Gli psicologi e la disabilità

Al di là dei tanti stereotipi sin troppo diffusi, la psicologia e gli psicologi, secondo Lelio Bizzarri, possono dare contributi sostanziali, da una parte per realizzare l’emancipazione delle persone con disabilità e per risolvere la sofferenza dei familiari, dall’altra per aiutare gli operatori impegnati in àmbito di disabilità a superare i momenti di maggiore difficoltà, migliorando la qualità del loro lavoro

In primo piano mano di psicologo che prende appunti; sullo sfondo una donnaIl 23 dicembre prossimo, e successivamente dal 10 al 12 gennaio, presso la sede dell’Ordine degli Psicologi del Lazio [Via del Conservatorio, 91, Roma, N.d.R.], si terranno le elezioni per il rinnovo del Consiglio dell’Ordine degli Psicologi*, un evento che ai non addetti ai lavori potrebbe sembrare secondario, ma che al contrario può costituire una svolta importante nel rilanciare il benessere psicologico e la qualità della vita delle persone con disabilità e dei loro familiari, così come di tutti gli operatori che lavorano nell’àmbito della disabilità.

Per chi non è psicologo, possiamo brevemente dire che gli Ordini Professionali sono veri e propri Enti Pubblici riconosciuti e istituiti da Leggi dello Stato (nella fattispecie la Legge 56/89) i quali, fra le altre competenze, hanno anche quella di promuovere progetti e campagne di sensibilizzazione alla cura del benessere psicologico e della salute mentale.
In particolare nel mondo della disabilità esiste un po’ di diffidenza verso la professione psicologica e i componenti questa categoria. Storicamente, infatti, la figura dello psicologo è stata assimilata a stereotipi quali: «Lo psicologo teorizza che il mio malessere sia esclusivamente soggettivo e sottovaluta l’oggettività delle difficoltà derivanti dalla disabilità; lo psicologo teorizza che i pregiudizi della società verso le persone disabili siano solo una mia percezione, miei “complessi”; lo psicologo può convincermi ad accettare “serenamente” la mia condizione di emarginazione e a rassegnarmi dal lottare per i miei diritti; lo psicologo svela pensieri di non accettazione e i sentimenti di rabbia verso la persona con disabilità e ci giudica per essi; lo psicologo è colui che valuta la mia intelligenza e decreterà la mia esclusione o la mia integrazione».

Posto che gli psicologi non sono dei “superman”, né le psicologhe delle “superwomen”, e che devono anch’essi fare i conti con la propria storia e le cosiddette dinamiche “contro-transferali” – cioè con i sentimenti legati a vicende proprie che possono essere proiettate sui propri utenti -, allo stesso tempo è importante affermare che tutta la deontologia professionale e la formazione che ognuno di noi svolge prima di iniziare la professione e durante il suo svolgimento, va in tutt’altro senso. La psicologia, pertanto, può essere uno degli strumenti principali per realizzare l’emancipazione delle persone con disabilità e per risolvere la sofferenza dei familiari.
Più analiticamente, e rovesciando gli stereotipi elencati sopra, potremmo dire che lo psicologo è colui che: movimenta le energie emotive e aiuta a ideare creativamente strategie di problem solving [letteralmente “risoluzione di un problema”, N.d.R.], per affrontare le difficoltà quotidiane legate alla disabilità; aiuta la persona con disabilità a non farsi condizionare da quello che le persone pensano sul suo conto e a mostrarsi nella sua autenticità, con i suoi pregi e i suoi difetti, le sue difficoltà e le sue risorse; incrementa il livello di assertività della persona con disabilità, facendo in modo che elabori la rabbia distruttiva e allo stesso tempo sia in grado di comunicare efficacemente i propri desideri e bisogni; agevola l’emergere della rabbia e del dolore causati dalla disabilità, per favorirne l’integrazione con i sentimenti d’amore verso il congiunto; aiuta la persona con disturbi cognitivi e dell’apprendimento ad elaborare strategie per compensare le difficoltà determinate dai limiti intellettivi e potenzia al massimo le risorse di autonomia per favorire l’integrazione sociale e il benessere.

Il contributo della psicologia, poi, può riguardare anche gli operatori, prevenendo il rischio di burn-out [particolare tipo di stress lavorativo, N.d.R.]. La precarietà delle condizioni di lavoro nel sociale e le difficoltà insite nelle attività di supporto a persone con disabilità, soprattutto nei casi gravi, mettono infatti l’operatore a rischio di sviluppare sentimenti di impotenza e delusione, rispetto al contributo che può dare alla persona, soprattutto quando ci si confronta con ripetuti fallimenti rispetto agli obiettivi prefissati.
Aiutare a stilare piani di trattamento e/o riabilitativi realistici, favorire l’elaborazione dei sentimenti di rabbia o di quelli più dolorosi, fornire contesti per rigenerarsi dallo stress, sono tutti esempi di come la psicologia fornisca tantissimi spunti e strumenti per aiutare gli operatori a superare i momenti di maggiore difficoltà e migliorare la qualità del loro lavoro.

È per altro necessario che gli Ordini si mettano in gioco – soprattutto in questo momento in cui la professione psicologica sta vivendo una fase di crisi ed emarginazione rispetto al mondo del sociale e del Terzo Settore -, intervenendo in prima persona per comunicare con semplicità l’importanza del prendersi cura del benessere psicologico.
Ed è anche necessario che i colleghi favoriscano, con il loro voto, la svolta che porti il più importante Ordine degli Psicologi, quello del Lazio, ad assumere come priorità assoluta la diffusione della cultura psicologica, la valorizzazione di tutti gli psicologi del Terzo Settore e l’attenzione all’integrazione e alla qualità della vita delle persone con disabilità!

*Gli psicologi interessati possono visitare il sito della SIPAP Lazio (Società Italiana Psicologi Area Professionale Privata) per tutte le informazioni sulle modalità di voto.

Psicologo, formatore per operatori del sociale, coordinatore per il Lazio della SIPAP (Società Italiana Psicologi Area Professionale Privata) e persona con disabilità motoria.

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