In questi giorni Governo e Conferenza delle Regioni hanno ripreso il confronto sul nuovo Patto per la Salute*. È un segnale positivo, perché bisogna mettere subito in sicurezza il Servizio Sanitario Nazionale, duramente provato da anni di tagli lineari, tagli che hanno compromesso il diritto dei cittadini alla tutela della salute e a cure di qualità, soprattutto in alcune Regioni.
Per questo la prima decisione concreta del Patto sia quella di decidere il riparto del finanziamento di quest’anno: 109,902 miliardi, comprensivi dei 2 miliardi per evitare i nuovi ticket. Da questo livello si dovranno calcolare gli aumenti, certi, degli anni successivi.
La certezza sul finanziamento serve anche per evitare un uso sbagliato, irresponsabile e insostenibile della spending review, da parte di chi vorrebbe fare ancora cassa con i soldi destinati ai diritti delle persone, quando invece bisogna colpire sprechi, in appropriatezza, inefficienza – e lottare contro la corruzione e per una sanità trasparente – anche per ottenere risparmi e liberare risorse, che devono restare nel Servizio Sanitario Nazionale.
Ecco perché il Patto per la Salute va “chiuso” subito, assicurando un finanziamento adeguato.
Ma non basta. Chiediamo al Governo e alle Regioni di “aprire un cantiere sociale” per la riorganizzazione del sistema socio sanitario, grazie alla quale sia possibile garantire il diritto alla Salute, nella sua definizione autentica, sancita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità: «Uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non semplicemente assenza di malattia o infermità, […] la cui realizzazione richiede il contributo di molti altri settori economici e sociali in aggiunta a quello sanitario».
Pensiamo a un cantiere di partecipazione democratica, che coinvolga il sindacato confederale e le grandi associazioni impegnate nella tutela dei diritti sociali nel nostro Paese, per restituire voce e potere ai cittadini e alle loro rappresentanze. Un cantiere sociale che affronti i bisogni imposti dalla situazione epidemiologica e demografica, come le patologie croniche e le non autosufficienze che spesso le accompagnano, mentre crescono bisogni ad alta valenza sociale, come nel campo delle dipendenze e della salute mentale, dove è richiesto un intervento non solo medico, ma anche, e soprattutto, di inclusione sociale e lavorativa.
Bisogna dunque fissare una credibile agenda di priorità:
– prevenzione e promozione della salute, in tutte le età della vita. Agendo sui “determinanti” che fanno salute (o malattia) e che influenzano gli stili di vita: reddito, istruzione, lavoro, ambiente…;
– vera integrazione fra assistenza sociale e sanitaria, che deve diventare il cuore della revisione dei LEA [Livelli Essenziali di Assistenza, N.d.R.] sanitari, e per definire i Livelli Essenziali delle Prestazioni Sociali;
– potenziare i servizi nel territorio (con la riconversione e la riqualificazione della rete ospedaliera e dei ricoveri): assistenza distrettuale, domiciliare, cure primarie, case della salute, servizi di comunità e di iniziativa;
– universalità nell’accesso ai servizi, anche superando un sistema iniquo di compartecipazione, che esclude dalle cure milioni di persone. Perché il diritto alla salute e alle cure non è garantito dal mercato.
Queste priorità sono un’emergenza da affrontare nelle Regioni soffocate dai Piani di Rientro, che devono così cambiare logica, ma sono necessarie in tutte le Regioni, anche in quelle fino ad oggi cosiddette “virtuose”, sapendo che una vera riorganizzazione è possibile solo valorizzando e riconoscendo il lavoro nei servizi alla persona, superando le precarietà e i dumping [in questo contesto e in tale accezione, il termine “dumping” coincide sostanzialmente con una svalutazione del lavoro e delle professioni, N.d.R.] tra settori e professioni.
Vogliamo fare uscire l’Italia dalla grave crisi in cui si trova ormai da troppo tempo e contribuire al risanamento e alla rinascita del nostro Paese, facendo diventare la spesa per il welfare un grande investimento, che assicura diritti di cittadinanza, crea buona occupazione, alimenta lo sviluppo. Per farlo serve un grande impegno collettivo.
Ecco perché la discussione sul Patto per la Salute deve uscire dalla tradizionale “cerchia degli addetti ai lavori”. E aprirsi alla partecipazione democratica.
*Il Patto per la Salute è un accordo finanziario e programmatico tra il Governo e le Regioni, di valenza triennale, in merito alla spesa e alla programmazione del Servizio Sanitario Nazionale, finalizzato a migliorare la qualità dei servizi, a promuovere l’appropriatezza delle prestazioni e a garantire l’unitarietà del sistema.
Il presente testo corrisponde al documento intitolato Patto per la Salute. Concluderlo subito. Per aprire un nuovo cantiere sociale: riorganizzare i servizi, assicurare i diritti universali, inviato sotto forma di “lettera aperta” al ministro della Salute Beatrice Lorenzin, al presidente della Conferenza delle Regioni Vasco Errani e al presidente dell’ANCI (Associazione Nazionale Comuni Italiani) Piero Fassino.
Esso è stato firmato da: Pietro Barbieri (FISH – Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), Giorgio Bignami (Forum Droghe), Stefano Cecconi (SOS Sanità), don Luigi Ciotti (Gruppo Abele), Enzo Costa (Auser), Giovanna Del Giudice (Forum Salute Mentale), Girolamo Digilio (UNASAM – Unione Nazionale delle Associazioni per la Salute Mentale), Maria Grazia Giannichedda (Fondazione Basaglia), Gavino Maciocco (SaluteInternazionale), Tiziano Vecchiato (Fondazione Zancan) e don Armando Zappolini (CNCA – Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza).