Ho appena sottoscritto un appello internazionale per chiedere a Filippo, re del Belgio, di non firmare la legge, approvata dal Parlamento, che consente il ricorso all’eutanasia infantile.
Forse è tardi, ed è comunque assai difficile che il sovrano belga decida di utilizzare questo strumento estremo per fermare un provvedimento che viene da lontano, sorretto e sospinto persino dal consenso di un’ampia parte della popolazione, stando almeno ai sondaggi. Ma è giusto alzare la voce, ovunque possibile, come hanno fatto ad esempio i medici della SIP (Società Italiana di Pediatria) e gli stessi pediatri di Bruxelles, contro un’aberrazione inaccettabile, che si basa su una serie di pregiudizi e stereotipi dei quali, inutile dirlo, siamo impregnati anche noi, qui in Italia, e non solo.
Prima di tutto la mitologia della sofferenza inaccettabile, tanto più inaccettabile quando riguarda i bambini. In realtà la sofferenza riguarda sicuramente i genitori, mentre un bimbo – per quanto gravemente malato – può certamente soffrire per il dolore fisico, ma è sempre e soltanto un bambino, che percepisce prima di ogni altra cosa l’affetto e il sorriso di chi gli sta accanto. Il dolore fisico si può lenire e annientare con le cure palliative, che finalmente esistono e consentono di eliminare qualsiasi sofferenza inutile e ingiusta.
Anch’io da bambino ho sofferto tantissimo, nei primi anni di vita, per le continue fratture delle ossa fragili, e per il ricorso a ingessature rigide (come si usava allora), mettendo in trazione gli arti su lettini ortopedici che assomigliavano moltissimi a letti di tortura.
Solo un po’ di etere, allora, e tanto, tanto dolore. Ma vedevo il sorriso di mia mamma e di mio papà accanto a me, e sopportavo tutto, perché avevo una voglia smisurata di vivere, e sapevo che non era colpa loro se le mie ossa erano così brutte, storte e rotte.
Certo, si dirà, la mia non era una malattia terminale [Franco Bomprezzi è affetto da osteogenesi imperfetta, N.d.R.], non rischiavo la vita, non ero nelle condizioni previste da una legge – quella belga – che pone molte condizioni cautelative prima della sua applicazione concreta. Ma quelle condizioni sanno di ipocrisia, quando affermano che si può procedere solo in caso di «cosciente comprensione della decisione da parte del bambino che sarà soppresso».
Stiamo scherzando? Quale bambino coscientemente può davvero desiderare di morire? Questa è la premessa a una serie di sotterfugi legali, di dichiarazioni false, con il consenso di genitori di disperati, e di medici che osservano esclusivamente la parte patologica della questione, non essendo tenuti a una valutazione complessiva di carattere bioetico.
Non voglio farne una questione di tipo religioso. Non lo è. O meglio: per chi ha una forte fede religiosa questa legge è sicuramente un obbrobrio e non si capisce come possa un Paese a forte maggioranza cattolica aver così sottovalutato gli aspetti etici della norma. Il problema è semplicemente umano. E siamo alla premessa – già più volte palesatasi, in Olanda e altrove – di una deriva eugenetica difficile da arginare. Una scelta che fa breccia anche perché siamo in tempi di grande crisi economica e le persone “malate” sono un costo, che appare persino inutile quando si ha la convinzione che non ci sia alcuna possibilità di guarigione e di sopravvivenza dignitosa.
Non è così che si difende l’uomo. E in ogni caso: salviamo i bambini, loro sono innocenti.