Vorrei subito ringraziare Daniele Brogi, promotore di quel ricorso che ha portato all’Ordinanza prodotta il 6 settembre scorso dal Tribunale Civile di Vigevano (Pavia), provvedimento “vincente” nei confronti di una scuola paritaria, riguardo alle ore di sostegno, perché – come speravo – il suo intervento potrà aprire in «Superando.it» un dibattito sulle mie considerazioni, decisamente “controcorrente” circa i “rischi” di ottenere più ore di sostegno, utilizzando la Legge 67/06 sulla discriminazione delle persone con disabilità.
Sta infatti diventando ormai normale pensare all’inclusione scolastica considerando come unica risorsa quella del sostegno. Io invece sostengo da tempo che questa è una deriva quanto mai pericolosa, perché bisogna invece tornare ai princìpi originari dell’integrazione scolastica, fondata prioritariamente sulla presa in carico del progetto inclusivo da parte dei docenti curricolari, che però debbono essere formati e avere classi poco numerose. Invece, proprio a causa della mancata formazione iniziale e obbligatoria in servizio sulle didattiche inclusive dei docenti curricolari e delle cosiddette “classi-pollaio”, stiamo assistendo appunto a una deriva di riferimento esclusivo ai docenti per il sostegno, ciò che è facilitato dallo stragrande numero di ricorsi ai Tribunali, che le famiglie devono sobbarcarsi, perché, quando manca il docente per il sostegno, i loro figli rimangono abbandonati a se stessi in classe o peggio ancora fuori della classe con i bidelli.
Di fronte dunque a questa deriva illegale da parte della scuola, si contrappone quella, inopportuna – sotto il profilo dell’inclusione scolastica -, dei ricorsi delle famiglie, che puntano solo al massimo del sostegno. Infatti, non mancano decisioni dei Tribunali Civili prima e dei TAR poi, che stabiliscono il diritto a un numero di ore di sostegno pari a quello dell’orario scolastico; e anche tra le righe della famosa Sentenza 80/10 della Corte Costituzionale si può cogliere l’ipotesi di una tale soluzione.
Ebbene, a tale deriva nessuno sta opponendosi e chi scrive ritiene di essere tra i pochissimi che “fanno le cassandre” su questo rischio di affossamento dell’inclusione scolastica, almeno come l’abbiamo inventata e vissuta in Italia sino a una quindicina di anni fa.
Per questo, quindi, torno a ringraziare Daniele Brogi che, su queste stesse pagine, ha contestato le mie idee. E tuttavia, malgrado le sue osservazioni, rimango delle mie opinioni, perché sostenere, come fa il Tribunale di Vigevano, che vi sia discriminazione se si riducono le ore di sostegno a un alunno con disabilità, senza ridurre contemporaneamente quelle dei docenti curricolari ai compagni, significa legittimare, per tabulas [“attraverso gli scritti”, N.d.R.], l’anomala deriva dell’inclusione, da me temuta.
E ancora, sostenere, come già avviene da parte della Magistratura e come può dedursi dall’Ordinanza del Tribunale di Vigevano, che l’alunno possa avere diritto a tante ore di sostegno quante sono le ore di insegnamento, è la legittimazione della delega ai soli docenti per il sostegno, con la totale sconfessione dei princìpi e delle buone prassi di inclusione scolastica.
L’unico argomento a me contrario sembra quello dell’alto costo dei ricorsi ai TAR, rispetto a quello assai più basso del ricorso al Tribunale Civile, tramite la citata Legge 67/06. A tal proposito devo però dire che da un lato la recente Legge 128/13 ha abolito il pagamento odioso di oltre 600 euro di contributi obbligatori per ogni ricorso al TAR che riguardi le questioni del sostegno e dall’altro che se si propongono ricorsi collettivi ai TAR stessi, le spese di ciascuna azione legale possono ridursi notevolmente, sino ad avvicinarsi a quelle del Tribunale Civile.
Su quest’ultimo punto, tuttavia, vorrei porre una questione di principio. Non possiamo infatti barattare i princìpi dell’inclusione scolastica con una riduzione dei costi. Abbiamo a suo tempo salutato con entusiasmo la massima contenuta nella Sentenza 80/10 della Corte Costituzionale, secondo cui il nucleo essenziale del diritto costituzionale all’inclusione scolastica non può essere compresso per mere ragioni di bilancio. E allora, se l’Amministrazione non può appellarsi ai suoi costi per ridurre i nostri diritti, nemmeno noi – credo – possiamo appellarci ai nostri costi, per annullare i princìpi fondamentali dell’inclusione scolastica, come l’abbiamo voluta in Italia già dalla fine degli Anni Sessanta.
Sono consapevole che queste mie argomentazioni sono discutibili – e infatti ringrazio sin d’ora quegli altri genitori o docenti che volessero contestarle – e tuttavia, sono stato affascinato dall’integrazione scolastica così come è nata e l’ho difesa e continuo a difenderla, se essa mantiene fermi quei princìpi. Qualora invece dovesse assumere altri significati e prassi operative, mi ritirerò in buon ordine, ammettendo che ormai è divenuta un’altra cosa.