Il “caso Stamina”, la scienza e l’informazione

«Vorrei – scrive Stefania Delendati – che nel cosiddetto “caso Stamina” si rimettesse la palla al centro e si ripartisse da zero. E che al centro ci fossero gli interessi dei pazienti e delle loro famiglie. L’iter conoscitivo scientifico sull’accettabilità e l’efficacia del metodo deve proseguire con serietà, separatamente rispetto all’altrettanto doveroso percorso giudiziario. Ma nessuno deve schierarsi sulle barricate del preconcetto»

Particolare di volto di donna con espressione severaHo riflettuto a lungo prima di scrivere queste righe. Il “caso Stamina” è di quelli che impongono una scelta, pare inevitabile decidere da che parte stare. Le posizioni sono nettamente distanti: da un lato i detrattori della metodica, tra i quali anche persone affette da Malattie Rare, che non esitano a definire Stamina come “una truffa”; dall’altro i sostenitori convinti della bontà delle infusioni di cellule staminali mesenchimali adulte, con il sistema ideato da Davide Vannoni.
Più passa il tempo più aumenta il divario tra i due schieramenti, l’un contro l’altro armati di carte, cartelle cliniche, video, dichiarazioni a mezzo stampa, post sui social network, servizi giornalistici. Un bombardamento di notizie che racconta tutto e il contrario di tutto, aumentando la confusione e inasprendo i toni del dibattito.

Da quando è cominciata la vicenda mi pongo delle domande e, pur non potendo dare risposte certe (quelle deve fornircele la scienza), sono arrivata a disegnare una mia opinione che ho deciso di raccontare, consapevole del “pericolo” che corro. Con quello che dirò, infatti, rischio di inimicarmi tutti gli “attori” coinvolti: comunità scientifica, medici, colleghi malati e colleghi giornalisti. Sì, avete letto bene, sono “collega” di entrambe le categorie. Da 37 anni, infatti, convivo con la SMA [atrofia muscolare spinale, N.d.R.], una delle patologie invalidanti potenzialmente “trattabili” con Stamina; da 14 anni svolgo il mestiere di giornalista. Queste due “professioni”, di cui una, quella di disabile, esercitata “a tempo pieno” dalla nascita, mi impongono qualche interrogativo in più rispetto al cittadino medio.
Confesso che quando ho visto le prime immagini dei bambini trattati con Stamina mi si è accesa dentro una lampadina. Una persona con disabilità non vive con il chiodo fisso della guarigione, e tuttavia quando sente la parola “cura”, le si rizzano le antenne, è umano che ciò accada. Mi sono chiesta: «Possibile che in un nosocomio pubblico di eccellenza come gli Spedali Civili di Brescia venga praticato un trattamento che dà una speranza concreta, per di più senza chiedere un euro alle famiglie dei pazienti?». Per un po’ ho ascoltato soltanto notizie positive, sembrava dovesse partire una sperimentazione con i crismi e i tempi necessari alla ricerca. Stamina, infatti, non può percorrere una corsia preferenziale sull’onda dell’emozione, deve sottostare alle regole che la comunità scientifica impone per validare l’efficacia di un trattamento, nell’interesse della salute: questa è una delle poche certezze che trovano tutti concordi (o quasi).
A un certo punto qualcosa si è inceppato, si sono delineate due correnti contrapposte e hanno preso forma i miei dubbi: come mai invece di trovare un accordo, anziché avere la curiosità di capire se e cosa c’è di buono, ci si scontra con un’acredine che non giova a nessuno? Perfino le trasmissioni TV e le testate giornalistiche più importanti si sono schierate in due “battaglioni”. Guardando taluni programmi, ti pare che Vannoni sia un “genio incompreso della medicina”, ne segui altri e torni con i piedi per terra perché le staminali mesenchimali sono un’illusione creata ad arte per spillare soldi alla gente.

