C’è una Milano che si scandalizza, che storce il naso, che grida all’orrore. Non sopporta l’idea che un ascensore trasparente consenta, nel lungo periodo dell’Expo 2015, a tutti i visitatori anziani e disabili, di raggiungere il tetto del Duomo, e di fruire come tutti di uno spettacolo di rara, incommensurabile, bellezza: muoversi fra le guglie e ammirare, da lì un panorama unico e strepitoso.
Di quel panorama, di quella magica esperienza, io, come tutte le persone con problemi di mobilità, possiamo solo immaginare l’emozione, facendoci guidare dai racconti altrui o dalle immagini, dalle fotografie. L’ascensore interno al Duomo non consente affatto questa ascesa sino in cima, e questa negazione di un diritto alla bellezza mi inquieta proprio per la sicura arroganza con la quale si tende a decretare un pollice verso nei confronti del progetto appoggiato dalla Veneranda Fabbrica del Duomo, per lo più senza conoscerlo affatto, ma solo per preconcetta avversione nei confronti del “moderno” che ovviamente “deturpa”.
Ho avuto l’onore di vedere ospitata nel primo numero del «Giornale della Fabbrica del Duomo» una mia lettera che contiene appunto la speranza di poter vivere, dopo tanti anni, anche questa esperienza estetica, convinto come sono che la bellezza faccia parte dei miei diritti come di quelli di ogni cittadino del mondo (ne avevo del resto scritto anche sulla cronaca locale del «Corriere della Sera».
Ho anche apprezzato fortemente la sensibilità con la quale i vertici del Duomo di Milano hanno saputo cogliere l’urgenza dei tempi e l’impatto numerico dei visitatori che arriveranno da ogni parte del mondo durante i mesi dell’Expo 2015. Hanno immaginato le code interminabili all’interno del Duomo, per compiere questa visita che è indicata nei libri e nelle guide turistiche come una delle mete imperdibili nella visita a Milano. A differenza di altri Enti e Istituzioni, che continuano a sottovalutare l’impatto della disabilità e della terza età sull’area metropolitana milanese, come se questo problema fosse solo una questione marginale, da ricondurre a qualche indicazione di maniera nei siti internet o nel materiale di propaganda e non fosse invece un vero e proprio test della capacità di accoglienza solidale, un biglietto da visita da proporre con orgoglio invece di un argomento del quale vergognarsi.
Ora una decisione va presa, perché i tempi stringono. Il progetto può e deve essere valutato con severità e attenzione dal punto di vista dell’impatto architettonico ed estetico. Ma non si può prescindere dalla sua motivazione forte e giusta. C’è anche un bisogno enorme di nuovi gesti simbolici in una Milano invecchiata e ferma.
Un ascensore accanto al Duomo è un messaggio potente, che richiama alle proprie responsabilità anche gli altri soggetti istituzionalmente chiamati a dare risposte di accessibilità di livello almeno europeo a questa metropoli: dalle Ferrovie alla metropolitana, dai musei cittadini agli alberghi, ai negozi (in centro quasi tutti inaccessibili, e finalmente un nuovo regolamento obbligherà al superamento delle barriere).
C’è bisogno di una Milano diversa, più accogliente, meno snobisticamente arroccata in una difesa aprioristica dell’esistente. Una città che non si scandalizza per gli enormi pannelli pubblicitari che coprono i ponteggi dei restauri, magari per anni, e che si sveglia per indignarsi di fronte a un ascensore in vetro, che potrà comunque essere smontato, se si rivelerà irrimediabilmente dannoso per la bellezza del Duomo (cosa rispetto alla quale non mi esprimo, tanto meno a priori).
Mi stupisce la superficialità con la quale anche le forze politiche presenti in Consiglio Comunale hanno espresso pareri del tutto sganciati da un’onesta e seria riflessione rispetto al punto centrale: le persone come me, che sono tante, e le persone anziane (che sono ancora di più) hanno diritto a fruire della bellezza o questo diritto è riservato alle persone “di sana e robusta condizione fisica”?
Che ne pensa, ad esempio, il sindaco Giuliano Pisapia, che non molto tempo fa mi chiese di aiutarlo a fare di Milano una città a misura di tutti?