Questo nostro incontro con Roberto Maglietti dell’agenzia torinese Fashion Team – che nei mesi scorsi (come abbiamo già ampiamente riferito), sta avviando Fashion Able, sezione specifica voluta allo scopo di proporre persone con disabilità per pubblicità rivolte a tutti – offre un ottimo spunto di riflessione: parleremo infatti di moda, di bellezza, di eleganza, allargando gli orizzonti al mondo disabile… Infatti l’agenzia è la prima in Italia ad aver scelto di rappresentare modelli con disabilità.
«Crediamo – si legge nel sito di Fashion Team – che il fascino possa esprimersi ben oltre i canoni dettati dalla moda». Ed è proprio da questa frase che ci piace partire, per continuare a riflettere e a confrontarci su un argomento già trattato parecchie altre volte su queste pagine (si vedano in tal senso i contributi qui a fianco elencati, a firma in particolare di Simona Lancioni, Claudio Arrigoni e Barbara Pianca), in modi talvolta assai diversi tra loro, ma allo stesso tempo uguali, se si analizza al fondo il concetto espresso, quello cioè di una disabilità “che non è più da nascondere”.
Dunque, dopo la scalata nelle passerelle delle oversize (“taglie forti”), che hanno reso superato l’imperativo “magro è bello”, ora siamo di fronte a una nuova provocazione, se possiamo vederla così: il lancio, cioè, come detto, di Fashion Able, da parte di Fashion Team, iniziativa che va oltre un semplice concetto di moda per tutti indistintamente, ma che ha il coraggio di esprimere la bellezza e il fascino attraverso persone che non rispettano i consueti canoni della bellezza. Forse, in tale maniera, è lo stesso mondo della moda ad apparire più reale: non più il must della perfezione, ma piuttosto la normalità, che può quindi avere anche qualche difetto.
C’è purtroppo uno dei tanti stereotipi legati all’immagine della persona con disabilità – di cui spesso anche il nostro giornale si è occupato -, che la vuole necessariamente come “sciatta”, “brutta”, “triste”. In altre parole, se appari sorridente, ben curato, non puoi essere disabile, non puoi soffrire di qualche patologia invalidante… Questo, insomma, è ciò che si pensa facendo una sorta di uso e abuso del pregiudizio che etichetta una persona.
In tal senso, Fashion Able non può che essere d’aiuto: ben vengano, infatti, ragazze e ragazzi con disabilità che possano dimostrare a tutti come, nonostante tutto, la loro presenza possa essere piacevole, gradevole, bella, senza alcuna strumentalizzazione. Una per tutte, Cinzia Rossetti, che è stata certamente tra le prime a dare il via a questo nuovo modo di pensare. Uniche nel suo genere, infatti, le sue foto, nate dall’abilità di Paolo Ranzani, sono state utilizzate nell’esposizione itinerante Femminilità è donna del 2009 e in quello stesso anno Ranzani è stato anche premiato per Open to all – Disabile a chi?, reportage che ha coinvolto sportivi e atleti paralimpici.
Perché qui non si parla di mettere di fronte alla telecamera un disabile per pura pubblicità; non ci sono cioè strumentalizzazioni, ma si vuole dare l’opportunità di potersi esprimere muovendosi in due diversi àmbiti: da una parte dando la possibilità alla persona disabile di accrescere la propria autostima, ciò che di per sé non è poco, visto quali grandi problemi si devono vivere proprio a causa della non accettazione, del rifiuto del proprio corpo; dall’altra parte si permette alla società di trovare “quasi normale” una pubblicità “diversa” dai canoni imposti, e magari di abituarsi a questo, eliminando definitivamente i preconcetti, ancora oggi in testa tra ciò che causa le barriere culturali presenti nel nostro mondo.
Da tutto ciò, pertanto, ha preso vita Fashion Able, e con questa intervista a Roberto Maglietti dell’Agenzia Fashion Team, cerchiamo di capire meglio i contenuti del progetto.
Come è nata l’idea di Fashion Able, ma soprattutto qual è il motivo che vi ha spinto a promuovere questa iniziativa?
«Il motore del progetto è stata senz’altro Cinzia Rossetti che con la sua simpatia, semplicità e determinazione, ci ha portato a riflettere su un tema che non avevamo mai affrontato e con il quale non avevamo familiarità, professionalmente parlando.
