Come segnalato nei giorni scorsi, il Gruppo CRC* ha presentato a Roma, alla presenza di Giuliano Poletti, ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali e di Vincenzo Spadafora, autorità garante per l’Infanzia e l’Adolescenza, il 7° Rapporto di aggiornamento sul monitoraggio della Convenzione ONU sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza in Italia, 2013-2014, dal quale emerge con chiarezza che se da una parte i problemi dell’adolescenza e dell’infanzia in Italia restano fortemente segnati da un contesto di difficoltà economica e povertà, dall’altra parte la scarsità di servizi sociali ed educativi che supportano i minorenni fa pagar loro un prezzo ancora più alto. Infatti, nonostante numerose evidenze scientifiche (dalle neuroscienze all’economia dello sviluppo), sottolineino l’importanza delle primissime epoche della vita per lo sviluppo cognitivo, emotivo, sociale e dell’equità dell’individuo, con effetti che durano per tutto il corso della vita, sembra proprio che l’Italia continui a “non essere un Paese per bambini”.
Qualche dato. Al 1° gennaio 2013, i bambini in età compresa tra gli 0 e i 3 anni in Italia erano 2.171.465 e di questi uno su cinque nato da almeno un genitore straniero. Per molti di loro, però, mancano le risorse e di conseguenza mancano i servizi: solo il 13,5%, infatti, in questa fascia di età, ha trovato ad accoglierli, nel 2012, servizi per l’infanzia e asili nido. Al Sud e nelle Isole la situazione è ancora più difficile: “maglia nera” per la Calabria, con solo il 2,5% di bambini che hanno accesso ai nidi, seguita dalla Campania che raggiunge quota 2,8%.
In sostanza, il nuovo Rapporto del Gruppo CRC fa emergere la difficoltà cronica da parte delle Istituzioni di “mettere a sistema” le politiche per l’infanzia e l’adolescenza nel nostro Paese, così come il fatto che continuano a essere tagliati in modo significativo i fondi dedicati, come è accaduto anche nell’ultima Legge di Stabilità.
«Il 2014 – commenta Arianna Saulini di Save the Children, organizzazione coordinatrice del Gruppo CRC – rappresenta il terzo anno consecutivo senza un Piano Nazionale dell’Infanzia. Oggi abbiamo presentato la fotografia dello stato dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia e purtroppo le cose non sono migliorate rispetto agli anni scorsi. Abbiamo voluto porre l’accento in particolare sulla condizione dei bambini nella fascia di età tra gli 0 e i 3 anni, perché più di tutti pagheranno nel loro futuro la mancanza di politiche di sostegno all’infanzia, con il rischio di non poter sviluppare al meglio il proprio potenziale».
«Ci auguriamo – conclude Saulini – che il Governo metta al più presto in atto delle politiche per l’infanzia e l’adolescenza che consentano un miglioramento sostanziale della condizione delle persone di minore età nel Paese, perché l’Italia deve tornare ad essere un Paese che investe non solo sui giovani, ma anche sui bambini, dal momento che una politica davvero lungimirante ed efficace investe sulla salute e sullo sviluppo cognitivo, emotivo e sociale nei primissimi anni di vita di un bambino. Sono questi gli investimenti che garantiscono il più alto ritorno economico per gli individui e per la società. Investire nell’infanzia, infatti, significa supportare la società in maniera trasversale, sia sul piano economico, che su quello psicosociale e delle buone pratiche, attraverso politiche e servizi rivolti a tutte le famiglie. Occorre dunque potenziare l’offerta e l’accessibilità a servizi socio-educativi di qualità, al supporto precoce alle funzioni e alle competenze genitoriali, agli interventi economici a favore di famiglie povere con bambini e alla formazione e allo sviluppo professionale degli operatori che ruotano attorno al mondo dell’infanzia e della famiglia sin dal periodo prenatale».
