«Il riferimento normativo […] è dato dall’articolo 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea che sancisce il divieto di discriminazione fondato “in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l’appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali”. Posso quindi rassicurarla in merito al fatto che la questione segnalata è già all’attenzione del Governo e confermo, inoltre, che non appena l’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni [UNAR, N.d.R.] riceverà riscontro alla nota inviata da parte del Presidente della Regione Veneto, saranno conseguentemente e adeguatamente valutate le eventuali ulteriori azioni da intraprendere».
Si conclude così la risposta di Cécile Kyenge, ministro dell’Integrazione, a un’Interrogazione a risposta scritta rivolta dal senatore Antonio De Poli, basandosi su una serie di argomenti assai confortanti per il nostro giornale, che qualche tempo fa aveva titolato Veneto: quel provvedimento discrimina!, il testo in cui ci occupavamo della questione trattata.
In sostanza, l’Interrogazione citata intendeva «richiamare l’attenzione del Governo sulla Delibera della Giunta Regionale del Veneto n. 1338 del 30 luglio 2013, con la quale la Regione Veneto ha provveduto a riprogrammare le prestazioni in materia di domiciliarità ai sensi della legge n. 30 del 2009, con l’istituzione dell’Impegnativa di Cura Domiciliare (ICD) in luogo dell’assegno di cura per le persone non autosufficienti e degli interventi per l’aiuto personale e per la vita indipendente per le persone con disabilità». In particolare, si chiedeva di sapere «quali atti il Governo, fatta salva l’autonomia regionale, intende porre in essere per eliminare la situazione di discriminazione causata da detta Delibera Regionale, anche attraverso il ricorso all’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali, alla luce della Legge n. 67/2006 recante “Misure per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazione” [grassetti nostri in questa e nelle successive citazioni, N.d.R.]».
“Cuore” del problema, dunque, che era stato denunciato al nostro giornale – e anche all’Ufficio UNAR – da Giampaolo Lavezzo, già consigliere nazionale della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), era quanto scritto nell’allegato A della citata Delibera, ovvero che «a partire dal 1° gennaio 2014, gli interventi assistenziali di aiuto personale (ICDp) di cui all’articolo 9 della legge n. 104/1992, riservati a persone con grave disabilità, saranno erogati a questi ultimi se di età compresa tra i tre e i sessantaquattro anni». E che anche «i contributi destinati alla vita indipendente di tali persone (ICDf) siano erogati solo a persona di età compresa tra i tre e i sessantaquattro anni». Una vera e propria discriminazione, pertanto, basata sui limiti di età.
Nella sua risposta, il Ministro per l’Integrazione cita innanzitutto il parere espresso dall’UNAR «che ha ritenuto i requisiti previsti nella delibera […] discriminatori ai sensi della Legge 67/2006», soffermandosi poi a lungo su quel Parere espresso il il 20 dicembre 2007 dal Consiglio di Stato, con il quale era stata annullata un’altra Delibera prodotta nel 2003 dalla Giunta Regionale del Veneto, dalle medesime caratteristiche. «La Regione Veneto – avevano scritto già allora i Giudici del Consiglio di Stato – non ha dato motivazioni per la fissazione di tali limiti; limiti di questo tipo non sono rintracciabili nella legge n. 104 del 1992; una limitazione del genere non ha una spiegazione razionale; anche i disabili, che hanno superato i sessantaquattro anni, possono essere capaci di autogestire la propria assistenza personale e possono preferire l’assistenza indiretta a quella diretta».
È pertanto sulla base di tutto ciò che l’UNAR, rispondendo positivamente al ricorso di Lavezzo, aveva inviato il 16 dicembre scorso una nota al Presidente della Regione Veneto, nella quale, ritenendo «fondato» il ricorso stesso, aveva chiesto di «illustrare i criteri alla base di quella Delibera».
Crediamo quindi di non sbagliare, ritenendo che vi siano ormai tutte le più solide premesse, perché quella Delibera – oltretutto assai discussa in altre sue parti – possa essere modificata, per lo meno sulla questione legata ai limiti di età. (S.B.)