Nell’ultima decade dello scorso mese di ottobre, la precedente Giunta Regionale della Sardegna (Decreto n. 32 prodotto il 23 ottobre 2013 dall’Assessorato dell’Igiene e Sanità e dell’Assistenza Sociale) ha costituito l’Osservatorio per definire e approntare iniziative a favore delle persone con disturbi dello spettro autistico.
L’iniziativa – forse nell’intento di accelerare i tempi occorrenti per l’approvazione di una Legge Regionale – ha inspiegabilmente escluso tutte le Associazioni rappresentanti le persone con autismo in Sardegna, una decisione, questa, sorprendente, quanto inaccettabile, divenuta forte preoccupazione e aperta contrarietà, quando successivamente la stessa Giunta Regionale (Delibera n. 54/5 del 30 dicembre 2013) ha adottato le Linee Guida che prevedono un modello di Centro Regionale Sperimentale con i relativi criteri strutturali e organizzativi e un cospicuo finanziamento.
Le Associazioni impegnate in Sardegna a favore delle persone con disturbi dello spettro autistico – pur avendo dato un fattivo contributo alla predisposizione di una Proposta di Legge tuttora giacente nei cassetti del Consiglio Regionale – hanno dunque dovuto apprendere da atti ufficiali già definiti, e tardivamente disponibili, le scelte adottate dalla Regione Sardegna.
In sostanza, la citata Delibera di Giunta 54/5 del 30 dicembre scorso, corredata da due allegati, prevede l’attivazione di un Centro nella conurbazione cagliaritana, collegato funzionalmente al Centro per i Disturbi Pervasivi dello Sviluppo, istituito presso l’Azienda Ospedaliera Brotzu. Esso dovrà avere requisiti e caratteristiche strutturali e organizzative appositamente disciplinati negli allegati e, in via sperimentale, ospiterà quindici soggetti di età ricompresa fra i 18 e i 40 anni.
L’accesso alla nuova struttura, inoltre, avverrà tramite il servizio del PUA (Punto Unico di Accesso) e la gestione sarà affidata – mediante procedura di evidenza pubblica – a privati che dovranno garantire standard e figure professionali anch’esse definite nello specifico allegato.
Dopo i primi anni, infine, la residenzialità diurna, assicurata per cinque giorni alla settimana, verrà completata con la residenzialità permanente per venti ospiti. Stanziamento previsto: oltre 3 milioni e 800.000 euro.
Questi provvedimenti della Giunta Regionale – come accennato – sollevano numerose preoccupazioni ed esplicite richieste di cambiamento sia nel metodo che nel merito e innanzitutto dal punto di vista della programmazione. È difficile, infatti, comprendere i criteri della scelta attuata, sia dal punto di vista dell’età (l’intervento, come detto, è destinato ai soggetti sopra i 18 anni e fino ai 40), sia da quello della dislocazione (l’esigenza di un collegamento con il Centro del Brotzu di Cagliari discrimina gli altri soggetti ed emargina i territori dell’intera Sardegna).
Da una parte, cioè, anziché intraprendere una prima fase di attivazione e di presenza nei territori, mutuando le già diffuse iniziative presenti sia in campo nazionale che in Sardegna, si è scelta la vicinanza a una struttura sanitaria, mentre gli aspetti più immediati sarebbero proprio quelli legati ai servizi per la presa in carico e all’inclusione nel territorio. Dall’altra parte, poi, anziché attivare inizialmente una rete territoriale di servizi con specifiche figure professionali e progressivamente procedere all’erogazione di prestazioni alle persone con autismo in età dell’obbligo scolastico e in età evolutiva (consulenza alle scuole materne e dell’obbligo; orientamento agli educatori e alle famiglie; supporto alla formazione professionale, all’inserimento lavorativo, all’autonomia e alla residenzialità familiare), si è scelto di intraprendere un intervento rivolto a quindici giovani di età superiore ai 18 anni.
Si è dunque in presenza di scelte per molti versi discriminatorie e inaccettabili perché, per dare continuità sperimentale a realizzazioni del tutto innovative, occorrerà organizzare prestazioni e servizi, prima di tutto per i ragazzi e gli adulti, mantenendo la loro permanenza nei rispettivi territori e nelle loro famiglie. Ed esiste il rischio concreto di organizzare un Centro che con il tempo si possa trasformare in un’istituzione del tutto separata, la cui ricaduta, la qualità dei servizi e la validità del modello sfuggano sia agli utenti ospitati che alle associazioni di rappresentanza.
Si tratta inoltre di scelte in aperto contrasto con la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità che riafferma come principio fondamentale la partecipazione attiva e la condivisione responsabile degli utenti alle scelte programmatiche che li riguardano e che presuppongono la costante collaborazione attiva del genitore.
Non servono, pertanto, istituzioni più o meno aperte, ma occorre avviare servizi territoriali partecipati e coinvolgere figure professionali appositamente formate, anche con il rapporto con le famiglie, per l’inclusione sociale. La scelta adottata dalla precedente Giunta Regionale della Sardegna ha invece un’impronta prevalentemente medica e “istituzionalistica”, pur riconoscendone la priorità sociale delle prestazioni esposte anche nelle premesse del Decreto e della Delibera approvati.
Dal canto loro le Associazioni non condividono affatto tali scelte e chiedono con forza un’immediata convocazione per ridiscutere i criteri programmatici, i servizi e la dislocazione delle figure professionali.
E del resto, appare del tutto evidente come oggi sia necessario e urgente assumere l’opzione culturale dei servizi integrati e socio-sanitari con presenza diffusa nel territorio e definire interventi che non discriminino i residenti nelle varie zone della Sardegna.
Presidente della FISH Sardegna (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap).
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