Tornando all’esame di una serie di dati di cui si occupa il nuovo Rapporto, va rilevato che la Commissione Europea ravvisa nei servizi di cura ed educazione per la prima infanzia un grande potenziale per combattere l’esclusione sociale e il disagio socio-economico. Stando però alle ultime cifre disponibili, in Italia solo il 13,5% dei bambini sotto i 3 anni ha avuto accesso a questi servizi (nidi comunali 11,8% e servizi integrativi 1,6%) (Fonte: Demo ISTAT). A questa percentuale si stima vada aggiunto un ulteriore 4% di bambini accolti da servizi privati, non sovvenzionati da fondi pubblici.
Da un lato, quindi, si segnala una lieve flessione rispetto all’anno precedente (-0,5%), attribuibile alla diminuzione dei servizi integrativi per l’infanzia (resta invece immutata la percentuale dei bambini accolti negli asili nido) e dall’altro si registra con preoccupazione che in molti Comuni si assiste a un alto numero di rinunce alla frequenza del nido, sia da parte di famiglie che non sono più in grado di pagare le rette, che per il venir meno dell’occupazione della madre. A questo si assomma ulteriormente la grave disparità e il forte squilibrio nell’offerta di servizi nelle diverse Regioni, con percentuali bassissime nel Sud e nelle Isole.
È dunque necessario che vengano definite nuove procedure di finanziamento dei servizi per la prima infanzia: l’investimento pubblico in tal senso in Italia è drammaticamente basso sia nel confronto con l’Europa che in quello con le altre classi di età.
Per quanto poi riguarda le comunità di accoglienza per minori, secondo i dati più aggiornati a disposizione al momento della redazione del Rapporto, vi sono stati accolti 14.991 minorenni a fronte dei 29.388 bambini e ragazzi temporaneamente fuori dalla propria famiglia di origine, numero superiore di 594 unità rispetto a quello dei minori dati in affidamento familiare («Quaderni della Ricerca Sociale», n. 26/2013). Quasi la metà di questi ultimi, poi, sono in affido a parenti.
Notando quindi che l’incidenza percentuale degli inserimenti in comunità residenziale di bambini in età pre-scolare (0-5 anni) è stata del 14% sul totale, si registra un uso preoccupante e ancora troppo consistente dell’inserimento in comunità di bambini piccolissimi, sin dal loro primo collocamento. È necessaria pertanto un’inversione di tendenza, così come è fondamentale segnalare la mancanza di dati e informazioni utili per restituire unicità e continuità alla storia di ogni minorenne, per accompagnarlo nella crescita.
Soffermandosi proprio sui sistemi di raccolta delle informazioni, va detto che né la BDA (Banca Dati Nazionale dei minori adottabili e delle coppie disponibili all’adozione), né la Banca Dati sull’abuso sessuale di minorenni, già sollecitate dal Gruppo CRC nei Rapporti degli anni scorsi, sono ancora andate a regime.
Dal punto di vista delle cifre, sono aumentati dell’11,4% i bambini dichiarati adottabili: erano 1.251 nel 2011, sono stati 1.410 nel 2012 e sono aumentate del 4,5% le coppieche hanno presentato domanda di adozione nazionale – 10.244 nel 2012 (9.795 nel 2011). Nonostante questo, è praticamente rimasto invariato, con un calo solo dell’1%, sia il numero degli affidamenti preadottivi – 957 nel 2012 (965 nel 2011) – sia quello delle adozioni legittimanti – 1.006 nel 2012 (1.016 nel 2011). In proporzione, quindi, sembrano aumentati i casi di bambini che pur essendo adottabili non vengono adottati.
