Mi ero ripromesso [così come ha sempre fatto sinora «Superando.it», N.d.R.] di contare fino a dieci e di rinunciare a scrivere di questo argomento. Ma non ce la faccio, di fronte all’esposizione mediatica costante e vergognosa delle proteste di un gruppo di persone che reclamano la possibilità di accedere alle infusioni del cosiddetto “metodo Stamina”, che personalmente – anche come giornalista – mi rifiuto di chiamare “cura”, fino a quando non sarà scientificamente dimostrata l’efficacia e l’appropriatezza di questo trattamento.
Intendiamoci: i giornalisti, i fotoreporter, i cameramen fanno il loro mestiere e non c’è alcun dubbio che una protesta a Roma, davanti a Palazzo Chigi, da parte di persone malate che ricorrono a effetti speciali “pulp” per scandalizzare e spaventare, rappresenti un fatto, una notizia, un accadimento da documentare, registrare, riprodurre, diffondere con ogni mezzo. Ma in questo meccanismo infernale viene calpestata la dignità delle persone, la realtà di un mondo assai diverso da quella rappresentazione oscena e indecente.
Non voglio neppure entrare nel merito della protesta. Mi pare però evidente che vi sia un piano preciso per delegittimare il normale iter di approvazione e validazione dei metodi sperimentali di cura che utilizzano le cellule staminali.
Il conflitto di interesse palese e sfrontato che riguarda il titolare di questo metodo sembra infatti che non sfiori le intelligenze dei malati pro Stamina e dei loro familiari. Li lascio alle loro convinzioni mistiche. Ma ritengo vergognoso e inaccettabile che si usino i propri corpi per prendere in ostaggio emotivo l’opinione pubblica, il Governo, i centri di cura, le autorità amministrative, forzando al di là di ogni ragionevolezza umana le logiche della convivenza civile in un Paese come il nostro che vanta uno dei migliori sistemi sanitari e di ricerca del mondo.
Non è così che si fa cultura della diversità e della disabilità. Non si comportano in questo modo migliaia e migliaia di altre famiglie, che da anni si battono in silenzio per raccogliere idee e fondi attorno ai centri di ricerca genetica, ovviamente preoccupati per la salute e la sopravvivenza dei propri cari, ma al tempo stesso consapevoli, razionalmente, che la strada della ricerca seria è una sola, in tutto il mondo, e che mai e poi mai un ricercatore di fama lascerebbe intentata anche una sola possibilità di accorciare i tempi per arrivare a cure efficaci, anche per una sola persona malata.
Purtroppo le cose stanno diversamente, e il danno morale, culturale, politico di queste manifestazioni di protesta, amplificate a dismisura dai media, incuranti del messaggio, incapaci molto spesso di una mediazione competente e rigorosa, rischia di essere drammaticamente grave e, forse, irreversibile.
Da qui in poi l’asticella dello “stupro morale” della buona fede degli italiani si è alzata ulteriormente. Non riesco a immaginare a che cosa potremmo assistere nei prossimi giorni, nei prossimi mesi, se non si porrà un limite, un freno, un pensiero alternativo e ugualmente forte, per rimettere le cose a posto, nell’ordine giusto dei pensieri e delle azioni.
È infatti comprensibile che molte famiglie sperino nel miracolo di una terapia salvifica, basandosi sulla segnalazione di miglioramenti che sicuramente possono verificarsi oggi e ancora. Ma non è questo il modo per vincere la battaglia, l’unica giusta, di chi chiede una risposta scientificamente autorevole, trasparente e definitiva. Continuando su questa strada, infatti, non sarà mai accettata una sentenza eventualmente negativa da parte dell’ipotetica nuova commissione scientifica che dovrà ora formarsi. A loro si chiederà unicamente di validare, di dire di sì, di autorizzare la sperimentazione di massa a carico del Servizio Sanitario Nazionale.
A questo punto invito l’Unitalsi, la gloriosa associazione che organizza i viaggi a Lourdes, a chiedere in modo altrettanto fermo la medesima cosa: viaggi di malati a carico dello Stato, e in caso contrario blocco dei treni ad alta velocità. Troverebbero anche molti curiosi compagni di lotta!
Fermiamoci, finché siamo in tempo. E al ministro della Salute Lorenzin chiedo di non spaventarsi: non abbiamo bisogno di un governo compassionevole.