La passione e la professionalità di una donna carismatica

La torinese Silvia Bruno, donna con disabilità che presiede dall’inizio del 2013 il CIP Piemonte (Comitato Italiano Paralimpico) e che collabora anche con il quotidiano «La Stampa», ha saputo unire in un connubio efficace la passione per lo sport e il desiderio di integrazione tra le discipline olimpiche e quelle paralimpiche. La conosciamo meglio, grazie a questo incontro con Dorotea Maria Guida

Silvia Bruno

Silvia Bruno, presidente del CIP Piemonte (Comitato Italiano Paralimpico)

Anche lei è stata una protagonista delle recenti Paralimpiadi Invernali, tenutesi in febbraio a Sochi, in Russia, non come atleta, ma come presidente del CIP Piemonte (Comitato Italiano Paralimpico) e come giornalista della «Stampa». È una donna molto carismatica, Silvia Bruno, torinese d’eccezione, che ha saputo unire in un connubio efficace la passione per lo sport e il desiderio di integrazione tra le discipline olimpiche e quelle paralimpiche.
Nata nel 1975 con una patologia che le rende indispensabile l’utilizzo di una carrozzina a motore, Silvia ha già raggiunto brillanti risultati sia nel giornalismo che nel mondo delle associazioni sportive di persone con limitazioni fisiche.
Come ci racconta lei stessa, dopo avere conseguito il diploma al Liceo Linguistico, ha proseguito gli studi universitari laureandosi in Scienze della Comunicazione, e aggiunge: «Dal 2006 sono giornalista pubblicista. Lavoro al Comune a Torino come coordinatrice del magazine on line dell’Informagiovani e collaboro con “La Stampa” per articoli sullo sport delle persone con disabilità».

Sono molto incuriosita dalla sua esperienza di inviata a Sochi ed è la prima cosa che mi faccio raccontare: «Dopo Torino 2006 – dice -, Sochi è stata la mia quarta Paralimpiade, perché ero già stata a Pechino 2008, Vancouver 2010 e a Londra due anni fa. Sono sempre bellissime esperienze perché spesso, come in Cina e ora in Russia, hai la possibilità di conoscere un po’ meglio popoli e Paesi molto diversi da dove sei abituato a vivere. Per quanto riguarda la parte sportiva, a Sochi ho visto soprattutto le gare di ice sledge hockey (“hockey su slitta”), che raccontavo in articoli per il sito della “Stampa”, ma sono anche andata tre volte su in montagna a vedere lo sci. Sfortunatamente l’Italia non ha vinto nessuna medaglia ma, come per ogni Paralimpiade, è senz’altro valsa la pena andare».

La carriera di Silvia è stata un crescendo di ottime occasioni e la sua professionalità, unita all’amore per lo sport, l’hanno portata ai vertici del CIP Piemonte. Quali sono state le varie tappe per arrivare a questo importante traguardo, le chiedo, e quali i rapporti con Luca Pancalli, presidente del CIP Nazionale? «Avevo già visto qualche partita di basket in carrozzina – racconta -, grazie ad alcuni amici, ma nel 1997 sono diventata Delegata Provinciale di Torino grazie a Paola Magliola di Biella – all’epoca Commissario Regionale del Piemonte – che mi ha trovata per caso, grazie a conoscenti di famiglia. Dopo alcuni anni sono stata eletta Presidente Provinciale per Torino e, nel gennaio del 2013, Presidente Regionale. I rapporti con il CIP nazionale sono ottimi, c’è un continuo dialogo con tutti gli uffici e sono soprattutto utili le riunioni con i miei colleghi Presidenti delle altre Regioni. Luca Pancalli è una persona straordinaria che secondo me potrebbe dare molto all’Italia non solo come dirigente sportivo; è sempre molto impegnato e quindi ci sentiamo poco, ma se ho bisogno di qualunque cosa è assolutamente disponibile».

La carriera della presidente del CIP Piemonte ha seguito di pari passo la sua passione per lo sport, ma è lei stessa a precisare che «in realtà, prima di avvicinarmi al CIP, che allora si chiamava FISD (Federazione Italiana Sport Disabili) non ero una grande appassionata di sport, seguivo solo il calcio, àmbito su cui avevo anche scritto la mia tesi di laurea, incentrata sui giornali delle società di Serie A, a cominciare, da buona juventina, da “Hurrà Juventus”. Poi, ovviamente, appassionandomi allo sport degli atleti con disabilità, ho imparato a conoscere e ad apprezzare un po’ tutte le discipline, anche se continuo ad avere le mie preferite». E, sorridendo, si riserva di dirci quali sono.

Silvia ha la grande fortuna di aiutare nella promozione le diverse Associazioni sportive piemontesi che si occupano di sport senza ostacoli, sicuramente un “fiore all’occhiello” per il Nordovest del nostro Paese. Ma sono al passo queste Associazioni con le altre presenti in Italia? «Assolutamente sì – ci risponde -, possiamo anzi dire che il Piemonte sia stato una delle Regioni-pioniere in Italia per lo sport delle persone con disabilità. Abbiamo infatti Associazioni che operano da trent’anni sul territorio e che continuano ancora oggi nonostante tutte le difficoltà, non solo economiche, di questi anni».

Ma quale sarà – chiediamo – il futuro per lo sport delle persone con disabilità, sia a livello regionale piemontese che nazionale? «Già da alcuni anni – ricorda Bruno – il presidente Pancalli è riuscito in qualcosa che fino a una decina di anni fa sembrava un’utopia: fare cioè entrare lo sport paralimpico in gran parte delle Federazioni CONI, cercando la maggiore integrazione possibile. La strada ormai è tracciata e non si può più tornare indietro. Ora il sogno sarebbe di avere un unico Comitato Olimpico e Paralimpico, ma ci vorrà ancora un po’ di tempo. Da questo punto di vista il Piemonte, come tutte le altre regioni, non può che seguire questa tendenza e direi che già si vedono molti risultati». Una strada possibile potrebbe essere l’investimento dei privati? «E perché no? Negli ultimi anni il CIP, le Federazioni sportive e gli Enti Pubblici hanno sempre meno risorse e credo sia ora che lo sport per persone con disabilità possa sovvenzionarsi anche con sponsor e partner commerciali, come già avviene in molti altri Paesi».

Poniamo un’ultima domanda: in che modo ti ha arricchito il fatto di essere Presidente del CIP Piemonte? «Sono Presidente Regionale da poco più di un anno e mi sembra molto di più, perché è davvero un lavoro quotidiano – anche faticoso – fatto di decisioni, incontri, telefonate, mail… Ma poi, quando vedo ragazzi con disabilità che si divertono facendo uno sport cui non avrebbero mai pensato, mi sento ripagata di tutto».

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