Resto annientato dalle immagini che i telegiornali, in questi giorni, hanno rimandato da Prato, dopo l’incendio nel quale sono morte sette persone, tutti cinesi impegnati a lavorare come schiavi, per produrre, peggio che a cottimo, abbigliamento a basso costo che poi arriva nei nostri centri commerciali, spacciato come “made in Italy”.
Sono immagini tremende per la miseria umana che testimoniano, al di là di ogni ragionevole dubbio. Violazione dei diritti elementari, condizioni “da bestie”, per uomini, donne, ragazzi, bambini, anziani. Autentici deportati in lager (parola che si traduce “fabbrica”) nelle nostre città (non solo a Prato, ma lì in misura ciclopica).
Mi è parso grottesco, ieri, vedere vigili urbani, assieme alle troupe televisive e agli “inviati del giorno dopo”, improvvisare ispezioni che si dice siano avvenute regolarmente negli ultimi anni.
Le domande che mi salgono alla gola sono tante: perché sono ancora consentite attività lavorative e abitative di questo genere? Perché in queste ore si parla solo di “omicidio colposo”, circoscrivendo così la prevista indagine ai soli colpevoli materiali di una casuale disattenzione nell’uso di una stufa elettrica? Perché non c’è nessuna ipotesi di reato nei confronti di chi in questi anni ha consentito questo scempio dei nostri diritti, della nostra dignità di Paese che ha ancora, come legge, lo Statuto dei Lavoratori? Perché tutti hanno subito, per rassegnazione, per ignavia, per complicità, questo scempio orrendo? Perché oggi tutti tacciono, oppure raccontano le cose a metà? Perché ci si limita a piangere questi morti come se fossero solo delle vittime di uno dei tanti incidenti sul lavoro?
Non oso neppure immaginare l’ipotesi, ad esempio, che lavoratori con disabilità possano essere inseriti in queste “aziende”, che pure sono censite come tali, che vivono della connivenza dei marchi italiani, che usufruiscono delle agevolazioni delle leggi italiane.
Ma le ASL dove sono? L’INAIL dov’è? Il Comune che cosa fa? La Regione dov’è finita? Il Governo che cosa pensa di fare? Assisto invece addirittura, su qualche testata, all’esaltazione di questo spirito di sacrificio di persone che lavorano «anche sedici ore al giorno» per «un euro all’ora». Loro sì che si adattano, non come i nostri ragazzi, che restano, guarda caso, senza lavoro!
Ma stiamo scherzando? Quando reagiremo a questo sistema corrotto e ipocrita che sta uccidendo la dignità del lavoro e anche la possibilità di favorire un fenomeno migratorio positivo, integrato nelle nostre leggi civili?
Come pensiamo di tutelare i nostri diritti di persone italiane, se ci limitiamo al lutto e a un’alzata di spalle?
Direttore responsabile di «Superando.it».
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