Alla fine è successo davvero. Per la prima volta, a mia memoria. Un importante locale pubblico, sede di concerti affollatissimi, ritrovo notissimo per gli appassionati di musica rock a Milano, i Magazzini Generali, si è visto sanzionare dal Comune di Milano, con una multa di 516 euro e la chiusura per trenta giorni (in periodi tali, comunque, da non metterne in difficoltà l’attività lavorativa), accogliendo un’istanza presentata dal Servizio Legale della LEDHA, la Lega per i Diritti delle Persone con Disabilità, che costituisce la componente lombarda della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) [se ne legga già anche nel nostro giornale, N.d.R.].
È la “vecchia e gloriosa” Legge Quadro, la 104 del 1992, che lo prevede, solo che non viene quasi mai applicata, soprattutto nella parte sanzionatoria. Una ragazza che si muove in carrozzina elettrica, infatti, nel mese di marzo dello scorso anno non era riuscita ad assistere al concerto dei Black Rebel Motorcycle Club. L’unico servizio previsto dai titolari del locale per favorire l’accesso delle persone in sedia a rotelle era infatti la robusta muscolatura del buttafuori, un metodo, per così dire, del tutto inadeguato, oltre che inaccettabile.
La notizia ha chiuso il cerchio di una vicenda già a suo tempo segnalata su queste pagine, in cui parlammo, allora, di discriminazione rispetto a un diritto che viene quasi sempre aggirato, eluso, applicato al minimo: quello alla partecipazione normale agli eventi di tutti, musica rock compresa.
Le leggi ci sono da tempo, come si vede. Alle norme sull’accessibilità già scritte oltre vent’anni orsono, si aggiunge la tutela antidiscriminatoria della Legge 67 del 2006. Eppure in molti sono convinti che in fin dei conti l’accessibilità è un diritto opinabile, e comunque circoscrivibile a piccoli interventi, senza preoccuparsi davvero del risultato.
Al di là della sanzione – che per molti aspetti appare tutto sommato modesta e simbolica – è secondo me fondamentale e positivo che il Comune di Milano si sia assunto questa responsabilità, dopo avere esplorato tenacemente la possibilità di una conciliazione, ossia di una soluzione pratica, con buona pace di tutti. In realtà, resta intatto il dovere di questo locale – come di tutti gli altri locali nelle medesime situazioni – di rendersi accessibili veramente anche alle persone con disabilità motoria o sensoriale. Ma la sanzione è doverosa anche per altre considerazioni, magari persino banali.
Provate a immaginare un automobilista che sfreccia su una strada statale a 180 all’ora. La Stradale lo ferma, gli ritira la patente, gli dà una multa pesante. Ma il conducente dice: «Non lo farò più, lo prometto». Scongiura, implora, ma la pattuglia è irremovibile, giustamente. Intanto paghi la multa, stai per un po’ senza patente, e poi se ne riparla.
Ecco: le sanzioni servono a fare cultura, purtroppo. Penso alle cinture di sicurezza, che finalmente utilizziamo senza indugi, ma solo dopo che questa violazione è stata per lungo tempo sanzionata duramente. Le multe non bastano, certo, e devono accompagnarsi a campagne di sensibilizzazione culturale, che spesso non ci sono, o sono del tutto insufficienti.
Ma in questo caso è proprio la diffusione della notizia a costituire di per sé un momento di riflessione pubblica e “politica”, rispetto a un diritto che, a parole, tutti sicuramente condividono. Il concerto che Federica voleva seguire assieme ai suoi amici ormai è andato. Ma la strada ora è aperta, e spero che in tanti ci pensino, concretamente, e contribuiscano a rendere le nostre città, i nostri luoghi di cultura, di divertimento, di svago, di sport, pienamente fruibili a ciascuno di noi, senza alcuna discriminazione.