Gli input che hanno dato origine a Fashion Able sono stati sostanzialmente due. Da un lato la forte valenza del concetto di accessibilità per il mondo disabile nei confronti di un settore “appaltato dai belli” per eccellenza; dall’altro la consapevolezza della “fattibilità” del progetto.
In sostanza, il desiderio di riscatto sociale si traduce nella necessità di far capire che una persona portatrice di disabilità ha e merita una considerazione pari a quella riservata a un’altra persona “normalmente abile”. Le foto di Cinzia e la sua espressività – abbinate all’abilità del fotografo Paolo Ranzani – ci hanno fatto capire che la strada era percorribile e la sfida stimolante è stata proprio quella di cimentarsi su un terreno dove la bellezza è padrona di casa. Infatti, il settore della moda, innanzitutto, ma anche quello della pubblicità, hanno canoni estetici piuttosto precisi e definiti. Stiamo parlando di bellezza e facilmente potremmo essere tacciati di superficialità, ma l’attività delle agenzie di modelli e modelle è incentrata su questi valori e quindi è da tenerne conto per poter proporre un discorso che abbia un senso logico.
In altre parole, un “modello/a”, per essere tale e per poter lavorare in maniera professionale e continuativa, ha la necessità di impersonare dei requisiti che corrispondano ai canoni estetici sinonimo di bellezza. Ciò non toglie, però, che spesso vengano inseriti in agenzia soggetti che non corrispondono al 100% a questi canoni, ma che hanno alcune caratteristiche interessanti e di conseguenza spendibili per lavorare con noi. Queste persone hanno anch’esse delle chance lavorative, seppure inferiori. Faccio un esempio, una ragazza con un bel viso, una dentatura perfetta e un bel naso non ha la necessità di essere alta un metro e ottanta, per fare la pubblicità di un rossetto, di un dentifricio, di un trucco o di un gioiello. Lo stesso vale per una ragazza in carrozzina. È ovvio, per altro, che le possibilità di lavoro per le due ragazze in questione siano ridotte se comparate a quelle di una ragazza alta e con il fisico a posto, ma ciò non toglie che possano lavorare anche loro come modelle.
Con Cinzia Rossetti, dunque, abbiamo condiviso questi punti di vista e ci abbiamo voluto provare. Da ciò ha preso forma il progetto che oggi può dirsi realizzato».
Vorrei incentrare il discorso sull’immagine stereotipata di una persona con disabilità, che appare agli occhi dei più come “sciatta”, “brutta”, “triste”. La vostra idea può essere d’aiuto per eliminare certi preconcetti?
«Parlando con Cinzia, il nostro trait d’union con l’ambiente della disabilità, abbiamo avuto il privilegio di sciogliere dei nodi che sono tipici della cultura media e delle generalizzazioni cui siamo soggetti quando non direttamente coinvolti.
Una persona disabile dalla nascita si sente assolutamente normale nelle sue limitazioni, non tollera l’atteggiamento di compassione al quale cediamo quando cerchiamo di adottare un linguaggio o degli atteggiamenti misurati e riguardosi, che hanno inevitabilmente un retrogusto compassionevole. Si tratta di un atteggiamento che nasce dalla paura inconscia di “trovarci al loro posto” e di non essere in grado di affrontare la situazione, ciò che ci porta, quindi, ad associare la disabilità ai concetti di tristezza, sciatteria e via dicendo.
La percezione che ho avuto personalmente grazie a Cinzia è che ognuno di noi abbia i suoi difetti, qualcuno più grande e qualcuno meno, ma superato questo discorso, rimane tutta una persona da considerare e, perché no, da valorizzare, essendo questo il mio lavoro».
Il fascino, le capacità professionali o sportive rendono una persona sicura di se stessa e sempre più spesso sembra che si possano esprimere queste caratteristiche, nonostante un corpo imperfetto, sentendosi finalmente alla pari e migliorando la propria autostima. Abbiamo in tal senso molti esempi di modelle, attrici e atlete con disabilità. Che stia cambiando lo stesso canone di bellezza e di eleganza, con nuovi criteri di valutazione, a favore di una nuova cultura senza barriere o condizionamenti?
«Per quanto riguarda l’aspetto professionale, posso dire senza tema di smentita che i soggetti “meno dotati” – non vogliatemene – sono senza dubbio quelli più determinati nel raggiungimento dei propri obiettivi. Le penalizzazioni dovute alle imperfezioni fisiche, infatti, lasciano in genere il posto a una grande determinazione, alla voglia di riuscire, a una sorta di sfida, dove la volontà gioca un ruolo centrale. Questo processo genera professionalità e affidabilità, due caratteristiche che nel mio àmbito sono tenute in grande considerazione e riconosciute a coloro che le possiedono, in modo tale da generare senza dubbio in queste persone autostima e percezione di parità.