E ancora, da una recente pubblicazione (Questioni e Documenti, n. 55, Firenze, Istituto degli Innocenti, 2014, p. 72), si evince che i bambini adottabili che si trovano ancora nel sistema di accoglienza temporanea sono stimati in 1.900 di cui il 59% accolti in comunità e il 41% in affidamento familiare. La maggior parte di loro (il 51%), pur essendo adottabile, è collocata in accoglienza fuori famiglia da oltre due anni (di cui il 24% da 48 mesi e oltre). Tutto ciò, nonostante il considerevole numero di coppie disponibili ad adottare (calcolate in 31.343 al 31 dicembre 2012, ultimo dato disponibile).
Da molto tempo il Gruppo CRC segnala l’urgenza di un monitoraggio di questo fenomeno, per capire chi siano questi bambini ed esplorare possibili strategie d’intervento, ma la mancanza di effettiva operatività della citata BDA non aiuta, soprattutto perché non consente la messa in rete di tutti i Tribunali per i Minorenni e quindi l’ottimizzazione degli abbinamenti per le adozioni, soprattutto per i bambini con bisogni speciali e/o particolari.
In conclusione si può dire che la difficoltà principale che emerge dal Rapporto sia quella di “mettere a sistema” le politiche per l’infanzia e l’adolescenza nel nostro Paese. Si è infatti assistito a un decentramento delle politiche sociali verso le Regioni, senza la definizione dei Livelli Essenziali di Prestazioni concernenti i Diritti Civili e Sociali (LEP) e soprattutto con la progressiva e costante diminuzione delle risorse destinate alle politiche sociali nel corso degli anni.
Inoltre, la mancanza e la discontinuità con cui è stato adottato il Piano Nazionale dell’Infanzia (strumento che per legge dovrebbe essere predisposto con cadenza biennale) è solo un esempio di tale “disattenzione”. Un Piano che dovrebbe rappresentare la cornice di riferimento per le politiche per l’infanzia, e che probabilmente necessita anche di un ripensamento, prevedendo un raccordo con il livello regionale, dal momento in cui le politiche sociali sono divenute di competenza regionale. Va ricordato, in tal senso, che l’ultimo Piano Nazionale dell’Infanzia (il Terzo) è stato approvato il 21 gennaio 2011, e al momento non sono stati avviati i lavori per la stesura del nuovo.
«Ad oggi – sottolinea ancora Saulini – non esiste un monitoraggio compiuto a livello istituzionale delle risorse dedicate all’infanzia e all’adolescenza e proprio dall’analisi realizzata dal Gruppo CRC, risulta evidente la mancanza di una strategia complessiva sul piano nazionale e di una visione di lungo periodo. Lo scorso anno, in occasione del lancio del 6° Rapporto CRC, l’Autorità Garante per l’infanzia e l’adolescenza si era assunta l’impegno di predisporre un rapporto articolato sullo stato complessivo delle risorse per l’infanzia e l’adolescenza nel nostro Paese. Questo impegno si è trasformato in una richiesta al Ministro dell’Economia e delle Finanze, per impostare un lavoro congiunto che consenta di monitorare le spese del bilancio dello Stato dedicate ai bambini e agli adolescenti. Ci auguriamo che questo possa avere inizio in tempi brevi».
Spazio a sé, infine, per un’importante e nuova presenza di quest’anno, all’interno del Gruppo CRC che ha elaborato il Rapporto. Si tratta della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), che come già in passato era accaduto con il CND (Consiglio Nazionale sulla Disabilità), ha fatto valere la propria presenza in modo sostanziale, per porre in piena luce le gravi condizioni di discriminazione e di violazione dei diritti umani, subiti ancora sin troppo spesso dai bimbi e dalle bimbe con disabilità, per definizione “i più vulnerabili tra i vulnerabili”.
«Sono tante – dichiara per la FISH Luisella Bosisio Fazzi – le Raccomandazioni che il Gruppo CRC ha inoltrato al Governo e alle Amministrazioni Locali, cercando, nello specifico della condizione di disabilità, di farne emergere l’invisibilità. Infatti, le carenze evidenziate nel 7° Rapporto sono trasversali e quando “interferiscono” con la vita di un minore con disabilità, gli effetti vengono amplificati dalla condizione di massima vulnerabilità sua e della sua famiglia».
