Con il solito, facile gioco di parole che rubacchia e mescola titoli più o meno celebri di drammi, libri e film, potremmo appunto definirla come “l’estate del nostro sgomento” la situazione odierna di noi persone con disabilità e delle nostre famiglie. E se fino a ieri scrivevo «noi, persone con disabilità», identificandomi con mia figlia, da oggi parlo davvero in prima persona: sono anch’io, compiutamente, una persona con disabilità! Non riesco più a dormire e a respirare in maniera neppur vagamente decente. Ho funzionalmente perso la memoria “a breve”. Non posso appoggiarmi sul lato sinistro del corpo perché ho tutte le articolazioni usurate da venticinque anni di “sollevamento pesi” e ho la colonna vertebrale così storta da poter figurare in un testo di patologia ossea. Ho un blocco intestinale di durata persistente e preoccupante. Ho subito un vistoso crollo del visus e dell’udito. Le mie capacità cognitive sono fortemente regredite. Non sono più in grado di svolgere una normale vita di relazione e “vedo nero” per ogni progetto pensato e avviato nell’ultimo decennio.
Non credo tuttavia di essere la sola vittima delle attuali contingenze politiche e sociali (oltreché delle mie cattive abitudini pregresse e delle mie illusioni): infatti, in quasi tutte le famiglie con disabilità che conosco vi sono casi paragonabili. C’è chi si frattura braccia e gambe nel tentativo di rendere la propria abitazione più adatta al familiare con disabilità, chi va incontro a ripetuti infarti per troppo stress, chi si riduce in miseria nera per provvedere alle mille cose “non prescrivibili”, ma indispensabili, chi stremato si siede per terra e aspetta. Ma aspetta cosa? La fine dei suoi giorni o che qualcosa cambi.
Io credo che a trattenere molti da un passo senza ritorno sia solo la consapevolezza che, mancando loro, la vita per gli altri sarebbe ancor più difficile. E dato quindi che non possiamo permetterci una facile uscita di scena, dobbiamo, noi famiglie con disabilità, noi madri che reggiamo pesi che sfascerebbero un TIR, noi vecchi caregiver usurati, noi sibling sottostimati [i “sibling” sono i fratelli e le sorelle di persone con disabilità, N.d.R.], noi pochi altri parenti coinvolti nella tragedia universale, noi tutti dobbiamo reagire.
Ma come? Come reagire se le cose che vediamo e che sentiamo tutti i giorni sono semplicemente allucinanti? Politici di ogni colore che rubano e sperperano allegramente miliardi di euro; magistrati inquisiti da altri magistrati; uomini con le spalline ricche di stellette e fregi vari, invischiati in orride storie di tangenti e corruzioni; interi Consigli Regionali, Provinciali nonché Comunali, accusati – spesso con solide prove – di ogni scelleratezza: dall’acquisto di biancheria intima alle crociere di lusso, megayacht, ranch nel Nevada, grattacieli a Dubai e hotel “a 7 stelle” nella vicina Svizzera (quest’ultimo acquisto riservato a presidenti di banche)…
E come reagire se ogni Governo in carica propone soluzioni che per quanto ci riguarda sono più inique del precedente? Dalle costose – sia per lo Stato che per noi – revisioni straordinarie delle situazioni di disabilità ai tagli ai fondi vitali; dalla creazione di un clima di “caccia all’invalido” alla regressione culturale collettiva; dalle beffe fiscali a quelle dei Parlamentari che “scoprono” la disabilità con le loro fantasiose proposte di leggine ad hoc, naturalmente prive di copertura finanziaria e di utilità reale…
E a questo punto, se persino l’ironia sembra aver perduto la propria capacità lenitiva, non saprei proprio cosa suggerire. Forse l’unica reazione possibile risiede nel continuare a fare quello che abbiamo sempre fatto: i “muli da soma”, che portano un peso tremendo, ma che hanno ancora fiato per ragliare. E quindi, nel verso del mulo da soma (anche i muli ragliano, giusto?), vi è la condanna per i ladri, i malfattori, i simoniaci, i seminatori di scandali vari, i monsignori trafficoni, gli spacciatori, i presidenti di consorzi, i concorrenti esterni e interni in attività mafiose, i riciclati della politica, della finanza, i burocrati pigri, inetti e avidi…
Ma basta ragliare? Non sarebbe meglio, da buoni muli, tirare anche qualche calcio?