Fra tabelle, scale di conversione, franchigie, aggiunte, modifiche, commi, combinato disposto di normative, rimandi alle leggi precedenti, il nuovo ISEE, l’Indicatore della Situazione Economica Equivalente, è finalmente stato approvato e ora comincia il suo iter prima di essere effettivamente applicato ogni volta che un cittadino italiano intende accedere a servizi agevolati, per i quali è prevista comunque una forma di partecipazione alla spesa, o comunque una soglia di reddito.
Dal mondo delle persone con disabilità e dai familiari questo provvedimento è vissuto con paura, preoccupazione, ansia, ancor prima di capire come e se funzionerà. La sensazione che l’ISEE comporti qualche fregatura è molto diffusa e per il momento è impossibile, nel concreto, diradare le ombre.
Come sempre, in questo mondo complicato da decifrare, si cerca l’interpretazione di chi da sempre segue da vicino i provvedimenti di tale natura. In particolare, in questo caso, è degno di nota il “monumentale” lavoro di decodifica effettuato rapidamente da Carlo Giacobini all’interno del Servizio HandyLex.org [se ne legga già la segnalazione anche nel nostro giornale, N.d.R.], al quale rimandiamo per una lettura attenta di tutto il testo e delle sue conseguenze immediate e soprattutto future, comprese le domande e le risposte ai dubbi più frequenti.
Per quanto è ragionevolmente possibile argomentare, dopo mesi e mesi di bozze, di modifiche, di simulazioni, è che molto dipenderà dall’obiettivo che a tutti i livelli (Governo Centrale, Regioni, Comuni, ASL, altri Servizi Socio-Sanitari) si vorrà effettivamente ottenere. Infatti, l’ISEE di per sé è uno strumento che consente di valutare e di conteggiare in modo completo la situazione patrimoniale e reddituale delle famiglie italiane. La prima riflessione che tutti più o meno esplicitamente ne traggono è che di fronte a un livello patologico di evasione e di elusione fiscale, è assai pericoloso attribuire a un singolo strumento contabile il valore di verità e di giustizia perequativa, in funzione dell’accesso ai servizi che comunque sono previsti dalle leggi in vigore, in favore delle persone con disabilità.
L’assistenza domiciliare, il trasporto scolastico, l’assistenza scolastica, la mobilità personale, gli ausili, solo per citare alcuni dei campi di applicazione dell’ISEE, sono comunque servizi fondamentali per garantire a ogni persona con disabilità la realizzazione del proprio progetto di vita.
È fondamentale, quindi, sapere che non ci sarà, a livello di base, nel proprio Comune di residenza, nessuna discriminazione nell’accesso a questi servizi, che sia basata sull’applicazione di un criterio contabile, magari collocando l’asticella del reddito equivalente a un livello così medio-basso da inglobare una grande quantità di persone e di famiglie.
In parole povere: se l’obiettivo è fare cassa, in tempi di spending review e di vacche magre, l’ISEE rischia di diventare un’arma potente e pericolosa in mano alle Istituzioni pubbliche, se non si mettono subito in atto correttivi, controlli, monitoraggi, sperimentazioni serie e rigorose rispetto all’efficacia e all’appropriatezza delle prestazioni. La riduzione della spesa pubblica non può passare solo dalla “base”, ossia dalla continua richiesta di denaro alle famiglie. Per il semplice motivo che il denaro non c’è, e comunque non è giusto infierire su chi è già ampiamente tartassato in ogni modo.
Se invece si vuole correttamente parametrare i servizi meno essenziali rispetto alla ricchezza reale delle famiglie, questo è giusto in teoria, e può addirittura liberare risorse importanti da destinare a chi è più in difficoltà, o in maggiore situazione di gravità. Sempre ricordando, però, che il nostro è il Paese che in Europa si colloca agli ultimi posti per spesa sociale pro-capite, alla faccia di chi crede che si spenda persino troppo.
Ci sono poi almeno due aspetti che suscitano forte perplessità. Il meccanismo dell’ISEE sembra ad esempio scoraggiare la formazione di nuovi nuclei familiari, ossia la persona con disabilità che decide di uscire di casa, sposarsi e non essere più un “single” rischia di imbattersi in un secco ridimensionamento dei servizi socio-sanitari agevolati. E poi un danno possono registrarlo anche le famiglie che hanno deciso di investire sulla proprietà della casa i propri risparmi, proprio per garantire il “dopo di noi” a un figlio con grave disabilità. Nel reddito familiare il peso della casa in proprietà è importante e potrebbe dunque crearsi una sperequazione non indifferente, della quale non si capisce chi dovrà tener conto e come.
E dunque in generale il tema che da ora si apre è quello dell’attenzione concreta agli effetti pratici, a che cosa cambia a parità di situazione, alle discriminazioni possibili anche quando non sono volute né desiderate. Anche dando per buona l’idea che questo strumento porterà a una maggiore giustizia distributiva delle risorse a disposizione, il dubbio che la sua applicazione, in Italia, si presti a interpretazioni più o meno vessatorie o comunque sfavorevoli è molto alto e diffuso.
Ne consegue, ancora una volta, la necessità di un’ampia informazione, di un lavoro di tutela dei diritti da parte delle Associazioni, di un controllo concreto nelle diverse realtà italiane (da Nord a Sud le cose cambiano e non poco), di un ascolto serio e competente della voce delle famiglie e delle persone. Noi ci saremo.