Chi conosce l’autismo, da vicino e per davvero, ha sconsolatamente avuto conferma – leggendo i vari articoli dei giorni scorsi, riferiti al giovane laureatosi all’Università di Padova – che dell’autismo si sa davvero ben poco!
Questa condizione, infatti, riguarda bambini, giovani e adulti con quadri clinici estremamente variegati. Secondo il recente DSM V, la “bibbia” della psichiatria mondiale [DSM V sta per “Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders”, quinta edizione, N.d.R.], la disabilità cognitiva – termine preferibile a “ritardo mentale” – non è neanche uno dei sintomi necessari per giungere a una diagnosi di autismo.
Esistono quindi molti giovani con autismo che “potrebbero” laurearsi perché hanno quozienti intellettivi nella norma – o superiori -, ma che non ci riescono per via delle caratteristiche tipiche dell’autismo, che sono anche quelle più invalidanti, e cioè enormi difficoltà nella comunicazione e nella vita di relazione.
Questi giovani non hanno bisogno di un computer e di un facilitatore, ma di un ambiente universitario preparato e competente. Talvolta succede che qualcuno si laurei, tra enormi difficoltà, ma anche per lui la vita adulta sarà piena di difficoltà e frustrazioni.
Vivere però in un mondo che dell’autismo conosce solo storie terribili o favole mirabolanti non permette a chi ne è colpito una vita piena e dignitosa. In Italia, queste centinaia di migliaia di persone non riescono a sviluppare le loro potenzialità. Qualsiasi sia il loro “livello intellettivo”.
Chi dunque conosce l’autismo, da vicino e per davvero, leggerà quegli articoli sul giovane laureatosi all’Università di Padova e sospirerà. Poi tornerà al lavoro quotidiano di sempre, che non conosce fama, ma la fatica e le enormi piccole soddisfazioni di chi fa con tenacia il proprio dovere, di genitore, di professionista, di persona con autismo.