Per quanto riguarda poi l’evoluzione della cultura, credo che anche l’ambiente del fashion business debba necessariamente subire il trend evolutivo che hanno già subìto altri settori. Solo cinque anni fa, ad esempio, era impensabile impiegare un modello di colore in un messaggio pubblicitario. Oggi, invece, la nostra agenzia ha al proprio interno un management di attori e da un paio d’anni abbiamo attori di colore dei quali noi stessi abbiamo stimolato la formazione, dopo le ripetute richieste provenienti dalle case di produzione di film e spot commerciali.
Credo insomma che mentre prima fosse in atto un processo di “mitizzazione” della figura del modello, oggi questo trend stia lasciando il posto a un atteggiamento diverso, con il grande pubblico che sembra voler diventare trasversalmente protagonista, chiedendo di identificarsi nei personaggi che gli proponiamo. C’è insomma bisogno di riconoscersi, voglia di un percepito diverso.
Nello specifico della disabilità, credo che finalmente si stia cominciando a vederla rappresentata in maniera più normalmente compenetrata con il tessuto sociale. Quando abbiamo cominciato noi, poco più di un anno fa, era sicuramente “un inedito” in tal senso».
Si è già parlato più volte di Cinzia Rossetti, che è anche direttamente coinvolta nell’iniziativa di Fashion Able: qual è il vostro approccio, in tale àmbito, e su quali aspetti vi concentrate, considerato che le disabilità sono diverse, così come devono esserlo anche le esigenze?
«Premetto doverosamente che – al pari dei modelli “normalmente abili” – anche quelli con disabilità vengono “scremati” nel momento in cui ci contattano e ci sottopongono la loro candidatura. Nel loro caso, per una valutazione più coerente, ci è d’aiuto il parere professionale del fotografo Paolo Ranzani, altro importantissimo ingranaggio della macchina Fashion Able.
Come già dicevo, le persone che si presentano e che poi vengono selezionate e inserite in scuderia da noi, è perché hanno delle caratteristiche che consideriamo interessanti e quindi professionalmente “sfruttabili”, a prescindere dal fatto che siano persone con disabilità».
Qual è, in sostanza, il messaggio che volete comunicare? Non si può considerarla solo “un’opportunità per un disabile di entrare nel mondo della moda”, è così?
«Finora abbiamo preso in considerazione il mio punto di vista, in qualità di addetto ai lavori. Se parliamo delle motivazioni che spingono queste persone ad affrontare questa sfida, allora dovremmo giustamente coinvolgere Cinzia Rossetti.
Posso dire che per loro si tratta di un terreno di grandissima sfida e, come dicevamo prima, il riscatto nasce proprio da li, dal volere scalare un settore che, da sempre, è “appalto della bellezza” e la celebra nella sua totalità, in grande contrasto con l’accezione comune della disabilità».
Nel vostro sito riportate questa frase: «Quando la professionalità e l’attitudine fashion sono le prime a farsi vedere, la disabilità resta solo un dettaglio». È un concetto utile anche per evitare ogni tipo di strumentalizzazione?
«Le strumentalizzazioni sono il prodotto di menti che strumentalizzano o che cercano di farlo. Da parte mia ho letto la gioia e la felicità negli occhi di Cinzia quando il progetto ha preso forma, quando abbiamo pubblicato la Gallery, quando le ho fatto la foto con Federica Panicucci alla conferenza stampa di presentazione a Milano.
Leggo quotidianamente mail di ragazzi e ragazze che ci scrivono da tutta Italia e posso dire che sono commoventi, piene di coraggio, di volontà, di forza d’animo. Sarebbe un peccato che si spendessero energia e tempo per strumentalizzare, quando sarebbero ben più intelligentemente spese per darci una mano.
A tal proposito approfitto della vostra capacita di divulgazione, in quanto media, per segnalare che siamo alla ricerca di aziende che vogliano affiancare la loro comunicazione al progetto Fashion Able mediante l’inserimento di modelli della nostra scuderia nelle loro pubblicità, diventando così precursori di un trend che è destinato a diventare parte della vita comune di tutti noi».