Ho letto con grande interesse l’approfondimento di Salvatore Nocera sul libro di Dario Ianes L’evoluzione dell’insegnante di sostegno. Verso una didattica inclusiva, recentemente pubblicato da Erickson, e ho seguito anche il Webinar del professor Ianes di presentazione del libro stesso. Con piacere desidero quindi partecipare ancora una volta alla discussione su un tema che mi sta molto a cuore e per il quale, a suo tempo, sono stata una delle più convinte e assidue sostenitrici dell’istituzione delle cosiddette “cattedre miste” (chiamate anche “degli insegnanti bis-abili”*), tesi che ha avuto anche il suo spazio di presentazione in uno dei seminari del Convegno sull’Integrazione Scolastica di Rimini, nel novembre 2013, oltre ad essere citata nel libro di Ianes.
L’analisi accurata del testo nell’articolo di Nocera mi porta innanzitutto a notare con soddisfazione come, negli ultimi due anni, siano stati fatti grandi passi avanti anche solo sulla possibilità di ripensare a un ruolo, quale quello del docente di sostegno, che vede profonde contraddizioni e difficoltà all’interno del sistema scolastico di oggi.
Se infatti negli articoli di un paio di anni fa, Nocera non prendeva nemmeno in considerazione l’ipotesi di un superamento della figura del docente di sostegno a favore di nuove forme di sostegno agli alunni con disabilità, nell’ottica di una “normale specialità”, e duramente criticò la mia proposta, semplicemente chiamandola «irrealizzabile» e «contraria ai princìpi della Legge 104», oggi leggo nelle sue parole un autentico interesse per questa prospettiva, pur con alcune riserve, ciò che senz’altro dipende da un dibattito più ampio, prolungato nel tempo, e probabilmente da un’autorevolezza degli interlocutori, quali la Fondazione Agnelli e il Centro Studi Erickson, che sicuramente hanno maggior rigore scientifico e maggiore organicità di elaborazione di proposte rispetto a chi scrive, semplice insegnante di sostegno di scuola superiore con ormai alcuni anni di esperienza diretta sul campo.
Desidero tuttavia esprimere ancora una volta la mia opinione su questo dibattito, puntando l’attenzione su pochissimi, ma significativi aspetti della questione, che ritengo cruciali perché la proposta di Dario Ianes possa trovare adeguato spazio di sperimentazione a livello nazionale e non solo locale.
Secondo l’“idea di scuola” che sta alla base dell’eliminazione del docente di sostegno, la proposta di Ianes è senza dubbio più rivoluzionaria, stimolante e formativa per il corpo docenti di quanto lo sia la proposta di “cattedra mista”; sicuramente è agli antipodi di chi invece pensa all’istituzione di una classe di concorso di sostegno e a una separazione delle professionalità. Confesso che da questa prospettiva la proposta di Ianes mi piace, molto più della “mia” di “insegnanti bis-abili”, perché, a quel punto, gli insegnanti di sostegno proprio non esisterebbero e in ogni classe verrebbero potenziate le compresenze reali, tra docenti della stessa disciplina.
Nella realizzazione ideale di questo progetto, come dice Nocera, tutto il corpo docente dovrebbe farsi carico dell’inclusione e non ci sarebbe più delega al docente di sostegno, semplicemente perché non ci sarebbe più un docente di sostegno a cui delegare.
Nonostante però il fascino indubbio di questa nuova idea di scuola, la concretezza di docente di scuola superiore mi spinge a notare alcuni elementi, non secondari.
Innanzitutto, quando si dice che l’80% dei docenti oggi di sostegno dovrebbe tornare a fare il curricolare e il 20% rimanere a fare l’“esperto” di sostegno per consulenze esterne, non si tiene conto della situazione attuale dei docenti di sostegno nella scuola secondaria.
L’idea è molto bella, ma se raccogliessimo i dati di quanti docenti di sostegno oggi – di ruolo e non di ruolo – esercitano nella scuola secondaria (e in particolare in quella superiore), ci renderemmo conto che il sistema esploderebbe. I docenti specializzati, infatti, prima di aver conseguito la specializzazione, sono abilitati in una classe di concorso o disciplina di riferimento, per la quale, secondo questa proposta, dovrebbero tornare in cattedra. Se però alla scuola di infanzia ed elementare il “riassorbimento” sarebbe facile e immediato, perché non esistono classi di concorso, per “riassorbire” su posti curricolari i docenti di sostegno della scuola media e superiore bisognerebbe avere dati molto precisi sulle competenze disciplinari di questi docenti… Sono state fatte delle statistiche sulle abilitazioni curricolari dei docenti di sostegno? Queste, infatti, sarebbero molto utili per avere una panoramica del profilo professionale curricolare di questi docenti.
