Era piccola, sì, ma qualcosa avrà pensato in quel momento lì, Fan Tu Do, se si scrive così, che oggi si chiama Haven. Non aveva ancora un anno, c’erano mamma e papà uno davanti all’altro che si abbracciavano. E in mezzo c’era lei. Forse stava pensando a quanto era bello stare stretta fra le due persone che amava di più e che l’amavano più. Forse. Perché non ha avuto molto tempo per pensare: fra quei due corpi che si univano insieme, proprio sotto le sue gambe c’era anche un bomba. E, a un certo momento, lo scoppio. Bum! «I miei genitori erano innamorati»: Haven, che una volta si chiamava Fan Tu Do, lo dice e sa che è vero. Bum! «Lo scoppio ha ucciso loro e ha fatto saltare le mie gambe»: probabilmente non la tenevano così stretta, chissà, e lei è schizzata via. Gambe spappolate e amputate sotto il ginocchio.
Questa è una storia di speranza e ottimismo, non di tristezza. Oggi Haven ha undici anni e vive nel Missouri, nel mezzo degli Stati Uniti. Era primavera, quel giorno, in mezzo alla giungla del Vietnam. Haven è nata lì, in un villaggio. I suoi genitori erano sposati con altri, ma avevano una relazione, dalla quale è nata lei. Quel loro amore probabilmente non bastava in un luogo dove era ritenuto vergognoso e disonorevole per due persone già impegnate con altri. Volevano morire insieme. Un suicidio familiare. «Hanno messo una bomba fra loro, si sono abbracciati e mi hanno stretto». Haven lo racconta, anche se non può ricordare.
Aveva 19 mesi quando è stata adottata dalla famiglia Sheperd, Shelly e Rob, già sei figli insieme. «Pensavamo: perché non averne un altro, che magari ha bisogno di essere adottato?», spiega Rob, anche se a dire il vero l’idea era di Shelly. Andarono in Vietnam con un’Associazione fondata nel 1999 da Pam e Randy Cope: Touch A Life Foundation si occupa di bambine e bambini anche con gravi disabilità in diverse zone del mondo in cerca di sviluppo, fra le quali Ghana, Vietnam e Cambogia. Fu un viaggio in moto nella giungla per raggiungere quello sperduto villaggio. Qualche mese dopo, Haven, come la chiamarono, era con loro: «Una benedizione e un miracolo». Ma Haven ci aggiunge qualcosa in più, che viene forse dalla cultura del Paese che ha lasciato: «Io credo di essere qui per un motivo».
«Ha sempre fatto le cose delle ragazze della sua età. Le sue sorelle e i suoi fratelli l’hanno fatta sentire subito come una nuova sorella»: si era solo fatto un po’ di spazio per lei, in quella casa di Carthage, due passi da Springfield, luogo di culto per lo sport, perché proprio lì è nata la pallacanestro.
Ma Haven non gioca a basket. Corre. Le piace davvero tanto. Ha cominciato dopo avere visto la sorella maggiore, Haley: «Mi ispira. Sì, un giorno vorrei essere come lei». L’inizio non fu incoraggiante, in quella gara alle elementari. Ricorda Shelly: «Correva con le sue protesi normali e inciampò. Cadde, udì le risa intorno. Fu forse la prima volta che si sentì davvero disabile. Fu devastante». I piccoli a volte sanno essere cattivi senza volerlo davvero: «Ero imbarazzata e nervosa. Ma ora sono contenta che questo sia in passato. Ho imparato dai miei errori. Sono davvero felice oggi». Perché ora è diverso.
Da quel giorno sono passati tre anni. Da qualche mese Haven corre con due protesi nuove, due lame che stanno sotto le sue gambe amputate. Con quelle è veloce come i suoi compagni. Nessuno ride più: «A volte sono un po’ gelosi, le vorrebbero anche loro».
Rob e Shelly si rivolsero alla CAF (Challenged AthletesFoundation), organizzazione che negli Stati Uniti fornisce protesi e ausili per fare sport a ragazzi e ragazze con disabilità. Le fornirono protesi come quelle che Oscar Pistorius ha reso famose nel mondo. Costose. Ma per fortuna di Haven e di tanti ragazzi e ragazze come lei, negli States esiste appunto la CAF, che qualche mese fa l’ha premiata con il Rising Star Award 2012, riconoscimento per le future “stelle” dello sport paralimpico. Chissà se Haven arriverà a esserlo. Non è così importante. Quello che conta è che lei corra felice. Ricordando quel giorno di primavera, stretta fra mamma e papà. Che si amavano e la amavano.
Testo già apparso – con il titolo “Haven, l’abbraccio di mamma e papà, quella bomba. E le corse di oggi” – in “InVisibili”, blog del «Corriere della Sera.it». Viene qui ripreso, con alcuni riadattamenti al diverso contesto, per gentile concessione.
Sono disponibili (in lingua inglese) sia una pagina del sito della CAF (Challenged AthletesFoundation) interamente dedicata a Haven Sheperd, sia un video che ne racconta la storia.
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