Sono in tanti a far crescere lo sport paralimpico

di Claudio Arrigoni*
«Zanardi, Camellini, Minetti, Caironi, Legnante, Versace e molti altri: ci sono tanti campioni - scrive Claudio Arrigoni - che hanno fatto grande l’Italia alle Paralimpiadi e ai vari Campionati Mondiali. Ma c’è un altro fattore senza il quale la crescita del movimento sportivo paralimpico, così importante anche dal punto di vista sociale, si fermerebbe: il lavoro sul territorio, fatto da tante persone, volontari e atleti»
Partita paralimpica di boccia, giocata dal norvegese John Nørsterud
Una partita paralimpica di boccia, giocata dal norvegese John Nørsterud

Ci sono Alex Zanardi e Cecilia Camellini, Annalisa Minetti e Martina Caironi, Assunta Legnante e Giusy Versace: sono i nomi, belli e importanti, di questi mesi di sport paralimpico. E ce ne sarebbero tanti altri, se si volesse continuare. Campioni che hanno fatto grande l’Italia alla Paralimpiade e ai vari Campionati Mondiali. Zanardi è stato addirittura scelto quale “Atleta dell’anno” (in assoluto) del 2012 da «La Gazzetta dello Sport». Fantastico lui e fantastici tutti quelli citati e tanti altri. Senza di loro, molti non conoscerebbero nemmeno la possibilità di fare sport per le persone con disabilità.
Ma c’è un altro fattore senza il quale la crescita del movimento sportivo paralimpico, così importante anche dal punto di vista sociale, si fermerebbe: il lavoro sul territorio, quello fatto da tante persone, volontari e atleti, che ogni giorno si impegnano fra scuola, lavoro e famiglia.

È un lavoro fondamentale, pur se poco enfatizzato. Ne riflettevo leggendo una bella pagina, curata qualche giorno fa nell’edizione milanese del «Corriere della Sera» da Alessandro Micci, e dedicata ad alcune delle Associazioni e ai loro Volontari, che ogni giorno fanno dell’insegnare e del promuovere l’attività fisica fra chi ha disabilità di ogni tipo quasi una missione. E spesso lo è.
Ci si trovavano ad esempio gli amici di Superhabily, nella periferia alle porte di Milano, o quelli della Polisportiva Milanese, società storica. E sulla «Gazzetta dello Sport», qualche giorno prima, si erano celebrati i trent’anni della Briantea84, che nella Brianza fra Como e Cantù ha in questo lungo periodo avviato allo sport diverse migliaia di ragazzi e ragazze, bambine e bambini, giovani e adulti con disabilità (proprio il 20 novembre è uscito in libreria per Rizzoli Rcs Paralympic Emotion, straordinario viaggio per immagini e storie che Briantea84 ha voluto creare, per mostrare la bellezza dello sport per il quale centinaia di volontari hanno speso tanto tempo in questi anni: #dacomprare, come scriverebbero quelli dei social…).

In una società come quella italiana, dove lo sport viene poco o nulla tenuto in considerazione in àmbito scolastico, senza l’impegno sul territorio, l’attività sportiva in generale, quella paralimpica in particolare, non esisterebbe.
Il CIP del Lazio (Comitato Italiano Paralimpico) darà un riconoscimento il prossimo 2 dicembre – alla vigilia della Giornata Internazionale delle Persone con Disabilità – a ben trecentocinquanta fra atleti e società che hanno vinto un titolo nel corso dell’anno, piccolo (regionale) o grande (internazionale) che sia. A ognuno di questi atleti e di queste società corrispondono decine di volontari.
Dice Marco La Rosa, che per Superhabily definire solo allenatore di atletica è riduttivo: «Dopo Londra è più facile parlare di sport paralimpico e questo ci aiuta. Ma sono importanti le persone che fanno promozione nei quartieri, nelle scuole, negli oratori, nelle palestre. Servono volontari e tecnici insieme agli atleti. Vanno coinvolti uno per uno. Non è facile, certo, ma vedere poi la passione regala grandi soddisfazioni».

È importante Mauro, 23 anni, con una cerebrolesione alla nascita, che all’Università, dove fra non molto si laureerà in giurisprudenza, dice: «C’è questo sport nuovo. Sì, puoi giocare anche tu che coordini male i movimenti, vieni a provare». E ora c’è un gruppo anche in Lombardia, oltre a quello in Piemonte, che gioca a boccia, sport paralimpico che permette di essere praticato anche a chi ha disabilità motorie gravi.
Mauro Perrone è anche recordman italiano con 19,94 metri di lancio della clava, disciplina dell’atletica paralimpica, e poi si è innamorato di questo sport dopo un Erasmus in Spagna. Ora ne è anche il responsabile regionale per la FISPES (Federazione Italiana Sport Paralimpici e Sperimentali), che è la Federazione di riferimento.
Grazie ai tanti Mauro in giro per l’Italia, lo sport paralimpico vive e cresce. Pensando poi ad Alex, Giusy, Martina e agli altri grandi campioni.

Testo già apparso – con il titolo “Lo sport paralimpico cresce se si lavora sul territorio” – in “InVisibili”, blog del «Corriere della Sera.it». Viene qui ripreso, con alcuni riadattamenti al diverso contesto, per gentile concessione.

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