Per fortuna esiste la cronaca. Ossia i fatti. E chi li rivela senza nasconderli. Come ha fatto, nei giorni scorsi, il Garante dei Detenuti del Lazio, Angiolo Marroni, rendendo noto un episodio incredibile, che giustamente è stato subito portato all’attenzione dei lettori ad esempio in «Corriere della Sera.it».
Un detenuto tenta il suicidio, in una cella del G11, piano terra di Rebibbia a Roma. A salvarlo è la prontezza del suo compagno di cella, che si butta per terra, si colloca sotto i suoi piedi e ne sostiene il peso, evitando che il cappio improvvisato consenta l’esito finale del gesto. Il fatto è che il salvatore è una persona con disabilità, che vive in sedia a rotelle. Non ha esitato a gettarsi dalla carrozzina, un gesto non naturale e anche pericoloso, in uno slancio di umanità che di per sé ci interroga sulla realtà del carcere, sulla drammatica situazione nella quale queste persone si trovano a vivere.
«Le celle e i servizi utilizzati non sono adeguati – ha dichiarato Marroni – per ospitare disabili. Mancano i supporti e capita spesso che i detenuti siano costretti a stare tutto il giorno in cella. Nel G11 ci sono persone affette da patologie gravi, che avrebbero bisogno di ben altra attenzione».
Ecco, adesso lo sanno tutti. Fino a ieri le poche notizie certe relative alla condizione carceraria delle persone con disabilità circolavano quasi clandestine, basate per altro su studi seri, come una ricerca di Catia Ferrieri dell’Università di Perugia, che rivela un dato impressionante: sono oltre duecento le persone con disabilità motoria detenute nelle carceri italiane. E quasi uno su due è costretto in celle e in edifici con barriere architettoniche. Difficile persino quantificare esattamente il fenomeno, visto che al questionario proposto dalla ricercatrice hanno risposto solo 14 dei 416 istituti penitenziari italiani.
Non ci sono elementi certi circa il rispetto dei diritti umani, quelli sanciti dalla Costituzione, ma anche quelli della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità (Legge 18/09 dello Stato Italiano), che all’articolo 14 (Libertà e sicurezza della persona) recita: «Gli Stati Parti assicurano che, nel caso in cui le persone con disabilità siano private della libertà a seguito di qualsiasi procedura, esse abbiano diritto su base di uguaglianza con gli altri, alle garanzie previste dalle norme internazionali sui diritti umani e siano trattate conformemente agli scopi ed ai principi della presente Convenzione, compreso quello di ricevere un accomodamento ragionevole». Ecco: un accomodamento ragionevole.
Difficile comprendere, ad esempio, perché il 27,3 per cento dei detenuti disabili sia in carcere in stato di custodia cautelare, ossia prima della sentenza. Arduo immaginare la possibilità di fuga in sedia a rotelle, ma non si sa mai.
Difficile avere informazioni sulla qualità delle cure, sulla competenza dei medici, degli infermieri, che dovrebbero intervenire per garantire, anche in carcere, la salute dei detenuti disabili. Ecco perché l’episodio di Roma mi auguro abbia trovato l’immediato interessamento, almeno telefonico, del ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri. Un tema sul quale nessuno ragionevolmente troverebbe da obiettare, nel caso in cui il Ministro si desse da fare con decisione per ripristinare condizioni di umanità e di pari dignità.