Com’è ben noto, la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità ha forza vincolante in Italia da quasi cinque anni, quando cioè è diventata la Legge 18 del 3 marzo 2009. La Convenzione medesima, oltre a dettare princìpi cui gli Stati che la ratificano devono attenersi nel settore, prevede anche l’obbligo specifico di rivedere e aggiornare le normative pregresse sulla disabilità.
Dal Programma d’Azione Biennale per la Promozione dei Diritti e l’Integrazione delle Persone con Disabilità – documento redatto dall’Osservatorio Nazionale sulla Condizione delle Persone con Disabilità e diventato a propria volta Legge nei giorni scorsi, con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale (Serie Generale n. 303) del Decreto del Presidente della Repubblica (DPR) del 4 ottobre 2013 – risulta invece un totale disallineamento alla Convenzione ONU del nostro quadro di riferimento, frutto di successive, caotiche e talvolta contraddittorie stratificazioni normative.
Né le azioni correttive proposte nel Programma sembrano – a parere di chi scrive – avere la capacità di ricondurre la nostra normativa sulla disabilità a un minino di organicità derivante dall’obiettivo dalla Convenzione, volto a garantire alle persone con disabilità i diritti fondamentali secondo il criterio delle pari opportunità.
Per fare un esempio, il Programma ipotizza generiche azioni amministrative per recepire nel nostro ordinamento il concetto di disabilità definita dalla Convenzione, come condizione, cioè, da imputarsi non solo alle più svariate menomazioni che possono colpire le persone, ma come interrelazione tra le menomazioni delle persone e i contesti sociali dove vivono ed operano.
E il Programma stesso non tiene conto che questa concezione della disabilità inciderebbe sull’attuale sistema – o meglio a-sistema – di welfare per la disabilità. Infatti, l’adeguamento dei contesti dove interagiscono le persone con disabilità ne diminuirebbe lo svantaggio e quindi ridurrebbe anche la spesa pubblica sostenuta a titolo di parziale indennizzo sociale dello svantaggio subito, potendo altresì realizzare una riallocazione della risorse, da dedicare a favore delle persone con gravi menomazioni, ovvero una riqualificazione della spesa da “fondo perduto” a investimenti utili a garantire l’accessibilità, dispiegando i propri benefìci nel tempo a favore di tutti, anche ad esempio della terza età. Il Programma, invece, tratta il tema dell’accessibilità in modo del tutto avulso dal suddetto aspetto e quindi le azione prospettate sono generiche e anodine.
Il fatto poi che il Paese non abbia preso alcun provvedimento rilevante in esecuzione della Convenzione ONU a quasi cinque anni dal suo recepimento risulta evidente anche dal primo Report sullo stato di attuazione della Convenzione, inviato dall’Italia all’ONU nel 2012.
Purtroppo, la sola attività dell’Esecutivo attinente – sia pure indirettamente – alla Convenzione mi sembra sia stata quella di avere istituito il citato Osservatorio Nazionale sulla Condizione delle Persone con Disabilità, le cui caratteristiche appaiono come quelle di un “pletorico carrozzone” e che l’attuale Governo – ritenendo evidentemente apprezzabile sia la stesura del Programma sia il primo Report prodotto – ha recentemente rinnovato per altri tre anni.