Ho avuto l’opportunità di leggere il dibattito insorto in questi giorni intorno al tema della pittura tradotta in bassorilievo e dedicata alle persone non vedenti e ipovedenti, per un’opportuna esplorazione tattile dei capolavori dell’arte visiva, dibattito scaturito da un articolo pubblicato su queste pagine dall’avvocato Giulio Nardone, presidente dell’ADV (Associazione Disabili Visivi). Quel testo ha suscitato reazioni e, invitata a esprimermi, ho ritenuto corretto scrivere a questo giornale per il dovere che ho di contribuire a tale dibattito.
Da tanti anni mi occupo di educazione estetica dedicata alle persone non vedenti, congenite e acquisite, e ipovedenti, con particolare attenzione alle ricadute cognitive e conoscitive della pedagogia e didattica speciale delle arti in presenza di deficit visivo.
Credo che il rischio di confronti solo verbali sia quello di non avvalersi della prova pratica decisiva, dettata dall’esperienza diretta, unica via per verificare la qualità di un’educazione sensoriale volta al rafforzamento dei processi cognitivi e al raggiungimento dell’emozione estetica. Porre sullo stesso piano contenuti di metodo e teoretici e problemi politici ed economici, forse non aiuta a tenere doverosamente distinti ruoli e funzioni della ricerca, anche in rapporto ai finanziamenti di cui la ricerca stessa necessita. Ogni valida ricerca, infatti, dopo un canonico periodo di sperimentazione, si trasforma in prassi collaudata, comunque perfettibile, e in operatività severamente documentata nei suoi risultati. In altro modo si corre il rischio di assistere a operazioni poco scientifiche che determinano spreco di risorse ed energie umane. Le buone prassi non devono costare molto, devono essere accessibili a tutti, ma è altrettanto vero che le ricerche applicate e tutte le realizzazioni pratiche, anche didattiche, di qualità, hanno un costo minimo sotto il quale si rischia di invalidarle, estinguendole. Creare le condizioni per sviluppare una coscienza dell’accessibilità sostenibile implica dunque l’essere rigorosi e selettivi, non settari, in materia di progettazione, realizzazione e applicazione educativa dei sussidi tiflodidattici.
Dobbiamo considerare quanto sia importante l’impulso dato in questi ultimi quindici anni alle politiche sociali e alla didattica inclusiva in materia di educazione estetica in presenza di cecità e ipovisione. Grazie a questa sensibilizzazione, infatti, hanno avuto origine corrette progettazioni e realizzazioni di materiale tiflodidattico nelle sezioni didattiche museali, e di riflesso sono nate preziose opportunità di fruizione del patrimonio artistico, prima assenti. Parimenti, sono anche emerse iniziative carenti di fondamento scientifico, segnate dalla sopravvalutazione delle alte tecnologie applicate alla pedagogia delle arti, e talvolta compromesse da ingenue, seppur generose, improvvisazioni.
Tutto ciò può avere generato scetticismo e pregiudizio intorno al tema dell’educazione estetica dedicata alle persone non vedenti e ipovedenti e ancor più intorno all’accessibilità della pittura. Tuttavia, se generiamo confusione tra metodi esistenti in materia di traduzione e fruizione della pittura tattile, si rischia di screditare, anche involontariamente, chi da tanti anni lavora con seri obiettivi, essenzialità e onestà, grazie a studi pionieristici che hanno ricevuto riconoscimenti ufficiali nazionali e internazionali e sono nati con fondamento scientifico, in condizioni insospettabili e totalmente estranee a interessi economici sovradimensionati o preponderanti rispetto alle precise finalità dettate dalle didattiche integrative e inclusive.
Chi lavora costantemente nel mondo della pedagogia speciale delle arti, applicata al mondo della cecità, in rapporto alla museologia e museografia, sa che rendere tattilmente accessibile la pittura significa lavorare sulla condivisione dei modelli di rappresentazione della realtà e delle idee sottese ai sistemi di rappresentazione del reale e dell’immaginario entro il mondo delle immagini dotate di valore estetico e contenuto metaforico. Interrogarsi sulle potenzialità e sui limiti di questa operatività è un dovere morale di ogni ricercatore, insegnante ed educatore. Quando si è innovativi si corrono rischi, ma la storia dell’educazione è colma di rischi ponderati, presi con responsabilità, rivelatisi poi risorse preziose per la cultura umana in presenza e in assenza di deficit sensoriale. Per questo ogni ricerca applicata deve essere concretamente documentata e valutata per gli esiti ottenuti, coerentemente agli obiettivi dati e raggiunti. Per giudicare una ricerca applicata serve conoscerla nei suoi fondamenti teorico-pratici e nei suoi effetti, verificati e verificabili.
Dal punto di vista del ruolo che ricopro, ovvero quello di curatrice del Museo di Pittura Antica e Moderna Anteros dell’Istituto dei Ciechi Francesco Cavazza di Bologna, ritengo sia prudente confrontarsi sempre e solo su un terreno scientifico e di riflesso elaborare linee guida, anche deontologiche, per impedire strumentalizzazioni della comunità dei non vedenti, parimenti a ostruzionismi.
