«La discriminazione pesa, il pregiudizio pesa, l’esclusione pesa»: è stato questo il messaggio diffuso nel marzo scorso in TV e in radio, dall’attrice Lella Costa, in corrispondenza del lancio della campagna denominata Persone, non pesi, voluta dalla FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), per sensibilizzare tutti i cittadini sulle discriminazioni vissute ancor oggi da troppe persone con disabilità. Uno spot forte, quello con la voce di Lella Costa, nel quale il messaggio stesso è stato attentamente “pesato”: “il peso schiaccia le persone con disabilità”.
Dal punto di vista degli obiettivi, la raccolti fondi avviata nella settimana della campagna era mirata ad avviare un progetto – chiamato anch’esso Persone, non pesi – rivolto direttamente alle persone con disabilità e alle loro famiglie, per garantir loro informazioni e strumenti di consapevolezza sempre più raffinati e personalizzati, contribuendo a garantirne i diritti, ad esempio anche attraverso un call centre. Molto spesso, infatti, le famiglie non conoscono a fondo le normative in materia di disabilità, sentendosi emarginate e sole, incapaci di poter vivere o far vivere la vita pienamente. Dall’altro lato, tuttavia, manca spesso il servizio di consulenza specifico nei vari sportelli informativi, costringendo così le persone a “girare a vuoto” da un ufficio all’altro, a far code alla ricerca di qualche indicazione e aiuto.
Grazie alla campagna del marzo scorso, dunque, la FISH ha cercato di avviare questo sportello virtuale di incontro, di ascolto e assistenza, offrendo informazioni e servizi per le esigenze specifiche delle persone con disabilità.
Al centro dei vari messaggi lanciati, come detto, vi è stato lo spot con la voce di Lella Costa. Ma non solo, vi erano anche, infatti, alcune particolari realizzazioni fotografiche che hanno trovato ampia diffusione e apprezzamento.
Alla prima di esse, ambientata in un ufficio, dà il volto Simona, donna paraplegica dal 2005 in seguito a una caduta in moto, sposata e mamma di due splendidi bambini. «Dal 2008 – dichiara presentandosi – lavoro in qualità di collaboratrice amministrativa presso il Comune di Milano. Sono convinta che qualsiasi iniziativa di qualunque natura a favore dei disabili sia utile, anzi indispensabile. Per noi, infatti, tutto è più difficile e complicato, anche solo andare a comprare un pacchetto di sigarette, figuriamoci districarci nella burocrazia! E anche a livello umano trovare un posto nella società non è certo semplice: infatti, mancando in generale il rispetto per il prossimo, come possiamo aspettarci rispetto per i disabili? Personalmente sogno un mondo in cui ci si rispetti veramente, dove ci sia meno egoismo e spero almeno di riuscire a trasmettere questi valori ai miei figli». «Sotto questa luce – conclude Simona – è ovvio che presto tutta me stessa più che volentieri a iniziative come quella promossa dalla FISH. Anzi, sono cose che fanno bene al mio ego e al mio spirito!».
È invece Filippo ad apparire nell’immagine al centro di un’aula scolastica e abbiamo avuto modo di parlarne con la mamma Fiorella, che rispetto alla campagna della FISH afferma:«Fin dagli esordi, quando era ancora allo stadio embrionale, questa idea mi ha entusiasmato. Il progetto ci era stato spiegato a voce, tanto nei contenuti quanto nella sua forma finale, ma nonostante ciò, vedere il risultato finale, mi ha turbato. Lo sguardo vacuo nella foto scelta di Filippo che lo ritrae diagonalmente, mentre tutto intorno vive di colore e movimento, accentua la sua solitudine e distanza dal mondo circostante. Un “imperatore romano” in una classe del 2014 è fuori luogo! In ogni caso, dopo una prima iniziale resistenza, ho pensato che per avermi turbato così, questa compagna fosse veramente forte, di impatto visivo ed emotivo, e non solo perché Filippo è mio figlio, ma perché calamita lo sguardo di chi la incontra, alla ricerca del significato. A quanto ne so, solo poche persone l’hanno trovata poco elegante e molto didascalica».
Che sensazioni ha provato Filippo, nel partecipare al progetto?
«Gli scatti sono stati fatti esattamente un anno fa. Filippo era stato preparato e la classe ha partecipato all’unanimità, con entusiasmo sia da parte dei bambini che dei genitori.
