Il volto di tutti gli esclusi

«Chi visiterà quella mostra - scrive Giampiero Griffo, parlando dell’esposizione di Bologna dedicata agli “Esclusi” di Gino Covili, che ritrasse numerose persone con malattie mentali - rafforzerà la propria consapevolezza sul fatto che la vera riabilitazione e abilitazione è quella di avere un ruolo nella società, di costruirsi un percorso di vita rispettoso dei diritti umani e di partecipare, in tutte le forme scelte e possibili, alla vita di comunità»
Gino Covili, Escluso, 1973/77, tecnica mista su cartone, cm 70x50 (particolare) (© COVILIARTE)
Gino Covili, Escluso, 1973/77, tecnica mista su cartone, cm 70×50 (particolare). Questo ritratto è anche quello scelto per il manifesto della mostra di Bologna (© COVILIARTE)

C’è un appuntamento culturale molto interessante, a Bologna, dedicato a Gino Covili, pittore di Pavullo nel Frignano (Modena), scomparso nel 2005.
Si tratta di un’esposizione riguardante il suo celebre ciclo degli
Esclusi, centoquaranta ritratti di persone con malattie mentali, dipinti tra il 1973 e il 1977, in cui l’artista, come è stato scritto «ha letto racconti di silenzio dentro il corpo dei vinti».
La mostra, inaugurata il 16 maggio, e composta da una quarantina di opere, sarà aperta fino al 6 luglio (Museo della Sanità e dell’Assistenza – Complesso Monumentale di Santa Maria della Vita, Via Clavature, 8, Bologna) e nel parlarne qui di seguito, Giampiero Griffo di DPI Europe (Disabled Peoples’ International) e del CeRc (Centre for Governmentality and Disability Studies “Robert Castel” dell’Università di Napoli Suor Orsola Benincasa), allarga la prospettiva a tutti gli esclusi e a coloro che hanno vissuto – o vivono tuttora – segreganti situazioni di istituzionalizzazione. (S.B.)

L’esposizione di una quarantina di opere del ciclo Gli esclusi di Gino Covili, aperta a Bologna fino al 6 luglio, riporta in evidenza come i processi di istituzionalizzazione possano segnare e sconvolgere i volti che hanno vissuto immani sofferenze fisiche e psicologiche negli ospedali psichiatrici.
L’istituzionalizzazione delle persone con disabilità – pratica nata insieme con la nascita delle istituzioni totali e spesso negli stessi luoghi in cui erano rinchiusi i malati psichiatrici – per secoli ha violato i più elementari diritti umani, e continua a violarli in molti Paesi.
Queste pratiche segregative, all’inizio ispirate da princìpi di carità, sono diventate prigioni in cui persone ridotte a un’unica caratteristica – con differenti forme di funzionamento, come la cecità, la sordità, la lentezza nell’apprendimento, una differente mobilità – venivano e vengono sepolte vive per tutta la vita. Sono pratiche di esclusione che hanno poi avuto diffusione in molte direzioni: in classi e scuole speciali, in laboratori lavorativi protetti, in istituti lager.
Nell’Unione Europea sono più di mezzo milione le persone con disabilità rinchiuse in megaistituti, ancora più del 60% degli studenti delle scuole primarie frequenta classi e scuole segreganti, circa 400.000 persone lavorano in enclosure lavorative [letteralmente in “luoghi recintati”, ma da intendere naturalmente in senso lato N.d.R.]. Nessuno ancora ha dipinto quei volti, descritto in una forma artistica quali sofferenze materiali e disumane subiscano.
Grazie al movimento antistituzionalizzante di Franco Basaglia in Italia, negli stessi anni in cui venivano chiusi i manicomi psichiatrici, venivano smantellate anche le classi differenziali e speciali. Molte persone con disabilità uscivano dagli istituti e costruivano le prime associazioni che si battevano per i diritti riconosciuti a tutti i cittadini e a loro negati.
Oggi rimangono nel nostro Paese ancora circa 140.000 persone con disabilità rinchiuse in istituti, strutture spesso con centinaia di posti letto, retaggio di abbandoni familiari, di pratiche assistenziali distorte, di percorsi disabilitativi e impoverenti.
L’approvazione nel 2006 della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, ratificata già da 145 Paesi (il 75% dei paesi aderenti all’ONU, tra cui l’Italia e l’Unione Europea) rappresenta uno standard internazionale che rifiuta qualsiasi forma di segregazione.
Chi visiterà la mostra di Covili potrà dunque vivere un’esperienza che rafforzerà la consapevolezza che la vera riabilitazione e abilitazione è quella di avere un ruolo nella società, di costruirsi un percorso di vita rispettoso dei diritti umani e di partecipare, in tutte le forme scelte e possibili, alla vita di comunità.
Giampiero Griffo
DPI Europe (Disabled Peopoles’ International); CeRc (Centre for Governmentality and Disability Studies “Robert Castel” dell’Università di Napoli Suor Orsola Benincasa).

Share the Post: