Quando succedono cose come queste, ossia l’intervento “a pancia tesa” di Alda D’Eusanio nel pieno di un (seguìto) programma della TV pubblica, occorre fermarsi a ragionare. Occorre forse una moratoria nell’uso indiscriminato di alcuni temi delicati e sensibili, che non possono e non devono essere trattati in modo superficiale, al limite dell’irresponsabilità.
Lunedì scorso, a La vita in diretta di Raiuno, la coraggiosa testimonianza della famiglia di Max Tresoldi, l’uomo che è uscito dal coma nel 2001 e da allora racconta un’altra verità sulla situazione delle persone in apparente stato vegetativo, è stata presentata correttamente, fino a quando si è data la parola ad Alda D’Eusanio, che in un solo minuto, forse meno, è riuscita a condensare una serie di luoghi comuni micidiali sulla cosiddetta “inutilità” di vite così piene di “sofferenza”, al punto da dichiarare, lei, che se sua mamma si fosse trovata in una situazione analoga, era meglio farla finita, non lasciare vivere un’Alda ridotta in coma.
A nulla sono valse le immediate prese di distanza da parte dei conduttori del programma, Franco Di Mare e Paola Perego: la frittata era fatta. Una frittata imbarazzante e di pessimo gusto, che sinceramente credo fosse evitabile. Basterebbe evitare all’origine questo modo superficiale e falsamente popolare di affrontare temi che richiedono competenza, attenzione al linguaggio, ai particolari, al rispetto della dignità delle persone.
Non è il primo caso, e purtroppo non sarà l’ultimo. Ne abbiamo viste di tutti i colori, sulle televisioni pubbliche e su quelle private. Io stesso sono stato spesso chiamato come ospite in programmi di intrattenimento, spero di non aver fatto eccessivi danni, ma ho sempre ricavato una sensazione di disagio, e non solo per l’esiguità del tempo televisivo a disposizione (questo fa parte delle regole), quanto per il rischio, in pochi minuti, di sbagliare il messaggio e di contribuire, involontariamente, a informare male un’opinione pubblica generalista, che poco conosce dei temi, ad esempio, delle persone con disabilità grave, ma da questi talk show, purtroppo, trae spesso le uniche notizie, le uniche riflessioni, anche morali.
Non entro qui nel merito del tema, ossia l’importanza delle testimonianze di chi vive e lotta nonostante una situazione difficilissima, come quella di un prolungato stato di coma. Lo fanno meglio di me le famiglie, l’associazione bolognese degli Amici di Luca, il Centro di Bioetica dell’Università Cattolica di Milano, con il comunicato emesso dal direttore Adriano Pessina. Mi associo alle conclusioni di quest’ultimo, molto ponderate: «Il pregiudizio espresso dalla D’Eusanio, che offende tutte le persone che si trovano in condizioni di disabilità, è una riprova di come l’ignoranza e l’angoscia di alcuni “sani” possano generare forme di violenza verbali e culturali inaccettabili e di inquietante discriminazione sociale».
Occorre, secondo me, una moratoria. La disabilità in televisione deve finire di essere oggetto di pietà o di morbosa attenzione, e diventare un tema come gli altri, trattato da professionisti che si documentano, si informano e restituiscono senso e civiltà. Non è impossibile.