Domani [oggi, 24 gennaio, N.d.R.] guiderò per tre ore, per quanto possibile, una conversazione a più voci dedicata alla povertà, al Teatro Elfo Puccini di Milano, nell’àmbito del Terzo Forum delle Politiche Sociali. È previsto l’intervento di autorevoli docenti universitari, di operatori del sociale, del credito, di soggetti attivi nel volontariato e nella cooperazione, di amministratori di Comuni grandi e piccoli. Tutti molto più esperti di me, che sono soltanto un giornalista, per di più concentrato, ormai da tempo, sul tema dei diritti delle persone con disabilità. Anche per questo l’invito di Pierfrancesco Majorino, assessore alle Politiche Sociali del Comune di Milano, mi ha spiazzato, mi ha messo in difficoltà. Ma mi ha costretto a pensare. Ho paura di affrontare un argomento come questo.
Prima di tutto per rispetto nei confronti delle persone povere. Che sono tante, e che magari saranno in sala, dignitose o scettiche, pronte a cogliere le sfumature, le tendenze alla retorica, al “fumo”, al messaggio politico. Che cosa si possono aspettare, di concreto, da un convegno nella giornata di apertura del Terzo Forum delle Politiche Sociali? Sicuramente qualche buona notizia, qualche segnale onesto, da chi di dovere, da chi comunque ha la responsabilità di gestire le scelte amministrative, politiche, economiche, di sostegno. E poi forse un po’ di umanità, di semplice umanità.
La povertà fa paura solo a nominarla. Si insinua nelle nostre vite da tempo, e assume di volta in volta l’aspetto più o meno truce della disoccupazione imprevista, della malattia, dello sfratto, delle bollette non pagate, del mutuo che non si riesce a onorare, oppure quello più sottile della rinuncia a un acquisto importante, a un regalo, a una vacanza, a un abito nuovo, a un gadget che non ci si può permettere.
Il confine è sempre più “liquido”, la transizione dall’insicurezza alla povertà è evidente, e ci costringe, quotidianamente, a voltare la testa dall’altra parte, oppure a rimboccarci le maniche, interrogandoci sulla nostra singola responsabilità individuale.
La povertà è figlia di un modello di ricchezza che ci ha logorato, condizionato, stressato, e condotto a vite perennemente votate all’affannosa ricerca del denaro, del benessere materiale per vivere, in modo individuale, o di singola famiglia, il sogno di una società ricca e sovrabbondante di consumi, quanto povera di relazioni umane, di vicinanza, di solidarietà attiva.
Milano è città simbolo della ricchezza e della povertà. Assume su di sé i volti della contraddizione e del contrasto indecente, il lusso da una parte, i senza dimora lì accanto. Le code alla mensa dei poveri, la ricerca di un sussidio, di un lavoro, la “guerra tra poveri”, nel vero senso della parola, con gli ultimi che hanno paura di quelli ancora più ultimi, che magari vengono da un Paese lontano e speravano di trovare qui la soluzione dei loro problemi di miseria, e invece incontrano una miseria diversa, e si adattano alle nostre strade, ai nostri anfratti, alle rovine urbane, in centro e in periferia, diventando invisibili e grigi, come le pietre consumate dall’umidità e dall’inquinamento.
La povertà assume i volti di persone giovani, si insinua assieme alla disabilità, all’invecchiamento, alla perdita di senso e di dignità. La povertà costringe a un’umiltà che non conosciamo più da tempo. Il campanello del vicino che non vogliamo suonare per vergogna, quando una volta era normale dividere quel che si aveva, perché tanto la fortuna, si sa, gira veloce e spesso cambia direzione.
Oggi la persona povera si sente in colpa, e comunque viene vissuta come “colpevole della propria situazione”. Il che contrasta con qualsiasi dato scientifico e sociologico, ma è sufficiente per entrare come pregiudizio nelle teste di chi, ostinatamente, crede di meritarsi un po’ di ricchezza in più, un benessere fragile, ma colorato e divertente.
La povertà è perdita di speranza, di senso, di libertà di scelta. La povertà è la sconfitta di un Paese che ha saputo pure costruire un sistema di welfare vero, importante, pieno di buone leggi, ma con troppa burocrazia e compartimenti stagni.
La povertà, però, si può vincere solo se ci crediamo tutti, e tutti insieme facciamo la nostra parte, senza presunzione, senza arroganza, imparando da chi può indicarci la strada, prendendo le decisioni giuste, investendo adesso i soldi che servono, ma soprattutto creando una nuova comunità di cittadini.
Milano può ancora indicare la strada, come tante volte in passato. Se non vinciamo la sfida della povertà, quale senso potrebbero avere gli altri traguardi, le altre frontiere? Quale significato potrebbe avere una “metropoli delle eccellenze”? O il successo dell’Expo 2015?
Ecco, domani [oggi, N.d.R.] credo che starò ad ascoltare. Non ho la verità a portata di mano. Ma cercherò di capire.
Direttore responsabile di «Superando.it».
Articoli Correlati
- Dopo di noi da creare “durante noi“* L'organizzazione del futuro di una persona con disabilità: quali sono le tutele giuridiche esistenti? In quali ambienti si potrà svolgere la vita di quella persona? E con quali fondi? Un…
- L'integrazione scolastica oggi "Una scuola, tante disabilità: dall'inserimento all'integrazione scolastica degli alunni con disabilità". Questo il titolo dell'approfondita analisi prodotta da Filippo Furioso - docente e giudice onorario del Tribunale dei Minorenni piemontese…
- Una buona cooperazione allo sviluppo fa bene a tutte le persone con disabilità «Se con i progetti di cooperazione internazionale allo sviluppo - scrive Giampiero Griffo, concludendo la sua ampia analisi sulle azioni in questo settore - verrà rafforzata la voce delle persone…