Quando ci è arrivato l’invito a partecipare, l’ho proposta alla scuola, oltre che per il suo scopo civico, perché la classe (all’epoca una prima primaria) potesse fin da subito confrontarsi con il tema della diversità e scegliere di affrontarlo. Per molti l’handicap è ancora un tabù, un tema di cui non è bello parlare, forse perché non si sa bene come affrontarlo. Infatti, la proposta non è stata accolta subito favorevolmente. Ma io ritengo che anche grazie a questo intervento, il clima oggi sia più inclusivo».
Ci racconta qualcosa in più di Filippo, per capire ancor meglio le motivazioni che vi hanno spinto a partecipare a questa campagna?
«Filippo ha 8 anni, è affetto da sindrome di Prader-Willi* e frequenta la seconda classe della Scuola Primaria di Via Mattei a Milano. È un bimbo astuto, solare, ama la compagnia, le risate e certamente mangiare. La sua sindrome, infatti, è caratterizzata da un’inarrestabile iperfagia, ovvero da una spinta ad alimentarsi in modo del tutto incontrollato, che richiama tratti aggressivi del suo carattere a causa dei continui “no” che è costretto a subire. A volte si ribella e la sua frustrazione la rivolge verso le persone che gli sono intorno, facendo sentir loro tutto il suo malessere. Gioca con Ciccio Bello e prepara per lui pranzi luculliani; costruisce puzzle complessi, restando sveglio per molte ore nella notte.
È chiaro che un personaggio come lui non ha molto appeal nei confronti dei coetanei, in un’età in cui la “carognite” si impossessa dei bambini. Siamo quindi più noi genitori che dobbiamo trovare punti di contatto, interessi comuni, formulare inviti, condividere esperienze».
Qual è il suo punto di vista sull’inclusione scolastica degli alunni con disabilità, sia nello specifico della scuola di Filippo, sia più in generale, anche alla luce delle tante problematiche che tuttora sussistono?
«La vera inclusione nel senso più stretto del termine è una strada percorribile, ma che non deve essere delegata solo alla scuola, chiusa tra le mura e magari pretesa. È un processo che deve accompagnare la persona in ogni àmbito della vita, in famiglia, per la strada, in un parco, al supermercato, a scuola, nella società. Chiaramente la scuola è il luogo in cui la persona permane per molte ore, respirando l’aria pregna di saperi, fatti, agiti, pensieri e modi di fare.
La scuola di Filippo, pur dichiarandosi accogliente, è “immatura”, tiene cioè l’handicap nascosto, nel senso che non progetta. Quest’anno, ad esempio, per fare ottenere a mio figlio le ore di sostegno necessarie, abbiamo dovuto ricorrere al Tribunale, unendoci ad altre famiglie in un ricorso collettivo antidiscriminatorio. Inutile dire che la causa è stata vinta, ma che a seguito di lungaggini burocratiche, i primi esiti si sono avuti solo in marzo, con il risultato che per favorire Filippo, si dovrebbero sottrarre ore e risorse ad altri bambini, perché l’ex Provveditorato non garantisce risorse aggiuntive. Al momento nulla è ancora cambiato e si spera per l’inizio del prossimo anno.
Io stessa sono un’insegnante di sostegno e conosco bene le procedure di assegnazione e di suddivisione delle risorse. Abbiamo già patito in questi ultimi anni, ma riesco a intravvedere pericoli futuri che si nascondono dietro a scelte operate politicamente. Personalmente ritengo che l’ICF [la Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute, definita nel 2001 dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, N.d.R.] sia il futuro per l’inclusione scolastica e non solo; non sono certa, però, che tale logica possa salvaguardare il futuro di molti docenti di sostegno. Se tuttavia l’obiettivo è quello dell’inclusione, allora a quel punto tutti saranno formati e quindi non dovremmo preoccuparci.
Ci sono voluti solo trent’anni per raggiungere il nostro livello di inclusione e la legislazione è rimasta la medesima, con qualche aggiunta. Mi auguro dunque che la velocità di risposta della nuova scuola sia adeguata ai nuovi bisogni».
*La sindrome di Prader-Willi è una complessa patologia di origine genetica, caratterizzata da alterazioni del comportamento e da disturbi di vario tipo.
Ringraziamo Giovanni Merlo per la collaborazione.
Per approfondire i contenuti della Campagna FISH Persone, non pesi, accedere al sito specificamente dedicato.