Organizzato dalla Presidenza Nazionale dell’UICI (Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti), su proposta della Commissione Nazionale per le Pari Opportunità Uomo-Donna, e dall’IRIFOR (Istituto per la Formazione, la Ricerca e la Riabilitazione), in collaborazione con il Consiglio Regionale Lombardo e con la Sezione locale dell’UICI, oltreché con l’IRIFOR della Regione, si è svolto nel novembre scorso a Brescia l’interessante seminario intitolato Dalla pelle al cuore. Cecità ed ipovisione: sessualità, affettività, diritti e amore. Come passare dagli stereotipi e tabù ad una cultura di condivisione? [se ne legga la presentazione nel nostro giornale, N.d.R.].
L’incontro, che sin dal titolo lasciava intravvedere gli obiettivi prefissati e lo spirito con cui era stato concepito, è stato fortemente voluto con uno scopo ben preciso, quello cioè di accostare due tematiche (la disabilità e l’affettività/sessualità) spessissimo viste ancora come “due mondi a sé stanti”, quasi antitetici e per loro natura inaccostabili.
Va detto innanzitutto che gli argomenti proposti a Brescia non sono stati affrontati in modo astratto, proponendo cioè una serie di teoremi sganciati dalla realtà, poiché i diversi relatori si sono soffermati su una serie di questioni precise, inserendole nella realtà di tutti i giorni. Grazie infatti a un percorso ben tracciato da figure assai qualificate, sono stati forniti ai presenti svariati spunti per il dibattito successivo, durante il quale si è potuto discutere con estrema naturalezza di argomenti come l’affettività, la sessualità e l’amore che – spiace purtroppo doverlo ancora sottolineare – ancora troppo spesso sono considerati come “preclusi” alle persone affette da deficit visivo a causa del loro handicap.
Dal confronto è emersa invece una forte volontà di confrontarsi su tali tematiche, smentendo tutti quei preconcetti che inducono a considerare la persona non vedente o ipovedente priva di aspirazioni affettive.
Partendo quindi da una presentazione dell’attuale situazione riguardante le discriminazioni nei confronti delle donne con disabilità, sono stati poi affrontati argomenti quali il “femminicidio” e il dolore nella donna nelle sue varie sfaccettature, per arrivare al cuore del tema Sessualità e disabilità.
Rispetto alle discriminazioni nei confronti delle donne con disabilità, quel che è emerso è un quadro non certo positivo. Sovente, infatti, la donna con disabilità viene vista come sexless, ovvero priva di una propria femminilità o addirittura di una precisa identità sessuale dal punto di vista dell’affettività, se non anche incapace di intraprendere un’eventuale vita matrimoniale, in quanto non in grado di prendersi cura della famiglia per via del proprio handicap. Da ciò discende un notevole svilimento della figura femminile che, al contrario, si è sempre rivelata punto di riferimento nell’àmbito familiare, nonché parte estremamente attiva, in quanto ricca di risorse interiori in quel mondo sconfinato e variegato che è quello dei rapporti interpersonali in generale.
I motivi che inducono a una concezione così intrisa di pregiudizi non sono di così facile comprensione. Essi hanno infatti profonde radici culturali che risalgono all’antichità e identificarli non è sempre impresa facile; tuttavia si può dire che alla radice di ciò vi sia la difficoltà di confronto, unita a una mancanza di dialogo per paura di confrontarsi col “diverso”, nel caso specifico rappresentato dalla disabilità visiva.
In altre parole, al confronto si sostituisce la commiserazione e la compassione verso la persona non vedente o ipovedente, che viene identificata col deficit stesso, ancor prima di conoscerne i modi di fare, le aspirazioni e i diversi lati del carattere.
Altro tema su cui si è ampiamente dibattuto a Brescia è quello concernente la “corporeità” di cui è pervasa l’attuale società, portando a far credere che la persona affetta da deficit visivo non possa esprimersi pienamente nella sfera affettiva proprio perché, a causa del deficit visivo stesso, non avrebbe la percezione del mondo circostante.
In sostanza, secondo tale concezione il “non vedere” impedirebbe di provare sensazioni, di provare attrazione, e di esprimere appieno la propria affettività nell’àmbito di un rapporto a due, quasi che la mancanza della vista comportasse una percezione limitata anche di se stessi. Al contrario, come chiaramente confermato dai vari relatori del seminario di novembre e in particolare dallo psichiatra e sessuologo Marco Rossi, l’unico vero ostacolo è costituito dalla sottovalutazione di se stessi. L’affettività, infatti, va oltre la semplice attrazione fisica e il vero motore che possa davvero alimentare un rapporto è rappresentato dalla “fantasia”, intesa come curiosità verso l’altro, che stimola a conoscerne tutti gli aspetti.
Non vi è dubbio che il percorso verso un vero cambiamento culturale sarà lungo e tortuoso. Sarebbe infatti pura utopia pensare di sconfiggere dall’oggi al domani i pregiudizi riguardanti le persone affette da deficit visivo e la loro affettività; e tuttavia occasioni come quella di Brescia non possono che fare da stimolo a un dialogo costante, linfa vitale per giungere a quella “cultura condivisa”, auspicata dagli organizzatori del seminario e lasciarsi alle spalle quel modo di pensare che induce a considerare la sessualità e l’affettività come “argomenti tabù” se riferiti alle persone con disabilità.