Da qualche tempo, in internet e nei social network, circolano, suscitando reazioni diverse, le principesse Disney rese “disabili” dall’artista salentino aleXsandro Palombo, allo scopo di sensibilizzare l’opinione pubblica sui temi della disabilità.
Dopo avere avuto una rara forma di cancro, contro la quale è stato necessario intervenire chirurgicamente, lo stesso Palombo è divenuto disabile e proprio la sua nuova condizione gli ha permesso di constatare personalmente le discriminazioni cui sono soggette le persone con disabilità. Da qui l’idea di mostrare che le principesse Disney possono essere belle, anche se sedute su una sedia a rotelle, con arti mancanti, stampelle e protesi.
Queste almeno le intenzioni. Ma piacciono davvero? Lo abbiamo chiesto a Fulvia Reggiani e Annalisa Benedetti, entrambe componenti del Coordinamento del Gruppo Donne UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare), e a Edvige Invernici, da molti anni colonna portante della Sezione di Bergamo di quella stessa Associazione, che nel 2001 aveva ideato la favola illustrata intitolata La nostra Cenerentola, nella quale la protagonista era in sedia a rotelle e invece della scarpetta aveva perso la ruota… (S.L.)
Un immaginario fiabesco più prossimo alla realtà
di Fulvia Reggiani
«Do you still like us?» ovvero «Ti piacciono ancora?». È la domanda provocatoria che ci pone aleXsandro Palombo nel suo disegno delle principesse disabili. Una fotografia di gruppo delle più famose principesse della Disney mutilate da un handicap. C’è Biancaneve in sedia a rotelle, Cenerentola che fa la prova della scarpetta di cristallo infilandola sulla protesi, Ariel che ha un braccio monco e Pocahontas che cammina con le stampelle. «Se la Disney prendesse posizione – dice Palombo – influirebbe sull’immaginario globale dei bambini, ed è attraverso i loro occhi che si cambia il mondo».
Da donna disabile mi trovo perfettamente d’accordo con lui. Quante volte, da bambina, queste principesse hanno abitato i miei sogni a occhi aperti, portandomi verso un immaginario fiabesco molto lontano dalla realtà che avrei vissuto da adulta. Principesse dal fisico perfetto, un po’ sfortunate all’inizio della fiaba, ma che ad attenderle avevano il lieto fine col principe azzurro che le amerà per sempre.
Credo che i bambini, nella loro ingenuità, possano crescere anche con un immaginario fiabesco più prossimo alla realtà. Essi sono plasmabili e accettano come “normale” qualsiasi situazione in cui vengono a contatto nella loro quotidianità. L’importante, per loro, è conoscere e capire. Siamo sempre noi adulti a distorcere la loro visione delle cose.
Quante volte mi è capitato, girando per strada, che un bambino si girasse a guardarmi e venisse per questo sgridato dal genitore. Per il bimbo ero solo una curiosità, una persona in carrozzina, da osservare solo per capire la mia diversità, non per giudicarla. Perciò concordo con Palombo: cominciamo a far conoscere ai bambini, attraverso le fiabe, quanto sia bello il mondo, così com’è, con le sue diversità e, forse, saranno adulti più consapevoli e attenti.
Polly
di Edvige Invernici
Polly era lì per terra con la testa spaccata in due. Sui boccoli e sul vestito d’organza cominciarono a cadere le mie prime lacrime di dodicenne subito asciugate dalla rassicurazione materna: «La portiamo all’ospedale delle bambole, in Via Quarenghi, è qui vicino!».
Le principesse disabili di Palombo, tutte insieme, mi hanno riportato alla mente, ormai settantenne, l’acuta tristezza provata nel vedere gambette e braccini ammucchiati accanto ad altrettante parrucche, cestini colmi di occhi azzurri e marroni in attesa di occupare orbite vuote e la mia Polly accasciata su un lungo scaffale che tracimava di altri giocattoli feriti.
E poi, perché le principesse? In carrozzina, con le stampelle, tutte ad attendere principi aitanti, in perfetta salute su bianchi destrieri?
Una decina d’anni fa – per parlare di disabilità a scolari e studenti – inventai una Cenerentola in carrozzina che, a mezzanotte, perdeva una ruota anziché la classica scarpetta di cristallo. Scolari e studenti ne furono conquistati e per il gruppo di volontari che rivisitò la favola fu un vero spasso, oltre che una bella fatica. Chissà cosa avrebbero provato se fossimo arrivati nelle classi con un “esercito di principesse disabili”? Forse un po’ di tristezza, proprio quel sentimento che vorremmo non fosse mai suscitato dalla vista di una persona con disabilità.
Bastasse un cartone animato…
di Annalisa Benedetti
Non credo che rendere disabili delle icone così “radicate” come le principesse Disney, possa fungere da deterrente dei luoghi comuni per l’immaginario dei più piccoli.
I bambini, prima di tutto, vivono nella realtà, con i propri genitori e con altri adulti. È dall’esempio di questi ultimi che vengono influenzati ed è attraverso le proprie esperienze dirette quotidiane che apprendono e cominciano a formare il loro immaginario.
Bastasse un cartone animato… «Magari!», direbbe qualcuno. «Per fortuna!», direbbe qualcun altro. Dipende sempre dai punti di vista.
Ironia a parte, più che rendere disabili principesse già esistenti – che trovo una provocazione più “adatta a un pubblico adulto” -, ne creerei e ne lancerei a dovere di ex novo. Anche se, come già accaduto, non è così semplice farle decollare. Becky, la bambolina in sedia a rotelle, creata dalla Mattel nel 1997, non ha avuto lo stesso successo della sua amica Barbie.
Altri personaggi concepiti con disabilità, o con diversità, popolano il mondo della fantasia e, come tali, sono conosciuti, hanno la loro storia e vivono le loro avventure. Il pesciolino Nemo, sempre della Disney (2003), ne è un esempio.
La “nona arte” dei fumetti è ricca di protagonisti con disabilità. In Italia abbiamo l’eroina italiana Gea, affetta da fotofobia e acromatopsia, affiancata nelle sue avventure dall’amico paraplegico Leonardo (Sergio Bonelli Editore, 1999-2007). Il colosso americano Marvel, ci propone il paraplegico Charles Xavier detto Professor-X, fondatore e mentore degli X-Men e il non vedente Devil, alter ego di Matthew Murdock.
Tornando a noi, devo dire che l’idea di Palombo me ne solletica un’altra: perché non creare il sequel di una di queste principesse, “adatto ad ogni tipo di pubblico”?