L’esperienza mi porta ad ipotizzare – ed è un’ipotesi molto realistica – che buona parte dei docenti di sostegno oggi in servizio non avrebbe la possibilità di essere riassorbita in organico curricolare, semplicemente perché appartenente ad una classe di concorso per cui non vi sono posti o necessità. D’altra parte (ed è una delle critiche più frequenti ai docenti di sostegno, con a volte un fondo di verità), molti docenti di sostegno sono diventati tali proprio perché non vi era spazio nella disciplina curricolare e quindi non si capisce come si potrebbero riassorbire ora…
Lungi da me una critica in tal senso, perché credo che ogni docente abbia la possibilità di spendere i propri titoli per trovare una prospettiva di lavoro (che non è, come alcuni intendono, una “missione” solo perché si lavora con alunni disabili…), ma è purtroppo vero che il sostegno per anni è stato visto come prospettiva di stabilizzazione per docenti di discipline che altrimenti non avrebbero mai avuto possibilità di ingresso nella scuola.
Credo quindi che la proposta di Ianes, nell’immediato, vedrebbe per la scuola media e superiore questo grande problema: i docenti di sostegno appartengono per lo più a discipline con poco spazio nella didattica curricolare, quindi difficilmente riassorbibili. Quando poi ho provato, durante il Webinar on line, a chiedere al professor Ianes come intendesse affrontare questa questione, la risposta non mi ha soddisfatto, perché ho colto da questo punto di vista una mancanza di dati concreti e di prospettive reali di riassorbimento, nonché un’ottica prevalentemente orientata a scienze della formazione primaria.
Il problema, però, esiste, ed è il motivo per cui in questo senso l’istituzione della “cattedra mista” è più ragionevole e realizzabile: in questo modo, infatti, i docenti che appartengono a classi di concorso per cui c’è reale necessità nella scuola potrebbero fin da subito operare in entrambe le professionalità, mentre i docenti per cui, ad oggi, non è possibile un riassorbimento, avrebbero una condizione più simile a quella attuale. Nella prospettiva di lungo periodo, poi, occorrerebbe prevedere una specializzazione per i docenti di discipline necessarie nella scuola e fare la scelta – certo dolorosa per alcuni, ma necessaria – di chiudere le porte della scuola a una categoria di docenti di discipline per le quali non c’è più posto.
In secondo luogo, quando si parla di compresenza di due docenti curricolari nella stessa classe, che lavorerebbero per tutte le individualità della classe medesima, bisognerebbe ben capire come articolare concretamente questa soluzione. In tal senso, riprendo ancora una volta la proposta di “cattedra mista”, perché ritengo che già in questa ipotesi il desiderio di Ianes di compresenza di due docenti possa realizzarsi, e secondo me in modo più efficace.
Il punto di partenza della mia riflessione era questo: se il “docente di materia” della classe A è contemporaneamente “docente di sostegno” della classe B, il collega di materia della classe B sentirà l’altro collega più vicino a sé, perché esercita anche sulla disciplina nella classe a fianco, e sarà maggiormente incentivato a programmare con lui, a condividere materiali, buone pratiche, a sperimentare insieme… Quindi, se due docenti della stessa disciplina lavorano insieme in una classe, andrà molto meglio rispetto a una suddivisione forzata dei compiti per cui uno si occupa “della classe” e l’altro solo “dell’alunno”. In questo senso condivido la proposta di Ianes.
Se invece l’idea di base è quella di avere una compresenza per cui non sono più chiari i ruoli (cioè due docenti, ma senza una chiara esplicitazione dei ruoli di curricolare e di sostegno alla classe), allora sono più critica: non tanto per l’idea, ancora una volta meravigliosa e rivoluzionaria in linea di principio, ma perché si scontra con una mentalità e una pratica radicata nei docenti di scuola superiore.
Ha ragione Nocera quando dice che il problema cruciale è la formazione dei docenti di scuola superiore, ma mi spingo ancora più in là; Nocera ne parla a proposito della formazione sulla disabilità, io ritengo che la vera mancanza di formazione riguardi, più in generale, la cultura della compresenza, per cui la mancanza di formazione sulla disabilità e sui Bisogni Educativi Speciali (BES) è solo uno degli elementi in gioco, e neppure il più importante.
Nella mia ipotesi – ancora una volta molto realistica e basata su esperienze concrete -, se ci fossero due docenti di italiano per classe (o di matematica, o di inglese…), grandissimi sarebbero i problemi di collaborazione. Chi dovrebbe scegliere il programma? Chi dovrebbe progettare le verifiche? E valutare? E organizzare attività di gruppo? “Di chi sarebbe la classe”? Capisco la domanda provocatoria e Ianes probabilmente mi risponderebbe: «Dovrebbero fare queste cose insieme…». Bella idea, ma i docenti di scuola media e superiore oggi hanno una modalità di gestione della classe per lo più individuale e se ne sentono responsabili in prima persona, vogliono scegliere cosa fare, quando farlo, come farlo, come valutare… Questo è anche uno dei motivi per cui spesso il docente di sostegno è marginalizzato. Se il curricolare delega l’alunno al docente di sostegno, è perché “si vuole occupare della classe” e buona parte dei docenti curricolari o non desidera o non è adeguatamente formata a condividere con gli altri.
