La Commissione dell’Unione Europea dà due mesi di tempo all’Italia per rimediare a una nuova brutta figura. Infatti, dopo l’infrazione sulle pari opportunità di accesso al mercato del lavoro, tocca ora al tema dell’accessibilità ai mezzi pubblici di trasporto. I viaggiatori con disabilità – a quanto pare, dalle prime notizie di agenzia – non sono in condizione di programmare in sicurezza il proprio viaggio in autobus perché non vi è certezza di ricevere la necessaria assistenza alle fermate.
È presto per comprendere appieno la portata del provvedimento e la profondità dei rilievi formulati dall’Europa, ma è sicuramente abbastanza per gioire di questa Europa, che si sta rivelando finalmente attenta non solo all’emanazione di editti per il contenimento della spesa pubblica, ma anche al monitoraggio dei diritti di cittadinanza di tutti, comprese le persone con disabilità. Era ora.
Un caso clamoroso di inadempienza e di mancato rispetto delle più elementari norme di assistenza al viaggio era scoppiato l’estate scorsa, quando il combattivo Max Ulivieri si era trovato con un palmo di naso, lasciato a piedi (…in carrozzina elettrica) alla fermata di un bus a Piombino, prenotato per tempo proprio per essere certi che fosse provvisto di pedana per la salita, e quindi costretto a prolungare il proprio soggiorno in Toscana, non potendo in altro modo tornare a Bologna.
Vicenda paradossale? Un caso limite? No, almeno stando agli esempi che talvolta rimbalzano dalle cronache locali, come nel caso recente di una ragazza in attesa per ore alla fermata del bus in provincia di Como, e che poi si decide a chiamare i carabinieri per vedere garantito il suo diritto.
Ma c’è pure di peggio. Un giovane paraplegico di origine marocchina che perde la pazienza e blocca l’autista di un bus provvisto di pedana, dal momento che non riesce da ore a raggiungere l’ospedale per la fisioterapia, e si ritrova denunciato (e ora addirittura condannato) per interruzione di pubblico servizio. Questo per fermarsi agli autobus. Non parliamo poi di treni e di metropolitane, o di tram…
La foto che correda questa mia nota non l’ho scattata in Italia. Ero in Francia, a Clermont-Ferrand, di ritorno da Parigi verso l’Italia. In albergo ho scoperto che avrei potuto tranquillamente andare in centro usando il tram. Nuovo, pienamente accessibile, con le banchine allineate al pianale del mezzo, senza neppure bisogno di una pedana come avviene in Italia. E all’interno uno spazio ampio per fermarmi con la mia sedia a rotelle. Ma non uno spazio solo per me. Si tratta infatti di uno spazio destinato alle carrozzine, ma anche ai passeggini dei bimbi, e alle biciclette. È questa idea di inclusione, di pari condizione di viaggio, che è prevista dalle norme europee, e in teoria anche da quelle italiane. La differenza la fanno le pratiche, i comportamenti umani, i regolamenti, le procedure concrete.
Il nostro è un Paese nel quale in ogni campo le norme sono scritte sulla carta. Logicamente chi è più debole soccombe per primo.
Muoversi e viaggiare, per una persona con disabilità, è ancora una scommessa, che richiede organizzazione, volontà di ferro, e persino un pizzico di fortuna. L’Unione Europea sembra non accontentarsi dei diritti “all’italiana”. Bene così.