Sottolineo che su temi tanto complessi e delicati quali la psicologia della percezione associata all’educazione estetica e quindi alla pedagogia speciale delle arti, funzionale a sviluppare nelle persone con minorazione visiva anche autonomie psicomotorie dimostrabili, è indispensabile acquisire conoscenza nell’ambito delle arti applicate, delle scienze motorie, e della tiflologia, allo scopo di capire l’utilità della conoscenza delle immagini tattili dotate di valore estetico. L’accesso alla pittura tattile permette infatti di maturare più competenze nella vita delle persone con deficit visivo, e favorisce la condivisione di modelli di rappresentazione delle categorie spazio/temporali: tra reale e trasfigurazione del reale si attua l’estensione di significato dei linguaggi dell’arte e di riflesso lo sviluppo delle facoltà immaginative e associative della mente. Deriva così quella plasticità del pensiero volta a contrastare il verbalismo, a partire dalle competenze cognitive maturate anche con la pratica sensoriale, intellettuale e fattiva delle arti.
Per comprendere le funzioni cognitive dell’esperienza tattile vissuta correttamente su materiali puntualmente progettati, testati, e collaudati, serve saper distinguere tra buone e cattive traduzioni della pittura, tra efficaci e non efficaci applicazioni didattiche, tra conoscenze squisitamente teoriche e conoscenze teorico-pratiche, forti dell’esperienza e delle competenze maturate nell’insegnamento delle arti figurative alle persone non vedenti. Di riflesso è indispensabile verificare sul campo le risposte percettive, cognitive e interpretative, date dalle persone con deficit visivo che da anni intraprendono percorsi di educazione estetica, traendone vantaggio negli apprendimenti.
In quindici anni di operatività presso il Museo Tattile Anteros, abbiamo accolto centinaia di persone non vedenti e ipovedenti e intrapreso percorsi educativi pluriennali con decine di persone non vedenti e ipovedenti di ogni età. Nell’accompagnarle alla maturazione delle competenze cognitive ed espressive, abbiamo potuto notare evidenti miglioramenti delle loro facoltà cognitive, immaginative, delle competenze espressive ed emozionali.
Ringrazio dunque tutti coloro che sono intervenuti nel dibattito, e colgo l’occasione per invitare chiunque abbia fatto esperienze significative nel campo dell’apprendimento delle arti figurative, attraverso la percezione della pittura tattile, a testimoniare pubblicamente come questa esperienza abbia migliorato i processi cognitivi e immaginativi della mente. Solo dialogando concretamente si può rispondere con rispetto e utilità divulgativa a tutti coloro che possono legittimamente nutrire dubbi in merito all’utilità di un metodo volto a rendere leggibile e conoscibile la pittura, anche in presenza di cecità.
Desidero per questo ringraziare l’avvocato Nardone, per avere aperto il dialogo su queste tematiche e per avere chiarito che il suo articolo non intendeva giudicare sommariamente chi si occupa con fondamento tecnico e pedagogico di traduzione della pittura in presenza di disabilità visiva, piuttosto chi se ne occupa senza competenze specifiche e coerente professionalità.
Ricordo infine a tutti coloro che si occupano di accessibilità applicata alla fruizione dei beni culturali, quanto sia importante riferirsi a chi ha maturato esperienza e competenza sul campo dell’educazione estetica in presenza di deficit visivo, preoccupandosi di declinare correttamente la didattica dell’arte in considerazione delle esigenze cognitive ed espressive specifiche delle persone non vedenti congenite, acquisite e ipovedenti. E ricordo ancora che entro uno spazio espositivo serve collocare il sussidio, ma anche garantire formazione alle guide, per favorire un servizio didattico adeguato a fare buon uso della riproduzione tattile, poiché i livelli dell’autonomia sono differenti e possono evolversi, e diverse, ma precise, possono essere le modalità e finalità conoscitive della fruizione dell’arte.
Va inoltre considerato che, come in ogni àmbito di studi e ricerca, anche quello relativo alla pedagogia speciale delle arti è un campo che si avvale di una letteratura scientifica di riferimento, riconosciuta, afferente alle materie dell’estetica dei valori ottici e tattili, della fenomenologia della visione, della psicologia della percezione e pedagogia dell’arte, della tiflologia e della metodologia didattica: tutte discipline, queste, volte a supportare seriamente chiunque si approcci con professionalità tali argomenti.
La responsabilità che ci si assume nel mediare contenuti filosofici e culturali – attraverso la strutturazione del pensiero concreto, astratto e simbolico, testimoniato anche nelle arti visive; l’uso del tatto vicariante la vista e la funzione compensativa e colmativa della parola, intesa come equivalente estetico della forma – è grande, e richiede consapevolezza e senso della realtà. I modi stessi della comunicazione determinano la qualità degli apprendimenti, la riuscita o il fallimento di un intervento didattico e di riflesso la possibilità o meno che un apprendimento specifico si converta in una competenza più ampia, le cui ricadute cognitive ed emozionali comportano comunque un lavoro interiore, un processo di educazione permanente, talvolta di rieducazione, un percorso anche introspettivo. Non esiste apprendimento che non coinvolga la coscienza e la consapevolezza del sé corporeo, mentale ed emozionale, e non esiste affrancamento dal rischio di cecità psicologica e rigidità del pensiero, se non privilegiamo l’autenticità degli apprendimenti, curandone più la qualità della quantità. Ciò vale per il mondo delle persone minorate della vita, ma vale altrettanto per le persone normovedenti, consapevoli del bisogno di sviluppare una profondità dello sguardo a partire da un’attenzione al sentire.