Dal punto di vista dell’informazione, sia il “partito” pro-Stamina che quello contro, a mia modesta opinione, hanno commesso alcuni errori. I disabili accampati a oltranza davanti a Montecitorio, che sono arrivati a proteste estreme, non hanno fatto un favore alla comunicazione sociale e lo stesso dicasi per l’enfasi con cui alcuni show televisivi hanno annunciato l’arrivo di una nuova “cura”, generando aspettative esagerate.
Inoltre, i sostenitori non parlano delle denunce e delle inchieste che vedono coinvolta Stamina Foundation, al massimo buttano lì un cenno distratto, come se le accuse di frode fossero un dettaglio di poco conto. Eppure le denunce ci sono e le imputazioni sono gravi perché chi specula sulla salute delle persone commette un crimine orribile. In tal senso, gli organi competenti devono fare il loro lavoro e, se accertano la veridicità dei reati, hanno il dovere di comminare una pena esemplare.
Appunto, gli organi competenti per giudicare non sono i giornalisti. Nelle trasmissioni e negli articoli contro Stamina è invece in corso un processo mediatico della serie “sbatti il mostro in prima pagina”, una strategia che fa vendere più copie dei giornali e alza l’audience, ma che non è buon giornalismo. Il buon giornalismo, soprattutto in vicende come questa, racconta tutti i punti di vista con imparzialità e obiettività, non concede più spazio alle tesi anti Stamina a discapito dell’altro parere.
Ciò che mi ha disturbato di più umanamente è stato il trattamento riservato ai genitori dei bambini che si sono rivolti a Vannoni. Per questi genitori dovrebbe esserci soltanto ammirazione per la forza con cui cercano di migliorare la qualità della vita dei figli. Meritano rispetto per le loro scelte coraggiose, e invece ho sentito medici e giornalisti giudicarli come dei “disperati” che vedono nei bimbi progressi inesistenti, inconsapevoli del guaio in cui si sono cacciati.
Gli specialisti che seguono questi bambini possono confermare che i familiari stretti acquisiscono competenze e un’esperienza tali da consentire loro di captare ogni cambiamento inerente la salute dei figli. In altre parole, bisogna ascoltare le mamme e i papà, non trattarli con un atteggiamento di malcelato compatimento.
Ogni schieramento accusa l’avversario di faziosità, volano parole grosse sui social network, nessuno riconosce pari dignità all’altro. Per questo dicevo che con queste righe probabilmente attirerò la rabbia di tutti, perché nella “vicenda Stamina” vedo sia da una parte che dall’altra molta intransigenza nel difendere le proprie posizioni e nel mettere all’angolo ogni opinione diversa, negando il diritto di replica a chi la pensa in maniera differente. Così facendo non si costruisce nulla di positivo, anzi, si distrugge la speranza, tutta la ricerca scientifica ne esce sconfitta. È una questione delicata che richiede prudenza, certo, ma occorre parimenti capacità di ascolto, equilibrio tra cuore e ragione.

Vorrei in conclusione che nel “caso Stamina” si rimettesse la palla al centro e si ripartisse da zero. E che al centro ci fossero gli interessi dei pazienti e delle loro famiglie.
L’iter conoscitivo scientifico sull’accettabilità e l’efficacia del metodo deve proseguire con serietà, separatamente rispetto all’altrettanto doveroso percorso giudiziario. Ma nessuno, neanche medici e ricercatori, deve schierarsi sulle barricate del preconcetto perché con i pregiudizi non si arriva a risposte chiare e inequivocabili, qualunque esse siano. Sarà possibile riannodare il filo del confronto?

Ben volentieri abbiamo dato spazio all’opinione di Stefania Delendati, apprezzata firma della nostra testata, che, con pacatezza e “competenza diretta”, derivata anche dalla propria esperienza personale, tocca argomenti estremamente delicati, sottolineando tra l’altro le indubbie responsabilità di tanti organi d’informazione nella cosiddetta “vicenda Stamina”. Due annotazioni, però, le riteniamo doverose.
La prima è una precisazione sull’atrofia muscolare spinale (SMA), di cui Delendati scrive essere «una delle patologie invalidanti potenzialmente “trattabili” con Stamina». In realtà, dopo averne “fatto bandiera” per molti mesi, parlando (e anche esibendo specifici video) di “miglioramenti” che avrebbero coinvolto proprio i bimbi affetti dalla forma più grave di quella malattia, la Fondazione Stamina ha successivamente e ufficialmente “cassato” la SMA stessa dall’elenco di quelle trattabili con il proprio “metodo”.
La seconda annotazione fa riferimento ad alcune recenti dichiarazioni del noto giornalista e conduttore televisivo Piero Angela, secondo il quale «a volte si pensa di dover applicare anche in questi casi la
par condicio, mettendo a confronto le opinioni dello scienziato riconosciuto con quello del venditore di miracoli. Forse siamo abituati alla politica, dove si può dire quello che si vuole e ogni opinione è rispettabile. Nella scienza, però, non ci sono opinioni, ma solo fatti, ovvero dati. E la pubblicazione dei dati deve essere controllata» (da «L’Unità» del 21 gennaio 2014).
Concordiamo sino all’ultima parola con quanto detto da Angela, ricordando anche che in questi ultimi tre anni, di «fatti, ovvero dati», da parte della Fondazione Stamina, non ne è stato prodotto alcuno. Di avvisi di garanzia nei confronti dei suoi responsabili e di altre persone coinvolte nella vicenda, invece sì, e, a quanto pare, non pochi.
La Redazione di «Superando.it»

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