Anche in questo senso, quindi, mi pare che la proposta di Ianes parta da un’ottica prevalentemente di scuola primaria, ove le maestre non hanno “specializzazioni” disciplinari e sono ben più abituate alla collaborazione di quanto lo siano i docenti di scuola secondaria, per ragioni anche previste dal Contratto di Lavoro.
Se l’idea di Ianes è quindi stimolante, penso che sarebbe fortemente disorientante e che nella scuola secondaria un’applicazione così concepita genererebbe molti conflitti tra i docenti. Ecco che, invece, l’idea di “cattedra mista” è anche in questo caso meno rivoluzionaria, ma più rispettosa dell’esistente e dei tempi necessari a un cambiamento di mentalità e alla graduale istituzione di percorsi di formazione alla cultura della compresenza per i docenti. Se infatti i docenti esercitassero su “cattedra mista”, avrebbero in prima persona i benefìci di una professionalità doppia, e quindi più stimolante, nonché occasioni di confronto reciproco, ma manterrebbero almeno in un primo tempo un “ruolo” all’interno di una classe, che ormai la scuola conosce da quarant’anni e che a mio parere non può essere abolito su scala nazionale in questo modo.
In altre parole, credo che il docente debba abituarsi all’idea di condividere con un collega una progettazione, senza però perdere il proprio ruolo di gestione dell’attività didattica, perché questo elemento è uno dei più stimolanti per chi insegna nella scuola secondaria. Bisogna insegnare a condividere, con gradualità, non imporlo, perché altrimenti potrebbe avvenire quanto ipotizza Nocera, cioè che la delega venga tolta de iure ma non de facto e che il collega “debole” – perché più giovane, o precario, o con una personalità meno forte – subisca in modo più ipocrita le scelte dell’altro docente.
L’ultima questione su cui desidero infine aprire una riflessione, seppur non direttamente legata alla proposta di Ianes, ma di cui bisogna necessariamente tener conto in vista di qualsiasi possibile cambiamento, riguarda il cosiddetto “Decreto Carrozza” del 2013, che ha previsto l’istituzione dell’area unica dei docenti di scuola superiore e l’immissione in ruolo in tre anni di circa 26.000 docenti per il sostegno.
Ho già avuto modo di esprimere in più occasioni la mia forte contrarietà all’area unica per i docenti di sostegno, perché a mio parere contraria a ogni principio di ragionevolezza e buon senso rispetto alla tutela della professionalità del docente; ora si stanno verificando i primi problemi e contenziosi riguardo a questioni spinose, quali la mobilità dei docenti, o la ripartizione dei posti a livello nazionale, o ancora le immissioni in ruolo… I conflitti testimoniano dunque che qualsiasi cambiamento, anche quelli apparentemente “a favore” di una categoria, generano aspettative nella vita di tante persone ed è impossibile tutelare tutti.
Allora, quale valore deve spingerci nella tutela di qualcosa? I posti di lavoro o la qualità del servizio nella scuola?
Si prevedono nei prossimi anni migliaia di stabilizzazioni di docenti per il sostegno. Posto che il valore della stabilità del posto di lavoro è indiscutibile e che la precarietà nel mondo dei docenti di sostegno è elevatissima e sono necessarie misure di intervento, mi sento di essere molto critica sulle scelte fatte: ora avremo migliaia di assunzioni, ma rimando al primo punto della mia analisi: quali docenti assumeremo? Specializzati, certo, ma di quali discipline? Non rischiamo di assumere migliaia di docenti in un ruolo per cui qui si discute della sua abolizione? Sembra un paradosso, eppure il rischio concreto di assumere docenti che poi non potranno essere utilizzati in altro modo, è un rischio che il Ministero dovrebbe ben tenere in considerazione. Forse prima è meglio decidere quale strada prendere, attuare le necessarie sperimentazioni, poi assumere i docenti, sulla base non tanto delle necessità dei singoli alunni (come oggi, attraverso le certificazioni), ma su quelle dell’efficienza della scuola nel suo complesso e di un’idea nuova di sostegno alla didattica.
*Secondo la cosiddetta tesi “dei docenti bis-abili”, si dovrebbe rafforzare la funzione docente degli insegnanti specializzati i quali dovrebbero quindi avere la cattedra sdoppiata in una parte di docenza curricolare nella propria disciplina per tutta la classe e in una parte per il sostegno in quella stessa disciplina con gli alunni con disabilità, ma anche con DSA (disturbi specifici di apprendimento), con svantaggio socioculturale e con gli stranieri.