nelle mie stesse condizioni. Si viene infatti a creare una gravissima imposizione da parte della Giunta Regionale Veneta, che costringe di fatto le persone che non hanno mezzi di sussistenza e di assistenza autonomi per vivere nella propria abitazione abituale, a ricoverarsi in residenze protette, con spese a carico della Regione, molto superiori ai contributi negati. La Regione, negando i contributi e gli interventi assistenziali domiciliari, proprio quando a causa dell’età le persone con disabilità ne hanno più bisogno, costringe i cittadini nelle condizioni del sottoscritto a rinunciare ad una vita indipendente per un ricovero, dove la qualità della vita lascia molto a desiderare».
Questo aveva scritto, come avevamo riferito qualche settimana fa, Giampaolo Lavezzo, già consigliere nazionale della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), denunciando all’UNAR – l’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali della Presidenza del Consiglio – i contenuti della Deliberazione n. 1338, prodotta il 30 luglio scorso dalla Regione Veneto e avente per oggetto Revisioni delle prestazioni costituenti LEA aggiuntivi regionali (cd. extra-LEA) in ambito socio-sanitario. Istituzione dell’Impegnativa di Cura Domiciliare (DGR 154/CR del 24 dicembre 2012 e DGR 37/CR del 3 maggio 2013). Si trattava di un provvedimento che, come avevamo sottolineato, era stato da più parti ritenuto come non certo favorevole alle persone con disabilità e alle loro famiglie, per diversi aspetti. Nella fattispecie, però, Lavezzo aveva centrato la propria attenzione sull’istituzione delle ICD, le cosiddette “Impegnative di Cure Domiciliari”, che portavano appunto alle conseguenze denunciate.
Ora lo stesso Lavezzo ha ribadito i medesimi concetti in un esposto presentato al Difensore Civico della Regione Veneto, aggiungendo però un altro importante elemento, che fornisce una prima motivazione al titolo da noi scelto per questa nota.
In sostanza, come è stato scritto nell’esposto, «la Giunta Regionale del Veneto è ricaduta, dopo dieci anni, nel medesimo atteggiamento discriminatorio, aggravato da una condotta recidiva. Già con la Delibera n. 2824 del 18 settembre 2003 aveva infatti deliberato di limitare alle persone con disabilità comprese nella fascia d’età tra i 18 e i 64 anni il diritto ad usufruire dei contributi per i progetti di vita indipendente di cui alla Legge 162/98».
Successivamente, però, esattamente il 20 dicembre 2007, il Consiglio di Stato, a seguito di un ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, aveva espresso il Parere che il ricorso dovesse «essere accolto e la deliberazione annullata in parte», perché «la limitazione, sicuramente non ha una spiegazione razionale, atteso che anche persone disabili che hanno già superato il 64° anno di età possono essere capaci a gestirsi da soli nell’ambito delle previsioni assistenziali in questione, preferendo l’assistenza indiretta a quella diretta. Siccome nessuna limitazione rispetto all’età è prevista nell’art. 1, ter, della legge 104/92 e succ. mod., la deliberazione impugnata, adottata nell’esercizio di un potere discrezionale, avrebbe dovuto dare contezza dei motivi per i quali intendeva escludere dai benefici le persone che hanno superato i 64 anni di età. Nulla, infatti, si dice al riguardo nel provvedimento in questione, il quale pertanto deve ritenersi illegittimo nella parte in cui ha limitato l’erogazione delle prestazioni a persone comprese fra i 18 e i 64 anni, omettendo di dare una spiegazione della scelta fatta».
Il Parere del Consiglio di Stato era poi stato recepito da un Decreto del Presidente della Repubblica dell’11 novembre 2008, che aveva sancito l’annullamento di quel provvedimento, ciò di cui la Giunta Regionale Veneta aveva preso atto, con la Delibera n. 865 del 31 marzo 2009. Ecco, quindi, il primo “salto all’indietro”, tutto all’insegna della recidività.
E tuttavia non è il solo. Un nuovo elemento, infatti – apparentemente di puro snodo burocratico – fa ben capire quale sia la china sulla quale rischiano di rotolare all’indietro i diritti di tutte le persone con disabilità e delle loro famiglie, nel Veneto (e, purtroppo, non solo in questa Regione).
Qualche giorno fa, infatti, dalla Segreteria dell’assessore regionale ai Servizi Sociali Remo Sernagiotto, destinatario per conoscenza dell’esposto presentato da Lavezzo, è giunta la seguente risposta: «Si informa che abbiamo provveduto ad inoltrare la sua segnalazione all’Assessorato alla Sanità, in quanto l’attuazione della Deliberazione di Giunta Regionale n. 1338/2013 non è di competenza dell’Assessorato Servizi Sociali ma è affidata alla Direzione Programmazione Attuazione Sanitaria»…
«Con ogni probabilità – commenta amaramente Lavezzo – nessuna delle nostre Associazioni era a conoscenza che i problemi della domiciliarità e della disabilità in Veneto sono unicamente di competenza sanitaria… Ci sarebbe quindi da chiedersi perché pagare un Assessore senza competenze…». E conclude: «Non c’è dubbio che il salto all’indietro, in merito alla negazione dei servizi sociali in Veneto, sia altissimo. E tutto alla faccia della Convenzione ONU e delle Associazioni che stanno a guardare».
Appunto, la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, che dall’inizio del 2009 è la Legge 18/09 dello Stato Italiano. Vi si scrive tra l’altro che «la disabilità è un concetto in evoluzione ed è il risultato dell’interazione tra persone con menomazioni e barriere comportamentali ed ambientali, che impediscono la loro piena ed effettiva partecipazione alla società su base di uguaglianza con gli altri (Punto e del Preambolo)», e che «per persone con disabilità si intendono coloro che presentano durature menomazioni fisiche, mentali, intellettuali o sensoriali che in interazione con barriere di diversa natura possono ostacolare la loro piena ed effettiva partecipazione nella società su base di uguaglianza con gli altri (articolo 1, comma 2)».
Serve ancora, a questo punto, commentare la risposta di quell’Assessorato, secondo cui i problemi della disabilità sarebbero «unicamente di competenza sanitaria»? E riusciranno un giorno le parole della Convenzione a fermare quei pericolosi “salti all’indietro”? (Stefano Borgato)