«La mancanza di risorse – aggiunge Bosisio Fazzi – non può essere l’alibi per non applicare non solo la Convenzione ONU sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza, ma tutta la normativa specifica. Ratificando infatti quel Trattato, il nostro Paese ha accettato di onorarne l’articolo 3, dedicato al superiore interesse del minore, ove testualmente si dice che «in tutte le decisioni di competenza delle autorità civili, politico amministrative, legislative e giudiziarie pubbliche o private, il superiore interesse del fanciullo deve avere una considerazione preminente». Ciò significa che questo interesse è superiore rispetto agli interessi ad esso contrapposti, ovverosia che al momento in cui c’è un confronto, un conflitto tra interessi contrapposti, che di solito sono gli interessi degli adulti, gli interessi del bambino devono prevalere. Chiediamo quindi all’Italia, rappresentata durante l’incontro dedicato al 7° Rapporto dal ministro Poletti, il quale nel suo intervento si è impegnato a identificare e attuare alcune raccomandazioni (3 su 147) contenute nel Rapporto stesso, di rispettare questo superiore interesse del minore, ricostituendo sia la dote finanziaria del Fondi dedicati all’Infanzia che l’Osservatorio Nazionale per l’Infanzia, oltre a redigere il Piano Nazionale dell’Infanzia e a definire i Livelli Essenziali delle Prestazioni Sociali. Infatti, l’impegno per il rispetto di questi tre punti è la base per lo sviluppo di ogni altra attività di Governo che ponga al centro il minore». (E.T. e S.B.)
È disponibile il testo integrale del 7° Rapporto di aggiornamento sul monitoraggio della Convenzione ONU sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza in Italia, 2013-2014. Per ulteriori informazioni e approfondimenti: press@savethechildren.it (Eleonora Tantaro); info@gruppocrc.net.
*Il Gruppo di Lavoro CRC
La Convenzione ONU sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza (CRC) è stata approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 novembre del 1989 a New York ed è entrata in vigore il 2 settembre 1990. L’Italia l’ha ratificata il 27 maggio 1991 con la Legge 176/91. Ad oggi essa è stata ratificata da 193 nazioni, cioè praticamente da quasi tutti i Paesi, ed è lo strumento internazionale più ratificato al mondo.
Per verificare che i princìpi sanciti dall’importante documento siano effettivamente rispettati, le Nazioni Unite chiedono ad ogni Stato di redigere e presentare ogni cinque anni un rapporto. Inoltre, per dare voce anche al punto di vista della società civile, le Organizzazioni Non Governative e del Terzo Settore hanno la possibilità di elaborarne uno supplementare.
Per questa ragione, dalla fine del 2000 è attivo in Italia il Gruppo di Lavoro per la CRC che l’anno successivo ha redatto un rapporto sulla condizione dell’infanzia in Italia, supplementare a quello che il Governo Italiano aveva precedentemente presentato alle Nazioni Unite.
In seguito il Gruppo di Lavoro ha deciso di proseguire nella sua opera di monitoraggio, redigendo annualmente un rapporto di aggiornamento che verifica lo stato di applicazione della Convenzione ONU sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza nel nostro Paese.
Sono oggi ben 87 le associazioni e le organizzazioni non profit a far parte del Gruppo di Lavoro per la CRC (in loro rappresentanza, per elaborare il Rapporto di quest’anno, hanno lavorato 120 operatori del Terzo Settore) e a coordinarle è Save the Children Italia.
Tra di esse – grossa e recente novità – vi è anche la FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), insieme, tra le altre, all’ANFFAS (Associazione Nazionale Famiglie di Persone con Disabilità Intellettiva e/o Relazionale), alla SINPIA (Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza) e all’Associazione L’abilità di Milano.