L’ultimo Giovedì Santo il Papa ha celebrato il rito della lavanda dei piedi presso il Centro Santa Maria della Provvidenza di Roma, della Fondazione Don Gnocchi, cioè un’istituzione che da sempre si occupa di disabilità. Un gesto che ha messo al centro dell’attenzione la persona disabile, tant’è che i prescelti per il rito erano dodici ospiti con diversi deficit. Un atto significativo che, riprendendone il senso evangelico, fa della persona di grado superiore il “servo”, ovvero colui che si abbassa per mettersi a disposizione dell’altro, e dell’ospite a cena – il cosiddetto “prossimo” – il privilegiato.
Ecco, riflettendo sull’immagine che ne viene fuori mi è sorta una domanda: ma se le persone con disabilità devono godere degli stessi diritti di tutti, quello di essere sotto i riflettori non è un privilegio? E da qui il più ampio quesito: non è che ci si spaccia “più o meno disabili” a seconda di come conviene?
Tra le opinioni di alcuni protagonisti del blog InVisibili del «Corriere della Sera.it», Alessandro Cannavò, che di quello stesso blog è tra i “padri fondatori”, a proposito della funzione pasquale sostiene di avere visto «il gesto del papa più come una straordinaria occasione mediatica di rendere visibili le “persone invisibili”. Lui lo fa seguendo l’esempio di Cristo». Marco Piazza aggiunge che «qualcuno un giorno disse “gli ultimi saranno i primi” e se noi ci battiamo perché non siano (e non vengano considerati) ultimi, allora dobbiamo aspettarci anche che non diventino più primi».
Il discorso, quindi, si fa complesso. Simone Fanti, ad esempio, fa notare che «la Chiesa perpetua il concetto di disabilità come malattia», ma questa è solo una parte della medaglia. La stessa Chiesa, infatti, sollecita la comunità a rispondere del disagio altrui – vedi la Parabola del Buon Samaritano – e Papa Francesco, con il suo continuo avvicinarsi alle persone disabili e con lo stesso gesto della lavanda dei piedi sta dando esempio del prendersi cura. Sta dando identità.
Torniamo a bomba, però: per farlo, “mette in vetrina”. Ed è lo stesso che lo facesse Obama. O il calciatore Messi. Allora? Allora, interviene Claudio Arrigoni, «credo che il discorso sia che coloro che fanno parte di una categoria “debole” debbano essere messi nella condizione di poter godere degli stessi diritti di tutti e finché questo accade debbono avere accessi e condizioni “particolari”. Non privilegi, solo possibilità concrete per raggiungere le pari opportunità».
La questione, pertanto, sembra risolta: come il parcheggio riservato non è un privilegio, ma una risposta alle problematiche di mobilità, la visibilità di certuni rispetto ad altri è una necessità per raggiungere il fine dell’inclusione.
Resta tuttavia da approfondire un aspetto. A me alle volte è capitato di trovarmi in fila e, senza che chiedessi niente, le persone davanti si sono affrettate a farmi passare. Ho rinunciato o accettato a seconda della mia condizione di salute di quel momento e della disinvoltura delle persone.
Io penso che l’educazione stia anche nell’accettare la cortesia altrui. Altre volte ho accettato degli sconti. Non vedo perché dovrei negare di aver trovato delle persone che sono rimaste così colpite da me da voler compiere un gesto affettuoso. Non c’era biasimo, forse ammirazione.
Simone Fanti dice che «il vizietto di chiedere lo sconto o il biglietto omaggio è tutto italiano, da un certo punto di vista “facciamo casta” anche noi, come i giornalisti che presentano il tesserino per entrare gratis», mentre Simonetta Morelli sostiene che «non è privilegio far passare avanti le persone che vengono dopo; io faccio passare sempre i genitori con i bambini in braccio o alla cassa del supermercato, quando chi è dopo di me ha in mano solo pochi articoli. Se non è un atto pietistico è un atto di cortesia o di semplice buon senso».
Per il direttore responsabile di «Superando.it», Franco Bomprezzi, il criterio è semplice: «Mai usare le persone con disabilità. La persona è il fine e non il mezzo. Troppo spesso la disabilità viene esibita o utilizzata come “risarcimento sociale”, e non come condizione di vita, non da nascondere, ma neppure da sfruttare o esibire. In una parola, occorre buon gusto e buon senso».
Radunando in conclusione le idee, è un dato di fatto che per raggiungere una vera uguaglianza dobbiamo ancora passare, qualche volta, dalle luci della ribalta. Non dobbiamo approfittarne, tuttavia, perché il protagonismo nuoce allo spettacolo.
Testo apparso anche in “InVisibili”, blog del «Corriere della Sera.it» (con il titolo “Protagonisti o profittatori?”). Viene qui ripreso, con alcuni riadattamenti al diverso contenitore, per gentile concessione.
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